A volte mi capita di indicare a Vera qualcosa da guardare in lontananza. Quando mi accorgo che non riesce a vedere , il gesto più spontaneo è quello di prenderla in braccio e di portarla "alla mia altezza". Ma oggi ho provato a fare il contrario: mi sono abbassata io per cercare l'angolazione giusta affinché potesse vedere ciò che stavo indicando. Su ciò che comporta stare all'altezza dei bambini, credo che ognuno di noi l'abbia sperimentato almeno una volta e sappia cosa significa. Io credo che ciò che lo renda così speciale e difficile al tempo stesso, sia che, per quell'attimo, dobbiamo abbandonare le nostre certezze, il nostro orizzonte. Dobbiamo fare a meno dei nostri punti di riferimento ed assumere che ce ne siano di altri altrettanto validi. E questo implica che dobbiamo contemplare la possibilità di non essere dalla parte "giusta" come pensavamo o che, forse, "giusto e sbagliato" non serva nemmeno in questo caso. Prendere il punto di vista dell'altro significa togliere noi dal nostro centro per metterci l'altra persona e provare a vedere le cose come vengono viste da quella prospettiva.
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Riflessioni sull'essere genitori, sul delicato equilibrio tra essere presenti, aiutare, e lasciar fare, osservare i propri figli. Perché è difficile restare osservatori di una vita che cresce, che avanza, che cade, che si ferma, che ricomincia. Perché presuppone di fare i conti con le paure e le ansie personali. Perché presuppone di sapere che possiamo solo mostrare i nostri passi (e che quindi dobbiamo essere ben consapevoli di quali sono!). E i figli sceglieranno se seguire quelli o prenderne di alternativi. E sarà meraviglioso, in questo caso, lasciarsi sorprendere da ciò che ci mostreranno.
In quanto donna e mamma di una femmina, cerco di stare sempre attenta agli stereotipi che girano intorno al nostro genere. Mi sto accorgendo di come le descrizioni delle protagoniste delle storie e dei cartoni animati stiano cambiando rispetto a quelle della mia generazione (e con esse anche le narrazioni delle relazioni e dell'amore, perché se cambia una parte, cambia tutto il sistema!). Ma trovo che spesso ci si concentri tanto sull'esatto opposto della principessa da salvare che aspetta il principe azzurro, ovvero la bambina ribelle e coraggiosa, la super eroina. Che va benissimo come prima azione per creare differenza e portare cambiamento ma se si fossilizza, rischia di diventare a sua volta uno stereotipo che ingabbia. Cosa succede se le uniche due possibilità sono queste? E se non mi ritrovo in una o nell'altra? Sono sbagliata?Faccio questo discorso per le donne ma lo estenderei a tutti e a tutte le età. Perché da grandi poi diventa: faccio la mamma o la donna in carriera? In versione maschile: il macho o il sensibile? E così via. Per fortuna però abbiamo una intera gamma di alternative nel mezzo che riescono a dare voce a tante altre descrizioni meno enfatizzate. E qui vi invito ad andare a trovare sempre nuove storie, cartoni, libri, film, per voi e per bambine/ bambini, che portino quella differenza e quella unicità in cui poi ci si possa LIBERAMENTE rispecchiare e ritrovare, senza mai sentirsi dalla parte sbagliata. Cosa ne pensate? In quali protagonisti vi siete rispecchiati maggiormente? Volete avere un riscontro immediato di come i vostri figli treenni vi vedono come genitori?
Niente trucchi, provate a proporre loro di giocare a fare "la mamma/ il papà"! Voi fate i figli mentre loro fanno finta di essere i genitori. Metteranno in scena buona parte di ciò che vivete insieme, come vi comportate, cosa dite, come sgridate e come consolate. E vi assicuro che vedervi dall'esterno fa sempre un certo effetto. Un cambio di prospettiva, che può aiutare a chiedersi "ma mi piaccio così?" Buon divertimento! "Possibile che Stanley non desiderasse un figlio quanto lei? [...] se invece sotto sotto avesse voluto che le cose rimanessero come erano, per continuare ad averla tutta per sé, una moglie senza conflitti di interesse, che non divideva il proprio affetto tra padre e figlio? [...]
