Spesso associamo il cambiamento all'area semantica del "fare": agire, modificare, mutare, diventare e così via.
Ma capita, e lo si vede bene in terapia, che il cambiamento abbia a che fare con qualcosa di più statico, che appartiene alla nostra storia personale, che è sempre stato lì, visto e saputo, seppur tenuto nascosto, in attesa di essere legittimato e validato da occhi esterni, di essere finalmente riconosciuto come vero e reale. E questo è qualcosa di molto potente, liberatorio e trasformativo ma a volte talmente intenso da fare male. Ecco perché può richiedere un contesto di cura come quello terapeutico.
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Spesso sentiamo di avere il controllo della situazione quando sappiamo cosa e come fare, quando abbiamo ben chiari cause ed effetti, quando conosciamo i passi da compiere con precisione.
A volte però non è così. E possiamo sentire di avere il controllo della situazione quando NON facciamo, quando scegliamo di fermarci, quando mettiamo in standby un futuro che ci spaventa. Anche queste azioni possono farci sentire di avere tutto sotto controllo, darci un senso di protezione. Nonostante non sia magari ciò che fa stare meglio. E se poi "fallisco" la psicoterapia?
È una domanda legittima che può farsi una persona che inizia un percorso, ma ... non si può sbagliare una terapia o non esserne in grado. La psicoterapia è una relazione che cura, non ha a che fare con le proprie capacità e competenze (quelle deve averle lo psicoterapeuta nel suo lavoro!). Non c'è un argomento giusto o sbagliato da portare, un modo corretto o meno di dire le cose e rispondere. La terapia è fatta sì di momenti faticosissimi, di momenti più leggeri, di pezzi che si fanno in autonomia e di altri che necessitano un "mano nella mano" e tempi più lenti. A volte ci sono stalli che vanno osservati e dotati di senso, altre volte tutto scorre e i cambiamenti si susseguono senza blocchi. Ma è sempre compito e dovere del terapeuta gestire questi aspetti della terapia e il loro corso. Come in tutte le relazioni, ciò che è importante per la persona è "esserci, portare se stessa", con i propri tempi e modalità. Non c'è mai una scelta giusta o sbagliata a prescindere.
Magari vorremmo una cosa o immaginiamo che si debba sceglierne una invece dell'altra, pensiamo che qualcosa sia preferibile all'altra. E questo può condizionare il come ci si sente di fronte alla scelta. Capita anche che ci si affidi a ciò che si prova per valutare la "giustezza" di una scelta ( del tipo: se fosse la scelta giusta non starei così, sarei felice). E invece può non essere così. Possiamo compiere delle scelte che vogliamo tantissimo eppure stare male, così come possiamo farne altre che non vorremmo (o restare fermi) e comunque trovarci dentro qualcosa che fa stare comodi. Tutto ha un suo senso che chiede di essere osservato e capito. Spesso le vacanze vengono descritte come quel periodo per ricaricare le energie, per staccare la spina, per riposare e divertirsi (quasi un dogma).
So bene che i ritmi della nostra società permettono ben poche altre alternative e che per molti le vacanze non ci sono nemmeno. Penso che a volte staccare è impossibile o difficile, che divertirsi non dovrebbe diventare un dovere o un piacere di pochi giorni, che non ci si dovrebbe spremere ed esaurire le energie durante i mesi precedenti come fossimo macchine da poter ricaricare, ma si dovrebbe avere il diritto di rispettare i propri tempi ed i propri bisogni, compatibilmente con i tempi dei nostri doveri. Sento già delle voci arrivare: a volte non c'è altra scelta, e lo riconosco. Alcune volte le scelte che non ci fanno stare bene sono le uniche che ci sembrano abbiano un senso. Ci sono dei cambiamenti ideali che dovrebbero arrivare dall'alto (penso ai ritmi e alle condizioni lavorative) ma, come sempre, si può solo modificare ciò che è nelle nostre mani. Allora mi sono scritta un promemoria per il mese di agosto, che vorrei portarmi dietro anche i prossimi mesi. Perché non vorrei aspettare tutto l'anno le vacanze come unico periodo felice (che poi tutte queste aspettative che sapore lasciano?), ma vorrei che ogni mese fosse un po' "vacanziero" a suo modo. Lo condivido anche con voi: che ne pensate? Oggi in spiaggia ho sentito un papà dire al proprio figlio "Avresti dovuto usare la testa!". Non ho visto tutta la scena, immagino si riferisse a qualcosa che il bambino aveva combinato e che non avrà avuto un esito diciamo positivo! Ma non è strettamente sulla parte educativa che vorrei soffermarmi.
