Volete avere un riscontro immediato di come i vostri figli treenni vi vedono come genitori?
Niente trucchi, provate a proporre loro di giocare a fare "la mamma/ il papà"! Voi fate i figli mentre loro fanno finta di essere i genitori. Metteranno in scena buona parte di ciò che vivete insieme, come vi comportate, cosa dite, come sgridate e come consolate. E vi assicuro che vedervi dall'esterno fa sempre un certo effetto. Un cambio di prospettiva, che può aiutare a chiedersi "ma mi piaccio così?" Buon divertimento!
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Quando si pensa ai bambini si pensa subito ai giochi. Giocare è ciò che amano di più, che fanno durante quasi tutto il giorno, tutti i giorni. E' quando si entra in età scolare che il gioco lascia spazio ai compiti, fino all'età adulta in cui c'è il lavoro e il giocare si declina solo nell'attività sportiva. Spesso diciamo "non giocare" quando vogliamo che l'altro resti serio o che non ci prenda in giro. Eppure il gioco è una cosa seria. Li avete visti mai i bambini impegnati nel gioco? Come sono concentrati, precisi, creativi? E' attraverso il gioco che apprendono un sacco di cose! Questo accade perché il cervello resta stimolato ed attento quando si fa qualcosa di piacevole e divertente, dando il massimo di sé.
Sì, ma funziona solo con i bambini, mi dirà qualcuno. Ed invece no. Ci sono delle ricerche, descritte in questo post www.emmamontorfanopsicologa.com/il-block-notes-della-psicologa/the-fun-theory, che illustrano come anche per noi adulti valga la stessa regola. Chissà perché allora l'abbiamo dimenticata per strada, crescendo. Essere genitori credo sia una grande opportunità in questo senso. Si riscopre l'arte del giocare, del ridere, dello stare insieme. Ed un cervello "felice" è un cervello attivo! Ricordiamoci sempre che il gioco fa parte della natura degli animali, compresi noi essere umani, e che "L’uomo non smette di giocare perché invecchia, ma invecchia perché smette di giocare". (George Bernard Shaw) Ieri Vera ha preso un mestolo in mano e ha fatto finta di telefonare alla nonna! È il cosiddetto gioco simbolico, del fare finta che. I bambini usano degli oggetti non per la loro reale funzione, ma immaginando che sia altro. Il divano diventa un'isola sperduta nel mare e loro dei pirati all'arrembaggio, un mestolo diventa un cellulare, foglie e sassi una delizia da cucinare con cura e servire agli entusiasti commensali. È una tipologia di gioco davvero molto importante per i bambini, per la loro crescita emotiva e relazionale. Ed è strabiliante osservare come loro ci credano davvero, di essere dei pirati, dei cuochi, di star parlando con la nonna al telefono. I gesti, le espressioni, tutto sembra reale. Come se bastasse immaginarlo perché esista.
Quanto spesso capita anche a noi di perderci tra i nostri pensieri? Immaginarci "come se..." , in un altro luogo, con altre persone, in situazioni diverse, con quello che desideriamo e così via? Come per i bambini, anche per noi è importante immaginare. Perché? Perché l'immaginazione aiuta a formare un pensiero, a rendere più "possibili" delle situazioni, a farle diventare più facilmente accessibili. E se credo che siano realizzabili e già mi sono visto nella mia testa a fare quella cosa lì, sarò più predisposto a cercare tutte le risorse, personali o esterne, che faranno sì che quella situazione si avveri. Questo vale sia per le situazioni desiderate che per quelle temute, con esiti opposti. Più temo una cosa, più il mio comportamento sarà guidato a continuare a temerla e inciamperò in situazioni che mi confermeranno il mio pensiero, solidificandolo. Né mi attiverò affinché qualcosa cambi: se immagino che andrà male, perché fare qualcosa? Sarà inutile, ci diciamo. E l'esito sarà proprio quello negativo. In psicologia si chiama profezia che si autoavvera. I bambini già lo sanno ed infatti giocano solo cose belle. ![]()
