Mi piace molto cucinare, preparare dolci, provare sempre nuove combinazioni diverse di gusti e colori. Credo rientri proprio nel mio cassetto dei bisogni. Mi piace stupire i miei commensali, vedere che si stanno gustando ciò che ho preparato loro, coccolarli con una torta. Tante ricerche dicono che cucinare per gli altri è come prendersene cura, favorisce il benessere e funziona da antistress!
Sono partita da questo esempio per provare ad elencare alcuni dei bisogni psicologici che ci accomunano come esseri umani e che possono essere declinati in modi diversi! Eccone alcuni, per tutte le età: il bisogno di stabilità, di avere qualcuno che si prenda cura di noi, di empatia, di sentirci protetti e al sicuro, il bisogno di essere accettati e di sentirci parte di un gruppo, il bisogno di autonomia, di creare una nostra personalissima identità, di sentirci competenti, il bisogno di libertà nell'espressione, di spontaneità e gioco, il bisogno di avere dei limiti e l'autocontrollo. I bisogni cambiano a seconda delle età, dei momenti di vita, a volte ne sentiamo più forte uno, altre volte un altro! Nel mio piatto, quando cucino, metto sicuramente il bisogno di gioco e di competenza! 📝 Psicoesercizio In questo momento, quale bisogno sentite essere più forte?
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Quante volte ci capita di non prenderci le pause di cui abbiamo bisogno? Ci sentiamo forse in colpa, perché ci sembra di perdere tempo, di lasciare indietro gli impegni e le scadenze, di non essere al massimo. Viviamo in una società che ci vuole efficienti e attivi, prestanti e flessibili, sempre. Così facciamo spazio solo al fare e al dire, pensando che il semplice "stare" sia superfluo,sia qualcosa per deboli e molli. Invece non è uno spreco di tempo e serve per tanti motivi, per ricaricare le energie, per sintonizzarsi sulle frequenze dell'altro, per capire se stiamo bene oppure no.
📝Voi vi concedete delle pause? Dei momenti di riposo? Quando le fate come vi sentite? La rabbia è forse, tra le emozioni, quella più bistrattata. Viene mal vista socialmente perché spesso associata all'aggressività, che invece è un comportamento e può essere messo in atto a seguito di diverse emozioni, non solo della rabbia. E di rabbia, durante questo anno di pandemia, ne abbiamo provata e vista tanta. 👉🏻Non poter vedere i propri cari e gli amici, non poter essere liberi di fare ciò che eravamo abituati a fare, vedere le conseguenze del virus e delle scelte politiche nella propria vita e in quella della propria famiglia a tutti i livelli (individuale, sociale, economica ecc). 👉🏻 Può capitare spesso di pensare "non è giusto", "perché?" e subito sentiamo la necessità di trovare delle motivazioni o un "colpevole" verso cui indirizzare la nostra rabbia. 👉🏻Ci sentiamo attivati, la testa è annebbiata, la voglia di muoversi, di scagliare qualcosa a terra, di prendere a pugni, anche di fare male. 👉🏻La rabbia è una emozione potentissima e la sentiamo così forte, così istintiva perché ha proprio a che fare con noi stessi, con i nostri confini, con la nostra sopravvivenza. Proviamo rabbia quando i nostri bisogni non sono soddisfatti o sentiamo che l'altro ha invaso un confine nostro, senza rispettarlo. 📝 Psicoesercizio Quando sentiamo arrivare la rabbia, fermiamoci qualche minuto. E ascoltiamola, senza passare subito ad una azione/reazione. Qual è il bisogno che ci sta dietro? Quale aspetto di me vedo calpestato? Quali dei miei confini (materiali, relazionali, temporali) sento che non sono rispettati? Cosa sento che mi manca e che vorrei? Cosa puoi fare tu per quel bisogno? “Quando ti arrabbi, ritorna a te stesso e prenditi molta cura della tua rabbia. Quando qualcuno ti fa soffrire, ritorna a te stesso e prenditi cura del tuo dolore, della tua collera.” THICH NHAT HANH Una delle emozioni che può capitare di provare più spesso in questo periodo è lo sconforto. Possiamo definirlo come un grave avvilimento, un profondo abbattimento morale, che comporta amarezza, demoralizzazione, perdita di fiducia e speranza. Ma cosa possiamo fare? Se