Si chiedeva se Stanley non avesse svolto troppo egregiamente il ruolo di figlio fratello marito, perché in tal caso, forse, non aveva più spazio per fare il padre" Nelle nostre relazioni abbiamo sempre un ruolo, che sia imposto, scelto, preso per dovere. A volte ci sono figli che fanno da genitori ai propri padri e alle proprie madri ed arriva il momento in cui la voglia della propria indipendenza e realizzazione sembra essere una minaccia o una colpa. Partner che sono ancora così richiamati dal proprio ruolo di figli/e da non riuscire a stare nella coppia e ad investire in una nuova famiglia. Avete mai pensato ai vostri ruoli? All'effetto che hanno all'interno delle vostre relazioni? "Perché è lei, Golda, che lui ama. E perché con lei è impossibile".
Tratto da "L'amante palestinese" di Selim Nassib Ma perché alcune coppie vanno in crisi? Perché ad un certo punto "non funziona più"? La coppia è un sistema complesso. Non è la semplice somma delle caratteristiche di ciascuno ma è un "terzo", un incontro di due storie, che danno origine ad una terza, con una sua identità. Due persone si scelgono, si innamorano, cambieranno impercettibilmente giorno dopo giorno per tenere la coppia nel suo equilibrio, perché "non cambi mai" e resti sempre stabile. In questi movimenti si superano ed elaborano le delusioni che emergeranno nel tempo, si rinegoziano l'immagine di sé, dei propri bisogni e aspettative, si trovano i significati della relazione per ciascuno, si riconosce accetta e ascolta l'altro come individuo diverso da sé. Ma a volte questa complessità non si riesce a tenerla insieme, scappa qualche pezzetto, i bisogni propri, dell'altro e della coppia non si incontrano più ma iniziano a scontrarsi, si creano dinamiche che invece di fare crescere, avviluppano. A volte la coppia resta viva e si può rigenerare, altre volte si prende consapevolezza che appartiene inevitabilmente solo al passato e la si perderà, nonostante, magari, l'amore. Essere una psicologa non mi esime dall'essere una mamma che commette errori: a volte mi capita di alzare troppo la voce, altre volte non riesco ad ascoltare o aspettare.
Anche se conosco bene cosa succede quando si urla ai propri figli. Li inseriamo dritti dritti in una dimensione di paura, dove la persona che dovrebbe proteggerli e consolarli è la stessa che li sta "minacciando". Si sentono persi e vulnerabili, senza capire cosa fare. I nostri figli in quella situazione non apprendono un bel niente. Non interiorizzano la regola, la morale, il comportamento più consono, ma imparano qual è il modo per proteggersi ed uscire dallo stato di paura: ovvero fare ciò che il genitore chiede. Teniamo bene in mente che quando alziamo troppo la voce, quando sgridiamo in modo "aggressivo" (non quando siamo autorevoli, ben inteso), lì ci stanno soprattutto i nostri bisogni. Quando mi succede, mi fermo. Cerco di ritornare indietro, a cosa stava succedendo, provo ad indovinare e a verbalizzare come sta mia figlia, riprovo nuovamente usando altre parole, cerco di non avere fretta. Adesso che è più grandina, chiedo la sua collaborazione. Spesso chiedo scusa. Perché credo che per mia figlia sia più importante vedere una mamma che si migliora invece di una mamma perfetta. Oggi ho avuto il colloquio con l'educatrice di riferimento di Vera al nido.