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Quante volte riceviamo il consiglio di fare le scale anziché prendere l’ascensore o la scala mobile? E quante volte non ascoltiamo questo consiglio? L’agenzia DDB di Stoccolma, sponsorizzata dalla Volkswagen Svezia, si è posta questa ed altre domande, partendo dal concetto che il divertimento è il modo più semplice per migliorare il comportamento delle persone e ha creato una campagna di marketing chiamata The Fun Theory. La campagna si fonda su una serie di esperimenti condotti in ambiente urbano in relazione ai quali vengono registrate le reazioni della gente. Nel video una scala della stazione della metropolitana Odenplan di Stoccolma è stata trasformata in un pianoforte gigante, ma sul sito dedicato sono presenti altri due video della campagna: in uno si vede la gente in un parco raccogliere da terra l’immondizia allo scopo di sentire il suono del bottino per rifiuti “più profondo del mondo” (in realtà si tratta di un dispositivo sonoro che si attiva con un sensore ogni volta che un rifiuto viene gettato nel bottino); nell’altro si mostra come un cassonetto per la raccolta differenziata del vetro, trasformato in un gioco Arcade, possa incentivare la raccolta stessa. A sentir loro, il divertimento “funziona”. Il 66% in più di persone usa le scale, il bottino sonoro raccoglie 72 kg di spazzatura contro i 41 di un bottino normale e il gioco Arcade richiama in una sola serata un centinaio di persone. E’ un bell’esempio di pensiero laterale e mostra come offrendo "pezzi" di bellezza, di meraviglia e divertimento inaspettato nelle operazioni di vita quotidiana, si possano efficacemente influenzare i comportamenti delle persone rendendo qualcosa divertente. L’idea che si possano influenzare le persone a fare delle “buone scelte” per sé, per l’ambiente o per la società, tuttavia non è nuova. Gli economisti comportamentali, di cui uno dei più famosi esponenti è lo psicologo Daniel Kahneman, vincitore del Nobel per l’economia 2002, da tempo hanno preso in considerazione il peso dell’irrazionalità nei processi decisionali umani. Essi affermano che l’homo economicus, teorizzato dagli economisti classici, dovrebbe essere qualcuno che, quando si confronta con una decisione, pensa a tutte le opzioni disponibili e compie sempre una scelta perfetta. Però, “l’homo economicus ha la potenza della mente di Albert Einstein, il magazzino di memoria del Big Blue di IBM e l’autocontrollo del Mahatma Gandhi.” Noi, tutti gli altri, siamo semplici homo sapiens, e quindi andiamo aiutati nei nostri processi decisionali. Uno dei primi esperimenti di Thaler fu condotto nei servizi igienici dell’aeroporto di Amsterdam. Una semplice mosca disegnata sull’orinatoio fece sì che la quantità di urina sul pavimento diminuisse dell’80%. Chi si occupa di favorire il processo decisionale verso la scelta giusta è definito un “architetto della scelta” e ha il compito di organizzare una struttura, spesso invisibile, in modo da aiutare l’homo sapiens a scegliere il meglio per sé e per la società. Questo approccio viene da loro definito “paternalismo libertario” e rappresenta una forma morbida e non intrusiva di intervento, in cui le scelte alternative non sono bloccate o negate e quindi non limita la libertà dell’individuo. Certamente nasce il timore che l’arte della persuasione possa essere spinta fino a diventare un’arma insidiosa (e già ne scrisse ampiamente Robert Cialdini), tuttavia imparare a usare a fin di bene l’irrazionalità umana sembra un approccio interessante. Anche perché risolvere un problema alla base è sempre meglio che cercare di rimediarvi dopo che si è creato. Tornando al concetto del divertimento e del gioco, sembra di poter dire che nella società occidentale attuale vi siano pochi spazi per queste attività e che vi sia una necessità di ristabilire l’equilibrio. Oggi il centro di gravità (cioè “il peso”) sta nel lavoro e non nel gioco o nella creatività, e spesso il lavoro richiede soltanto la partecipazione parziale dell’individuo. Il contrappeso dovrebbe comportare un coinvolgimento globale dell’individuo, e il gioco ha proprio questa caratteristica. Quindi ben vengano queste situazioni giocose in cui viene stimolato un coinvolgimento attivo e un’esperienza multisensoriale e che provocano emozioni e ricordi positivi. Sunstein C.R., Thaler R.H., Nudge: Improving Decisions about Health, Wealth, and Happiness Yale University Press, New Haven (Ct) 2008; trad.it. Nudge. La spinta gentile, Feltrinelli, Milano 2009 In un articolo del blog alleyoop.ilsole24ore.com l'insegnante Antonella Bonavoglia scrive a proposito dell'importanza del gioco simbolico: Lucia