consideriamo lo sconforto la risposta emotiva di un processo che inizia con uno stimolo (nel nostro caso la situazione attuale di pandemia), possiamo intervenire su questi livelli: 1) capire meglio la situazione. Non possiamo di certo modificarla perché non dipende da noi ma possiamo osservare quali caratteristiche sono connesse con la nostra emozione 2) riflettere sui nostri pensieri che possono influenzare la risposta emotiva 3) osservare ed eventualmente modificare come il nostro corpo si sente 4) domandarci cosa lo sconforto ci sta comunicando. Partiamo dal primo punto. Questa situazione è molto complessa, ci sono molteplici fattori in gioco ( sanitari, psicologici, sociali, relazionali, economici, politici, ambientali...) e tenere tutto insieme non è per nulla facile. Proviamo allora a circoscrivere l'area e a trovare quali caratteristiche della situazione ci portano sconforto. 👉🏻Può essere non vederne una fine vicina. O il fatto che i contagi stanno aumentando, o ancora può essere vedere che non c'è stata ancora una strategia efficace al 100%. Individuare queste caratteristiche ci aiuta a trovare poi i pensieri che sono collegati a noi e che entrano in gioco nel processo emotivo. 👉🏻Se non vedo una fine, allora potrebbe venirmi il pensiero che forse tutto è destinato a restare immutabile e, così anche noi. Se vedo che i contagi stanno aumentando, posso pensare che toccherà prima poi a tutti, anche a me, è inevitabile. Se mi rendo conto che non c'è ancora una strategia vincente, posso pensare che anche i miei sforzi sono serviti a niente. Ed ecco arrivare lo sconforto... 👉🏻 Sentirò il corpo lento, pesante, deattivato, spento, stanco. I battiti del cuore rallentati, i muscoli molli. Arriverà qualche sospiro, uno sbadiglio, la voglia di riposare o magari di piangere. Posso stare in ascolto per qualche minuto di queste sensazioni. Quando sentirò di averle ascoltate a sufficienza, posso decidere di fare qualcosa di attivante: guardare un film divertente, ridere, muovere il corpo, ballare, ascoltare musica energica, cantare, impastare, pulire casa, giocare! E alla fine prestare attenzione a come il corpo si è modificato...le sensazioni connesse con lo sconforto sono diminuite,vero? Arrivati a questo punto è importante capire cosa ci sta comunicando questa emozione. 👉🏻Riprendiamo i pensieri che abbiamo trovato e proviamo a dare loro un senso. Non vedere la fine di qualcosa di negativo è devastante. Forse abbiamo bisogno di ridimensionare il nostro tempo e di trovare progetti da realizzare più a breve periodo. Non possiamo pensare già alla grigliata di Pasquetta o alle vacanze estive come eravamo abituati, ma possiamo programmare qualcosina di gratificante per il tempo libero della settimana. È molto difficile, perché spesso le decisioni politiche avvengono da un giorno all'altro, così come l' andamento dei contagi cambia rapidamente, mentre noi siamo abituati a ragionare sul lungo periodo. Che di tratti di vita personale o lavorativa, spesso a inizio anno già abbiamo pianificato molto i mesi che verranno. Ma se provassimo a cambiare prospettiva? Se pensiamo che non c'è stata ancora una strategia vincente possiamo arrivare alla deduzione che anche i nostri sforzi sono stati vani e magari ci viene voglia di non seguire più tutte le precauzioni Forse abbiamo bisogno di trovare un nuovo senso a quello che stiamo facendo. Magari quello che la singola persona ha fatto non ha cambiato le carte in tavola a livello nazionale ma sicuramente, restringendo il campo, ha portato dei benefici nella propria cerchia. 👉🏻Se lo sconforto ci sta dicendo tutto questo, ascoltiamolo, prendiamoci una pausa per riposare, capire quali sono i nostri bisogni e proviamo poi a cambiare prospettiva. Se avete domande o dubbi, scrivetemi! Lo sconforto non tiene mai conto del firmamento "Il futuro entra in noi, per trasformarsi in noi, molto prima che accada"
R.M. Rilke 📝Psicoesercizio Avete qualche progetto che state seminando per il futuro? Anche questa è resilienza! Il detto dice "Se son rose, fioriranno" ma se ci troviamo in mano dei carciofi?
