Vera ha iniziato a dire due paroline molto importanti: "IO" e "NO". Inizia a riconoscersi come un individuo a sé e sperimenta la sua libertà di azione.
Come è bello sentire quel suo "GNO", immaginare quello che sta pensando nella sua testa, come piano piano nasca la consapevolezza di sé, degli altri, del mondo...lo dice con tale semplicità, liberamente e con fermezza, che quasi mi scappa un sorriso. Oggi ha deciso che voleva camminare al parco e che "GNO", non voleva il passeggino, e "GNO", non voleva togliere la mascherina (due no facilmente gestibili, lo ammetto). Ai bambini viene così facile dire no, si divertono quasi, in questo loro bisogno di differenziarsi da noi genitori. E perché per noi adulti invece è così difficile? Arriva il dovere, direte voi, la necessità di fare, di rispettare, di scendere a compromessi, a volte di compiacere o di andare incontro alle esigenze dell' altro. A volte capita che vorremmo dire di no ma non ce la facciamo e ci esce una SÌ. Ma nello spazio tra un sì e un no, ci siamo noi. Con i nostri bisogni, desideri e doveri, con il compito di capire quando possiamo dire no e provare a dirlo, così liberamente come fanno i bambini, per riappropriarci di noi stessi e della nostra individualità.
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Vera e il papà passano spesso del tempo esclusivo insieme, senza di me. Un po' per necessità quando per esempio lavoro, un po' per scelta, quando il papà vuole farle apprezzare la montagna. A volte capita che facciano gite lunghe tutto il giorno: li saluto la mattina e lì riaccolgo a casa la sera. Sono molto felice che riescano a trovare dei momenti solo per loro, perché anche io ho dei ricordi bellissimi di giochi e giri con mio papà. Quando tornano sono curiosa di sapere come è andata, cosa hanno fatto, se è andato tutto bene, se si sono divertiti. E mentre loro non c'erano, io ho avuto del tempo per me, per rimettere insieme i pensieri e gli appunti di lavoro, per farmi una doccia in tranquillità con la musica in sottofondo, per preparare una torta, per vedere qualche film o leggere un libro. Insomma, del tempo per me, per prendermi cura di me stessa. In questi giorni così difficili è importante più che mai riflettere sulle nostre priorità e i nostri bisogni, su ciò che è rimandabile e ciò che non lo è, su ciò che ci fa stare bene e su come possiamo prenderci cura di noi.
Mi capita spesso, nel mio lavoro con persone migranti che hanno ricevuto o richiesto la protezione internazionale, che si parli di cosa si aspettavano di trovare prima di intraprendere il loro viaggio. Come è facile immaginare, le aspettative sono molto diverse da ciò che si trova. Le lungaggini burocratiche per i documenti, la fatica di trovare un lavoro, le incomprensioni ... tutto costringe ad una attesa forzata e a richiudere i propri sogni in un cassetto. La cosa che mi sorprende è che, indipendentemente dal paese di origine e dalla ragione che ha portato alla migrazione, emerge quasi sempre un forte senso di colpa. Per tutto ciò che non è e che invece si sarebbe voluto. Per non aver fatto abbastanza, per se stessi e per la propria famiglia. Per essere fermi e non riuscire a sfruttare il tempo, che passa ed invecchia. Io sento una forte rabbia verso l'ingiustizia con cui sono costretti a scontrarsi, loro sentono solo una forte rabbia verso se stessi, che li porta a non farsi pace.
Ma quanto è difficile perdonarci? Quando ci addossiamo tutte le responsabilità e tutte le colpe, quanto è difficile riuscire a vedere la situazione da un'altra prospettiva e dirsi che quello che stiamo facendo è davvero l'unica cosa che possiamo fare in quel momento? Da qualche tempo ho riscoperto il piacere di girare in bicicletta. Era una cosa che facevo quotidianamente quando ero piccola e gran parte dei pomeriggi soleggiati li passavo a girare nei boschi in bici con le amiche. Adesso, mentre porto Vera all'asilo, vedo altri in bicicletta che corrono, suonano, sono di fretta. Io, che ho sempre associato la bicicletta al piacere e al gioco, mi domando come mai spesso ci facciamo prendere dalla fretta, come mai cerchiamo di non perdere neanche un secondo del nostro tempo e corriamo corriamo...
Mia mamma, qualche giorno fa, mentre stava giocando con Vera, mi ha detto che quando andava a lavorare non "aveva mai il tempo" per giocare con noi. Perché era stanca, perché c'era sempre qualche altra faccenda da sbrigare, perché il dovere veniva sempre prima. Credo che sia tutto una questione di equilibrio: il tempo è lì, è certo e scorre. Sta a noi decidere quando accelerare e quando invece rallentare. Abbiamo scoperto che a Vera piace molto ballare. Lo fa a modo suo, muovendo piedi e mani, e spesso imitando i gesti degli adulti. Lei si diverte molto e pure io, un po' per la comicità dei suoi gesti, a tratti infantilmente goffi, un po' perché la vedo contenta e sorridente.
Tutti abbiamo qualcosa che ci piace fare. Molte volte ciò che ci piace fare coincide con ciò che ci viene molto bene, altre invece facciamo qualcosa di piacevole senza che il risultato sia ottimo. O meglio, "ottimo" secondo quanto ci si aspetta o si crede che debba essere. Vera è felice di muovere le mani, le piace, c'è qualcuno che le direbbe mai che non lo fa nel modo ottimale? No, perché è una bambina e ai bambini è concesso. Per gli adulti invece le aspettative cambiano. Si introduce la dimensione del dovere, sicuramente necessaria, ma che a volte rischia di prendere il sopravvento. E se per certi versi questo "dovere" ci permette di migliorare, dall'altro lato ci toglie il puro piacere di fare qualcosa che ci fa sorridere e stare bene, senza pensare al risultato. Se vi interessa l'argomento, vi aspetto domani con un esercizio! Settimana scorsa pioggia e freddo ci hanno messo a dura prova: via l'estate in un lampo ed eccoci in autunno. Spesso i temporali e la pioggia vengono usati come metafore per descrivere il dolore, la sofferenza, la tristezza. E altrettanto spesso ci dicono, sempre nella metafora, che la pioggia è necessaria per la crescita, che dopo la tempesta arriva il sole, che non c'è arcobaleno senza temporale, che bisogna imparare a ballare sotto la pioggia...beh, sì, potrebbe essere anche bello e romantico ballare sotto la pioggia ... a condizione che non sia un diluvio e che si abbia la sicurezza di una casa calda dove asciugarsi e riposarsi poi. Voglio sfidare chiunque a trovare un lato positivo nello stare dentro al temporale sempre, senza reti di sicurezza, senza che smetta, senza sapere dove andare e se finirà mai!
Mi ha fatto pensare alle persone che incontro nel mio studio: anche loro stanno attraversando una tempesta e io chiedo loro di raccontarmela, di starci dentro, di capirla insieme, di trovarne un senso per poterne uscire. Oggi voglio dire loro che stanno facendo un lavoro pazzesco, doloroso e faticoso e voglio ringraziarli perché, nonostante non riescano a vedere il sole dietro le nuvole, si fidano di me. |
Emma Montorfano
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Febbraio 2023
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