Subito mi è venuto spontaneo pensare "va bene la testa, e il cuore? Dove lo mettiamo?" Siamo spesso abituati a distinguere razionalità ed emotività, testa e cuore, spesso connotandoli positivamente/negativamente. E quando si fa qualcosa di istinto, motivato dalle nostre passioni, e va "male", ci diciamo che avremmo dovuto soppesare di più la nostra scelta, come se ciò che proviamo non fosse stato legittimo. Dimentichiamo che siamo noi nella nostra interezza a fare le cose come le facciamo, e che testa e cuore sono collegati (fortunatamente) da un filo preziosissimo. Tu senti che nelle scelte che fai parla di più il cuore o la testa? Vi è mai capitato di immaginarvi diversi? Di sognare di essere più... bravi belli intelligenti capaci (inserisci l'aggettivo che vuoi tu)?
Ecco, quando lo facciamo, lì dentro ci mettiamo una parte di nostre aspettative su noi stessi, delle aspettative che sentiamo gli altri hanno su di noi e ciò che vorremmo essere, l'immagine più bella di noi stessi, ovvero il nostro "sé ideale". Questo ideale di noi stessi ci guida nel porre degli obiettivi che ci soddisfino ma occorre stare attenti affinché non diventino troppo disancorati alla nostra realtà. E nella relazione cosa succede coi sé ideali? Può capitare di avere delle aspettative su di noi e sull'altro, su come vorremmo essere, su cosa l'altro dovrebbe fare e così via. A volte queste aspettative sono raggiunte e stiamo bene. Altre volte sono invece disattese e questo può portare senso di colpa ("non sono come tu mi vuoi") insoddisfazione o tradimento ("non sei come credevo tu fossi") e un generale malessere nella relazione. Può capitare anche nella relazione con i figli, quando li investiamo di aspettative che forse però riguardano più noi e i nostri sogni che loro. Oggi nelle storie su Instagram abbiamo condiviso proprio questa tematica: raccontaci la tua esperienza! A volte capita di fare delle scelte dolorose senza saperne bene il motivo. Si sente solo una spinta irrefrenabile a farle, come se una alternativa non ci fosse o non fosse possibile prenderla.
Ogni scelta, più o meno consapevole, anche quella più faticosa o dolorosa, non è giusta o sbagliata a priori. È la scelta che noi riteniamo essere la più adatta, quella che ci permette di andare avanti ( anche a costo di ). È la migliore soluzione che abbiamo trovato per fare un altro passo avanti, per sopravvivere, dentro e fuori le nostre relazioni, per tenerci stretto ciò di cui abbiamo bisogno. Sono sempre più convinta che la vita faccia dei giri immensi ma ci offra sempre una seconda possibilità. Una seconda chance per risolvere i conti in sospeso, per risolvere l'irrisolto, per finalmente trovare un senso a ciò a cui non l'abbiamo ancora trovato.
A volte non ce ne accorgiamo, ma quando accade, allora capita che si scelga una via diversa al bivio, che si decida di fare qualcosa di nuovo rispetto a ciò a cui siamo sempre stati abituati. Ed è allora che arriva il cambiamento, che i nodi al pettine vengono sciolti e si può ripartire. A Milano ci sono sempre quei due, tre gradi in più, rispetto ai paesi della provincia, che fanno sì che i fiori sboccino in anticipo di qualche settimana.
È come se alcuni fiori si "dessero del tempo", perché sentono che non è ancora arrivato il momento giusto per schiudersi. Non è di certo un tempo passivo: il bocciolo non si immobilizza, continua il suo processo al suo ritmo, sempre in contatto con le condizioni esterne. Anche noi diamoci del tempo se ne abbiamo bisogno. Diamo del tempo a noi stessi, all'altro, alla coppia, ai nostri figli, quando sentiamo che non si è ancora pronti per un cambiamento. Ma che questo tempo non sia passivo, in attesa di una magia dall'alto ( o dall'altro). Che sia un tempo attivo: per aumentare la nostra consapevolezza, per starci vicini, per conoscere meglio le nostre emozioni, per provare a fare delle cose in modo diverso, gradualmente, per trovare le nostre risorse, le nostre reti di supporto. Quando vi date tempo, come lo usate? |
Emma Montorfano
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Febbraio 2023
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