Viviamo in una cultura in cui il linguaggio verbale è il canale principale con il quale interagiamo. È interessante notare come il linguaggio del corpo sia definito "non verbale", come una negazione di qualcosa piuttosto che come la presenza di altro.
Ma sperimentiamo quotidianamente quanto anche il corpo sia comunicativo. Si attiva, si arrabbia, si agita, salta, respinge, si avvicina... risponde agli stimoli esterni in connessione con il cervello. A livello fisiologico questa connessione è molto vivida. Ci sono episodi infatti in cui il sistema di allarme del cervello, di fronte ad una minaccia alla nostra "sopravvivenza"( pensiamo ad una aggressione ad esempio), fa innescare automaticamente una risposta programmata del corpo: la nostra mente cosciente si spegne parzialmente e il corpo si prepara a correre, a nascondersi, a combattere, a congelarsi. Prima di essere pienamente consapevoli della situazione, il nostro corpo può già essere in movimento. Se queste risposte hanno successo e riusciamo a sfuggire al pericolo, recuperiamo il nostro equilibrio interno e gradualmente riconquistiamo i nostri sensi. Ma non sempre, per fortuna, viviamo questo tipo di esperienze. A volte però sono eventi della vita molto dolorosi, molto stressanti, estremamente faticosi, che portano con sé un carico emotivo complesso, manifestato nel corpo. Per riuscire ad andare avanti, può capitare di silenziare la parte emotiva, di non volerla o poterla guardare (occhio non vede, cuore non duole), di non sapere come gestirla, o cosa farsene. Si passa oltre. Ma è come se il corpo sapesse che non si può stare meglio fintanto che non ci si confronta con le sensazioni corporee, le emozioni e i significati che queste assumono per la persona. Così "fa ancora più chiasso", come un bambino che vuole essere ascoltato e guardato dal proprio genitore. Può attivarsi di più (ansia, rabbia, paura e si sente la perdita di controllo), si può spegnere in modo drastico (apatia, ritiro), può attirare l'attenzione producendo nuovi sintomi (mal di testa, insonnia, problemi intestinali, vomito, dermatiti etc), può agire anche attraverso la violenza, verso sé e verso gli altri. Può essere difficile mettere in parole queste sensazioni. Il linguaggio verbale infatti si è evoluto principalmente per condividere le "cose là fuori" non per comunicare la nostra interiorità. Il centro del linguaggio, nel cervello, si trova nell'area più lontana possibile dal centro di percezione del proprio sé, di chi si è. Insomma, si fatica non poco a dare forma e complessità (chi è in terapia lo sa bene). La percezione delle sensazioni corporee, l'osservazione del modo in cui il corpo interagisce con il mondo, sono fondamentali per la consapevolezza emotiva. Da qui si può ripartire per recuperare le parole, per narrarsi e trovare così un senso a quanto vissuto, collocandolo nella propria storia.
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"Dai, veloce, che dobbiamo andare!"
Ci sono mattine in cui si va di fretta: giusto il tempo per la colazione, bisogna prepararsi veloci per uscire che il lavoro non aspetta! E c'è Vera che invece se la prende con calma, vuole vestirsi da sola, giocare, curiosa nella borsa di lavoro lasciando sul pavimento i resti di ciò che trova, poi c'è la pipì dell'ultimo minuto e poi ancora la scelta del gioco da portare con sé, che non è mai quello giusto al primo colpo ma bisogna cambiarlo sempre! Proprio quando il tempo scarseggia, lei rallenta! Mentirei se dicessi che non sale un po'di fastidio (qui un chiaro esempio di bisogni insoddisfatti che fanno uscire la rabbia!)...Che lo faccia apposta? Viene da pensare! Ma poi osservo prima di tutto me stessa. Sono io che ho esigenze diverse, che necessito di cambiare i ritmi e le chiedo di adeguare i suoi ai miei. Quando si deve andare al lavoro o ad un appuntamento, quando il tempo è contato, perché la quotidianità è fatta anche di incastri, che sia anche solo preparare il pranzo! Penso che forse le sto chiedendo davvero uno sforzo grande per la sua età e che, come pesa a me, pesa anche a lei. Magari di soluzioni non ce ne possono essere, magari continueró a dire "dai, veloce, che dobbiamo andare!" perché il tempo è quello che è, non si può raddoppiare a piacimento! Forse mi basta sapere che siamo sulla stessa barca, che i momenti lenti si affiancano a quelli veloci e che dobbiamo supportarci a vicenda per andare avanti. Voi che ne pensate? Per i più è ricominciato il lavoro.
