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A casa dei miei genitori, nelle occasioni importanti, si tirava fuori "il servizio bello": piatti, posate e bicchieri tenuti tutto l'anno dietro le vetrinette e rispolverati in occasione delle festività, dei pranzi coi parenti, delle cerimonie. Servizi di piatti decorati, bicchieri brillanti, posate in argento, tutti bellissimi ancora a distanza di anni. E a distanza di anni ancora utilizzati poco (anzi, forse sempre meno).
Allora penso: ma perché mai non usiamo il "servizio bello" tutti i giorni? Viviamo aspettando l'occasione giusta per sfoggiare quel vestito, per il bicchiere di cristallo, per la bottiglia di vino, per comprare un mazzo di fiori, per fare un regalo, per fare questo e quello. Ma in realtà, oggi è l'occasione giusta, ogni giorno può essere il giorno speciale. 📝 Psicoesercizio Qual è quella cosa che tieni per le occasioni importanti? Pensi che oggi possa essere una giornata speciale per usarla? Ecco un esercizio di rilassamento per quando sentiamo di non avere il controllo del nostro tempo, per quando ci sembra che le giornate ci scivolino via senza riuscire a viverle in pieno.
🔍Cercate un luogo tranquillo, in cui vi potete mettere a vostro agio 👀Chiudete gli occhi e appoggiate i vostri piedi a terra. Muoveteli un po'per sentire il pavimento sotto di voi, ben saldo 👂🏻Aguzzate l'udito e provate ad individuare cinque suoni o rumori intorno a voi 👃🏻Quando li avrete trovati, sempre ad occhi chiusi, provate a trovare cinque odori 🫁Quando avrete finito, fate dei respiri profondi sempre tenendo i piedi ben ancorati a terra. 😌Potete riaprire gli occhi Questo semplice esercizio permette di riconnettersi con il presente, con il tempo del "qui ed ora". Ieri sera mentre preparavo Vera per la nanna, mi è arrivata la sensazione di non aver vissuto bene la giornata con lei, nonostante avessimo passato insieme gran parte del tempo. Sarà perché abbiamo giocato poco insieme e lei ha dovuto farlo da sola mentre mi occupavo di altro in casa. Mi è proprio sembrato che la giornata fosse passata via veloce, che fosse da tanto che non vedevo il suo visino e che mi fossi persa qualcosa "ma come, siamo già arrivati a sera?" "e dove sono stata?".
Mi ha fatto pensare che spesso siamo presenti fisicamente ma chissà come mai non ci siamo davvero. Può succedere in casa, con i figli, nelle relazioni, nel lavoro, perfino in terapia. Il nostro corpo è lì, ma è come se non ci fossimo totalmente. Perché è difficile e faticoso esserci sempre al 100%. In alcuni casi, anche doloroso. A voi capita mai? Come state quando succede? E che cosa fate dopo? Ultimamente, durante un colloquio in studio, mi è capitato di rispondere alla domanda sul perché abbiamo bisogno di "essere visti" dagli altri, di essere apprezzati e amati, di sapere che siamo importanti per qualcuno.
Fondamentale perché esistiamo nella relazione. Siamo "animali sociali", abbiamo bisogno dell'altro per essere felici, per stare bene. La sopravvivenza stessa della specie dipende da un incontro fra due persone. Diventiamo ciò che siamo perché immersi in un tessuto relazionale, dove ci si influenza vicendevolmente. Il lockdown ci obbliga a limitare le relazioni, la socialità. E gli effetti possono essere tanti. Quanto vi pesa ? Che conseguenze state notando? Durante il primo lockdown, io e la collega Anna Gigliarano avevamo provato a descrivere ipotetici stati d'animo legati alla mancanza di socialità, associando ad ogni stato un animale... www.emmamontorfanopsicologa.com/il-block-notes-della-psicologa/in-quarantena-che-animali-diventiamo Vi ritrovate? Quante volte l'immagine che gli altri ci riflettono di noi stessi non è la stessa che appare a noi. Possono vederci migliori di come ci vediamo noi e allora sorgono i dubbi, la sensazione di non meritare quelle attenzioni, il sentirsi in debito, la pressione delle aspettative. Altre volte sembra invece che gli altri vedano solo il lato peggiore. Ecco allora il dolore, il senso di inadeguatezza, la colpa, la vergogna, la convinzione che l'amore vada meritato...