In questi ultimi tempi, causa pandemia e lockdown, è stata sdoganata la parola "resilienza". La si sente ovunque, viene usata ormai in tutti gli ambiti, da quello sociale, lavorativo a quello personale e relazionale, per indicare la capacità di rialzarsi, di adattarsi, di tornare a sorridere dopo una crisi. Viene sempre citata come una "capacità", e questo lascia spesso intendere che sia qualcosa di acquisibile sì, ma abbastanza immutabile. E per me, che mi sono laureata con una tesi su trauma e resilienza, è un peccato semplificarla così. La resilienza è più un processo. Se andiamo a vederne le origini etimologiche, il termine resilienza deriva dal latino resiliens-resilientis, participio del verbo resilio (da re e salio), ovvero rimbalzare, saltare all'indietro, prendere un'altra direzione. Non è per niente la capacità di resistere, né di sopravvivere, anzi!I materiali resilienti sono quelli che assorbono l'urto, ne sono in parte modificati, e ritornano nella condizione iniziale senza rompersi. È un processo complesso che mette in conto che una crisi ci "modifichi", che ci "urti", che ci "sposti", insomma che porti in noi degli sconquassamenti e con sé la conseguente necessità di "prendere un'altra direzione". Il processo resiliente prevede poi che, una volta presa consapevolezza di ciò che ci è piombato addosso, si possa tornare (se prima c'era) o acquisire (se prima non c'era nemmeno) uno stato nuovo di benessere. Un processo è molto diverso da una capacità perché presuppone un cammino, un cambiamento, due passi avanti e uno indietro, e un insieme di risorse da usare secondo tempi e modi individualmente diversi. Non è mai uguale per tutti. Perché nel MIO processo resiliente posso inserirle le MIE specifiche risorse (che magari cambiano nel tempo, quelle di ieri possono non essere quelle di domani) e seguirò i MIEI specifici tempi, per andare alla ricerca di ciò che davvero è il MIO benessere, sempre nel qui ed ora. Vista da questa prospettiva che effetto vi fa? Mi capita spesso, nel mio lavoro con persone migranti che hanno ricevuto o richiesto la protezione internazionale, che si parli di cosa si aspettavano di trovare prima di intraprendere il loro viaggio. Come è facile immaginare, le aspettative sono molto diverse da ciò che si trova. Le lungaggini burocratiche per i documenti, la fatica di trovare un lavoro, le incomprensioni ... tutto costringe ad una attesa forzata e a richiudere i propri sogni in un cassetto. La cosa che mi sorprende è che, indipendentemente dal paese di origine e dalla ragione che ha portato alla migrazione, emerge quasi sempre un forte senso di colpa. Per tutto ciò che non è e che invece si sarebbe voluto. Per non aver fatto abbastanza, per se stessi e per la propria famiglia. Per essere fermi e non riuscire a sfruttare il tempo, che passa ed invecchia. Io sento una forte rabbia verso l'ingiustizia con cui sono costretti a scontrarsi, loro sentono solo una forte rabbia verso se stessi, che li porta a non farsi pace.
Ma quanto è difficile perdonarci? Quando ci addossiamo tutte le responsabilità e tutte le colpe, quanto è difficile riuscire a vedere la situazione da un'altra prospettiva e dirsi che quello che stiamo facendo è davvero l'unica cosa che possiamo fare in quel momento? Qual è la paura che ti blocca in questo periodo? Vera, senza troppi giri, ci ha fatto capire di non apprezzare il bagno in mare. Bene i giochi sul bagnasciuga, camminare su e giù, raccogliere conchiglie, perfino gli scogli sono stati più invitanti di un tuffo in acqua. Ci abbiamo provato in tanti modi, più o meno diretti o giocosi ma poco è cambiato: Vera in versione koala che ritira i piedini appena cerco di immergerla. Allora ho deciso di lasciar perdere, di ascoltare i suoi desideri e di non forzarla. L'ultimo giorno di vacanza ci ha sorpreso: complice il mare tranquillissimo e senza onde, e la voglia di seguire un gruppo di bambine con le quali stava giocando sulla sabbia, mi ha fatto capire di voler entrare in acqua. L'esperienza marina è durata molto poco, ma sufficientemente per immortalare il momento con uno scatto. L'avversione per l'acqua non è scomparsa ma Vera è riuscita a trovare le risorse e la motivazione per fare un piccolo passo verso ciò che le procura paura. A volte capita così, che qualcosa ci fa paura e nemmeno l'assenza di onde e l'abbraccio sicuro di una mamma possono fare molto. Nemmeno le rassicurazioni, la razionalità, l'appoggio delle persone vicine. Allora forse possiamo darci del tempo. Per scoprire che forse possiamo farcela, che c'è qualcosa per cui vale un po'la pena tentare. Sempre con una rete di sicurezza sotto di noi e tante coccole poi. Se non riesci da sola/o a gestire le tue paure, non significa che tu sia debole o incapace. Semplicemente stai facendo il meglio che puoi ma forse la tua paura ha una ragione per restare. Insieme possiamo scoprire qual è e lasciare che se ne vada.
Se siete interessati a conoscere più in dettaglio l'arte del Kintsugi, potete leggere l'articolo "Le cicatrici d'oro" Vi propongo tre spunti di riflessione sulla tematica: una immagine, un testo e un aforisma. Quanto è importante, dopo una ferita, andare avanti e non fermarsi? Quanto ci costa fermarci? E quanto è difficile ripartire? Cosa vediamo dietro di noi e cosa ci aspetta davanti? Una cicatrice sulla pelle è qualcosa che a volte vorremmo nascondere e i motivi possono essere tanti. E così può succedere anche per le "cicatrici" che ci hanno lasciato tutte quelle esperienze che ci hanno ferito e fatto soffrire. Le nascondiamo per vergogna, per non provare più dolore, perchè ci sentiamo in colpa, perché ci fanno rabbia, per non essere nuovamente feriti o per paura di non essere accettati. Alcune esperienze ci lasciano profonde ferite. Ma il processo di cicatrizzazione, seppur doloroso e faticoso, può insegnarci molto, soprattutto su noi stessi.
Ed eccoci arrivati al quarto paio di occhiali ... lenti gialle,che ci permettono di individuare le risorse,i talenti, le capacità, tutto ciò che ci occorre per raggiungere i nostri obiettivi.
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Emma Montorfano
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Febbraio 2023
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