e Martina sembra che stiano litigando. “Facciamo finta che io sono la mamma e tu la figlia!” “No! Voglio essere io la mamma!” Il desiderio di intervenire in questo tipo di litigi, in classe, è forte. Potrei richiamare le bambine, calmando la loro rabbia e, magari riportandole al silenzio. Ma non lo faccio e vi spiego perché. Il giocare “a fare finta” è una modalità ludica importantissima, sempre meno utilizzata, purtroppo. Le due bambine non stanno semplicemente litigando; stanno misurandosi, si stanno confrontando, cercando di capire fino a che punto spingersi, fino a che punto insistere o meno, fino a che punto cedere. Si stanno conoscendo, stanno attuando strategie nuove di comunicazione e di socializzazione. Non solo. Stanno immaginando: di essere altrove, di essere altro. In quel momento stanno fantasticando di essere due donne adulte, stanno scegliendo il proprio ruolo e, anche se non è evidente, la loro personalità si espande, verso l’esterno, cercando di pensare a situazioni future o riproponendo scene già viste. Lo psicologo Jean Piaget, ha analizzato, nel corso della sua carriera, questa particolare modalità di gioco, denominata “gioco simbolico”. Si sviluppa a partire dai due anni di età e continua fino agli otto, circa. In questo periodo i bambini cominciano ad adoperare il pensiero simbolico in quanto acquisiscono la capacità rappresentativa, cioè sono in grado di rappresentarsi mentalmente cose, oggetti, situazioni, persone indipendentemente dalla loro presenza. I bambini sono in grado di compiere imitazioni differite, cioè di rappresentare azioni passate delle quali sono stati testimoni (come pettinare la bambola allo stesso modo della madre che pettina la sorellina). Frutto di tale fenomeno è il gioco “far finta di”, appunto il gioco simbolico, che presuppone un’imitazione differita (correre sopra un cavallo) e delle combinazioni mentali (usare il manico di scopa al posto del cavallo). Piaget (1962) ha posto in stretta relazione il gioco e lo sviluppo cognitivo dei bambini. Durante il secondo anno di vita le azioni di gioco diventano ancora più complesse coinvolgendo oggetti che a loro volta possono diventare altri oggetti, come un cubo che diventa una torre. Il gioco diventa così simbolico o di rappresentazione, perché costituisce un mezzo per mettere in atto delle scene simboliche. I bambini nativi digitali, hanno a disposizione una vasta gamma di giochi, adatti alla loro crescita e al potenziamento delle loro abilità cognitive. Pensiamo all’importanza della robotica e dell’informatica: attraverso l’interazione con dispositivi elettronici, è possibile sviluppare il problem solving, la capacità di ragionamento, di interpretazione della realtà. Eppure, sembra avere sempre meno spazio, il gioco libero. A volte viene visto, soprattutto in classe, una “perdita di tempo”. A scuola dell’infanzia, invece, ad esempio, è importantissimo lasciare dei momenti “vuoti” , in cui i bambini possano sentirsi liberi di muoversi e di inventare giochi, senza l’intervento dell’insegnante. E’, tra l’altro, un modo per osservare gli alunni, i loro comportamenti, le loro scelte, il loro modo di comunicare, la loro capacità di autonomia. E’ sorprendente ciò che i bambini riescono a fare solo con l’immaginazione e quanto si riesca a scoprire della loro personalità, semplicemente, osservandoli. Nel periodo estivo, quando le giornate dei piccoli non sono scandite da impegni scolastici, sportivi e ricreativi, sarebbe davvero opportuno ritrovare una sensazione fastidiosa e allo stesso tempo preziosa: la noia. E’ proprio nei momenti “vuoti” che si nasconde la scintilla della creatività, è proprio qui che si sviluppa il gioco simbolico. La fondamentale importanza dell’aspetto ludico nel favorire l’apprendimento deve essere sempre ricordata dagli educatori e dagli adulti, in generale. Troppo spesso si toglie tempo al gioco libero, privilegiando altre attività considerate più formative. Invece, attraverso il gioco, il bambino acquista autonomia, sviluppa la sua identità e arricchisce anche le sue competenze, che lo aiuteranno a trovare un posto nel mondo. Articolo di Antonella Bonavoglia |
Emma Montorfano
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Febbraio 2023
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