E alle volte, pur di essere visti, ci va bene essere visti anche "peggiori". Avete già fatto il cambio armadio? No, non è un post sulla moda, anzi! Riflettevo oggi sistemando maglioni sul perché le persone vengono in terapia. Desiderano cambiare. Cambiare abiti, stagioni, pensieri, azioni, se stessi, le relazioni che vivono. E può sembrare paradossale (e forse lo è) ma una delle prime cose che mi capita di fare è dare valore a tutto ciò che la persona ha fatto fino ad ora. Non importa se giusto o sbagliato, se poteva fare diversamente o altro. Ciò che la persona ha fatto è stato il meglio che riusciva a fare in quel momento, la migliore soluzione che ha trovato per andare avanti e va benissimo così. Sarà poi il tempo della relazione terapeutica, partendo da questa premessa, a permettere di trasformare il "prima" e di cambiarlo "poi".
Quante volte ci capita di non prenderci le pause di cui abbiamo bisogno? Ci sentiamo forse in colpa, perché ci sembra di perdere tempo, di lasciare indietro gli impegni e le scadenze, di non essere al massimo. Viviamo in una società che ci vuole efficienti e attivi, prestanti e flessibili, sempre. Così facciamo spazio solo al fare e al dire, pensando che il semplice "stare" sia superfluo,sia qualcosa per deboli e molli. Invece non è uno spreco di tempo e serve per tanti motivi, per ricaricare le energie, per sintonizzarsi sulle frequenze dell'altro, per capire se stiamo bene oppure no.
📝Voi vi concedete delle pause? Dei momenti di riposo? Quando le fate come vi sentite? La rabbia è forse, tra le emozioni, quella più bistrattata. Viene mal vista socialmente perché spesso associata all'aggressività, che invece è un comportamento e può essere messo in atto a seguito di diverse emozioni, non solo della rabbia. E di rabbia, durante questo anno di pandemia, ne abbiamo provata e vista tanta. 👉🏻Non poter vedere i propri cari e gli amici, non poter essere liberi di fare ciò che eravamo abituati a fare, vedere le conseguenze del virus e delle scelte politiche nella propria vita e in quella della propria famiglia a tutti i livelli (individuale, sociale, economica ecc). 👉🏻 Può capitare spesso di pensare "non è giusto", "perché?" e subito sentiamo la necessità di trovare delle motivazioni o un "colpevole" verso cui indirizzare la nostra rabbia. 👉🏻Ci sentiamo attivati, la testa è annebbiata, la voglia di muoversi, di scagliare qualcosa a terra, di prendere a pugni, anche di fare male. 👉🏻La rabbia è una emozione potentissima e la sentiamo così forte, così istintiva perché ha proprio a che fare con noi stessi, con i nostri confini, con la nostra sopravvivenza. Proviamo rabbia quando i nostri bisogni non sono soddisfatti o sentiamo che l'altro ha invaso un confine nostro, senza rispettarlo. 📝 Psicoesercizio Quando sentiamo arrivare la rabbia, fermiamoci qualche minuto. E ascoltiamola, senza passare subito ad una azione/reazione. Qual è il bisogno che ci sta dietro? Quale aspetto di me vedo calpestato? Quali dei miei confini (materiali, relazionali, temporali) sento che non sono rispettati? Cosa sento che mi manca e che vorrei? Cosa puoi fare tu per quel bisogno? “Quando ti arrabbi, ritorna a te stesso e prenditi molta cura della tua rabbia. Quando qualcuno ti fa soffrire, ritorna a te stesso e prenditi cura del tuo dolore, della tua collera.” THICH NHAT HANH Nel libro "I miserabili" Victor Hugo scriveva “L'oscurità dà le vertigini. L'uomo ha bisogno della luce: e chiunque si tuffi nell'opposto della luce si sente il cuore stretto. Quando l'occhio vede nero, la mente vede confuso; nell' eclisse, nella notte, nella caliginosa opacità v'è l'ansia, anche per i più forti.” E' molto frequente che in questo periodo di pandemia si provi ansia, apprensione, panico, preoccupazione, timore, sgomento, a volte addirittura terrore ed angoscia. Le raggruppo sotto lo stesso cappello, poiché possiamo vederle