Solitamente sono io in studio che accolgo i genitori, oggi è stato il contrario ed ero emozionata! Sarà un nuovo inizio. E come tutti i nuovi inizi, porterà con sé dei cambiamenti. I percorsi non sono mai lineari e se siamo bravissimi nel vedere e supportare i traguardi positivi, che fanno stare bene, a volte ci imbattiamo in qualcosa che ci fa preoccupare. Mi sento di dire che può rientrare tutto nel fisiologico, che la maggior parte delle difficoltà tende a risolversi con il passare del tempo, se i bambini vengono ascoltati e non lasciati soli. Può succedere che non vogliano andare all'asilo, che piangano, che abbiamo delle regressioni. Ricordo perfettamente Vera che, un anno fa, dopo una settimana di frequentazione di uno spazio di socializzazione e gioco senza problemi, ha iniziato a piangere senza sosta anche a casa, a non voler mai lasciarmi, e un giorno ho deciso che potevo, per una volta, allattarla nuovamente per farla addormentare e calmarla, nonostante avessimo già altre rodate abitudini per la nanna pomeridiana. Diamo tempo, a loro come a noi, di sperimentarsi, di vedersi in una nuova situazione, di potersi fidare di un altro adulto che si prenda cura quando siamo lontani (sia noi genitori che loro!) Ho preso per l'occasione un libricino da sfogliare insieme (qui c'è la mamma, non me ne vogliano i papà!) dove le protagoniste trovano un modo personalissimo e pieno di amore per affrontare la giornata, ognuna coi propri impegni! Siete anche voi in procinto di iniziare un nuovo percorso scolastico? Come la state vivendo? Ogni giorno, a metà pomeriggio, come un orologio svizzero, forse per la noia dello stare sempre con noi genitori o la voglia di altro, Vera inizia a camminare sulla spiaggia in cerca di persone con cui interagire. Ha tampinato soprattutto femmine: ragazzine, giovani donne, mamme, nonne.
Noi, ovviamente, dietro di lei. E così, dopo Vera che esordisce col suo "ciao" che sembra più un "ciau", dopo frasi di circostanza, si inizia piano piano, quasi in punta di piedi, ad entrare nelle storie di vita delle persone. C'è stata la nonna coi capelli bianchi e gli occhi azzurri come il mare a cui Vera si è messa in braccio e con cui si sono scambiate coccole a vicenda. La mamma di tre figlie femmine a cui Vera ha scroccato delle crocchette di patate per merenda, con cui si è parlato dell'essere mamma. La ragazzina con cui ha giocato con uno spruzzino e quella che ha riempito di sabbia. La famiglia milanese, con cui si è parlato, ahimè, di Covid. La maestra di asilo Anna, che dalla Puglia è salita fino a Trento per lavoro, trovando poi l'amore del montanaro Paolo a cui piace il mare. Poche parole, poche frasi eppure ricchissime di ciò che una persona ha vissuto, di ciò che si porta con sé, anche in spiaggia, oltre al telo e all'ombrellone. E se all'inizio mi costava fatica ( io che in spiaggia cerco quasi la solitudine) a poco a poco è stato divertente trovarsi a pensare "chissà oggi Vera chi sceglierà"! Vi è mai capitato, come genitori, di ricevere commenti su ciò che state facendo con i vostri figli?
In questa vacanza mi è capitato spessissimo. È successo che mi si dicesse "stia attenta a lasciare sua figlia camminare sola che passano macchine" quando Vera ha attraversato l'ingresso di un parcheggio sotto il mio sguardo per raggiungere il papà dall'altro lato. È successo che mi dicessero "ah, è lei la mamma, pensavo fosse sola questa bambina" solo perché camminavo un metro dietro Vera per lasciarla libera di esplorare la spiaggia. È successo che mi dicessero "stia attenta che non cada in acqua" quando, seduta sul bagnasciuga, osservavo Vera prendere confidenza con le onde. Ammetto che ho avuto due tipi di reazioni: da un lato tutto ciò mi ha infastidito, ho sentito calpestare i miei "confini" genitoriali (nonostante abbia percepito le buone intenzioni) e, un po' provocatoriamente, ho pensato: ma perché succede sempre a me che sono la mamma e non al mio compagno? E se nei panni di Vera ci fosse state un bambino maschio? Sarebbe stata la stessa cosa? Dall'altro lato frasi simili, che rimandano chiaramente ad uno stile educativo, ripetute, mi hanno smosso dei dubbi su ciò che stavo facendo. Ma, come succede spesso, ciò che una persona dice, racconta più della persona stessa che di ciò che sta parlando. Racconta come vedono il mondo, sulla base delle loro esperienze e di ciò che hanno appreso. Racconta delle loro paure, delle loro preoccupazioni. Racconta delle aspettative che hanno sul come si fa o non si fa i genitori. E allora che si può fare? mi sono chiesta. Forse può valere la pena prendere in prestito qualche loro prospettiva, provare ad osservarla, segnare le cose che ci potrebbero essere di utilità e poi arricchire la nostra. Voi che ne pensate? |
Emma Montorfano
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Febbraio 2023
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