come sfumature dell'emozione base PAURA. Sono emozioni collegate al futuro, che ci comunicano qualcosa su come noi stiamo immaginando, visualizzando, ipotizzando e vivendo l'arrivo del "domani". Partiamo, come per lo sconforto, dal primo punto, ovvero capire meglio la situazione. Quali caratteristiche sono connesse con la nostra emozione? Può essere l'alto numero di morti e di contagiati o la mancanza di soluzioni definitive ed efficaci una volta per tutte. O ancora la persistenza del virus e la sua rapida diffusione a livello mondiale, con il blocco di tante attività e relative conseguenze. I pensieri che si fanno strada possono richiamare allora il tema della morte, della propria e di quella delle persone a cui vogliamo bene, ma anche più in generale il tema dell'incertezza, dello sconosciuto, del non sapere cosa ci potrà accadere, cosa ci attende. Tutto ci sembra fuori il nostro controllo. La morte è per definizione qualcosa che non conosciamo, che non possiamo prevedere né controllare, è il vuoto, il nulla, il buio. Ecco allora che il nostro corpo reagisce alla paura, in due differenti modalità. Può o immobilizzarsi o attivarsi. Sono due reazioni che osserviamo anche negli animali: ci sono prede che fingono di essere morte per scampare al predatore e altre che invece fuggono. Nel primo caso, può essere utile seguire i suggerimenti dati per lo sconforto: muovere il corpo, che può essere ballare, fare qualcosa con le mani, camminare, o anche solo scrivere. Nel secondo caso, il corpo reagisce nel modo apposto: si sta preparando alla fuga, quindi i battiti aumentano, il respiro è affannoso, le gambe iniziano a tremare. Possiamo allora cercare qualcosa che rallenti questi cambiamenti, che rilassi i muscoli e il respiro: ad esempio ascoltare musica rilassante, leggere, osservare delle immagini piacevoli, provare qualche esercizio di respirazione, preparare una tazza di té o di latte (dall'aspettare che l'acqua bolla al sorseggiarla lentamente). Arrivati fino a qui, possiamo allora domandarci cosa queste sfumature di paura ci stanno comunicando. Ci stanno dicendo di fare attenzione, che i rischi sono molto alti, soprattutto per la sensazione che sia tutto fuori il nostro controllo. Di fronte al vuoto, all'indicibilità del futuro, la nostra mente ci prefigura gli scenari peggiori, affinché possiamo arrivare preparati ad affrontarli. Se non avessi timore di bruciarmi e non pensassi che con la teglia in forno potrei scottarmi, difficilmente prenderei la presina. In questo senso la paura è molto utile, dobbiamo ascoltarla, altrimenti rischieremmo sempre grosso. E' quando però gli scenari peggiori non lasciano il minimo spazio ad altro che diventa difficile. Vi suggerisco allora un esercizio, per allenarci a vedere altri scenari. Dobbiamo fare appello alla nostra curiosità. Andare alla ricerca di quelle cose che il futuro potrebbe avere in serbo per noi e riprenderci il controllo su quelle. Piccole o grandi cose, tutto va bene. Potrei vedere un futuro in cui posso decidere come organizzare del tempo gratificante a casa. Potrei immaginare un domani in cui metto in atto dei comportamenti che mi proteggono e proteggono i miei cari. Potrei pensare a come mi potrebbe servire per affrontare al meglio il futuro (riprendendo la metafora di prima, quali presine potrei usare per proteggermi dal calore del forno). Posso anche pensare di ammalarmi o che si ammalino le persone a me vicino ma che saprò quali risorse attivare per gestire quel momento doloroso. Posso immaginare come sarà la ripresa, quali primi passi concreti potrò, vorrò, dovrò fare per risalire dal fondo. Provare insomma a creare diversi "poi" a partire da un "ora" che ci fa paura. “L'ansietà è lo spazio tra 'ora' e 'poi'.” |
Emma Montorfano
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Febbraio 2023
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