In questi giorni pullulano sul web i "rimedi" per affrontare al meglio il rientro (provate a googlare queste parole e troverete una infinità di risposte). Addirittura si citano i termini "disturbo da stress" post vacanze (!) e depressione (?), e vengono sciorinati dati Istat su quanti soffrono il ritorno al lavoro. Andiamoci piano, insomma. Il rientro al lavoro non ha tanto a che fare con la fine delle vacanze in sé, ma piuttosto con la nostra quotidianità, con il nostro senso del dovere, i ruoli, le nostre aspettative (nostre su noi stessi o quelle altrui su di noi). Non a caso alcune ricerche condotte sui lavoratori osservano come l'effetto "benefico" delle vacanze duri davvero molto poco. Non c'è un modo magico per ri-immergerci in tutto questo e fare scomparire ciò che ci stava stretto prima (nonostante magari sperassimo che le vacanze facessero proprio questo per noi). Non per forza deve essere un rientro con mille progetti (settembre e gennaio ne sono sempre pieni!), non per forza dobbiamo iniziare carichi. Va bene trovare il nostro modo ...qual è il tuo? 📝 Psicoesercizio Come sei ripartito/a e come ti sarebbe piaciuto farlo? Ecco un esercizio di rilassamento per quando sentiamo di non avere il controllo del nostro tempo, per quando ci sembra che le giornate ci scivolino via senza riuscire a viverle in pieno.
🔍Cercate un luogo tranquillo, in cui vi potete mettere a vostro agio 👀Chiudete gli occhi e appoggiate i vostri piedi a terra. Muoveteli un po'per sentire il pavimento sotto di voi, ben saldo 👂🏻Aguzzate l'udito e provate ad individuare cinque suoni o rumori intorno a voi 👃🏻Quando li avrete trovati, sempre ad occhi chiusi, provate a trovare cinque odori 🫁Quando avrete finito, fate dei respiri profondi sempre tenendo i piedi ben ancorati a terra. 😌Potete riaprire gli occhi Questo semplice esercizio permette di riconnettersi con il presente, con il tempo del "qui ed ora". Ieri sera mentre preparavo Vera per la nanna, mi è arrivata la sensazione di non aver vissuto bene la giornata con lei, nonostante avessimo passato insieme gran parte del tempo. Sarà perché abbiamo giocato poco insieme e lei ha dovuto farlo da sola mentre mi occupavo di altro in casa. Mi è proprio sembrato che la giornata fosse passata via veloce, che fosse da tanto che non vedevo il suo visino e che mi fossi persa qualcosa "ma come, siamo già arrivati a sera?" "e dove sono stata?".
Mi ha fatto pensare che spesso siamo presenti fisicamente ma chissà come mai non ci siamo davvero. Può succedere in casa, con i figli, nelle relazioni, nel lavoro, perfino in terapia. Il nostro corpo è lì, ma è come se non ci fossimo totalmente. Perché è difficile e faticoso esserci sempre al 100%. In alcuni casi, anche doloroso. A voi capita mai? Come state quando succede? E che cosa fate dopo? Quante volte ci capita di non prenderci le pause di cui abbiamo bisogno? Ci sentiamo forse in colpa, perché ci sembra di perdere tempo, di lasciare indietro gli impegni e le scadenze, di non essere al massimo. Viviamo in una società che ci vuole efficienti e attivi, prestanti e flessibili, sempre. Così facciamo spazio solo al fare e al dire, pensando che il semplice "stare" sia superfluo,sia qualcosa per deboli e molli. Invece non è uno spreco di tempo e serve per tanti motivi, per ricaricare le energie, per sintonizzarsi sulle frequenze dell'altro, per capire se stiamo bene oppure no.
📝Voi vi concedete delle pause? Dei momenti di riposo? Quando le fate come vi sentite? La rabbia è forse, tra le emozioni, quella più bistrattata. Viene mal vista socialmente perché spesso associata all'aggressività, che invece è un comportamento e può essere messo in atto a seguito di diverse emozioni, non solo della rabbia. E di rabbia, durante questo anno di pandemia, ne abbiamo provata e vista tanta. 👉🏻Non poter vedere i propri cari e gli amici, non poter essere liberi di fare ciò che eravamo abituati a fare, vedere le conseguenze del virus e delle scelte politiche nella propria vita e in quella della propria famiglia a tutti i livelli (individuale, sociale, economica ecc). 👉🏻 Può capitare spesso di pensare "non è giusto", "perché?" e subito sentiamo la necessità di trovare delle motivazioni o un "colpevole" verso cui indirizzare la nostra rabbia. 👉🏻Ci sentiamo attivati, la testa è annebbiata, la voglia di muoversi, di scagliare qualcosa a terra, di prendere a pugni, anche di fare male. 👉🏻La rabbia è una emozione potentissima e la sentiamo così forte, così istintiva perché ha proprio a che fare con noi stessi, con i nostri confini, con la nostra sopravvivenza. Proviamo rabbia quando i nostri bisogni non sono soddisfatti o sentiamo che l'altro ha invaso un confine nostro, senza rispettarlo. 📝 Psicoesercizio Quando sentiamo arrivare la rabbia, fermiamoci qualche minuto. E ascoltiamola, senza passare subito ad una azione/reazione. Qual è il bisogno che ci sta dietro? Quale aspetto di me vedo calpestato? Quali dei miei confini (materiali, relazionali, temporali) sento che non sono rispettati? Cosa sento che mi manca e che vorrei? Cosa puoi fare tu per quel bisogno? “Quando ti arrabbi, ritorna a te stesso e prenditi molta cura della tua rabbia. Quando qualcuno ti fa soffrire, ritorna a te stesso e prenditi cura del tuo dolore, della tua collera.” THICH NHAT HANH Nel libro "I miserabili" Victor Hugo scriveva “L'oscurità dà le vertigini. L'uomo ha bisogno della luce: e chiunque si tuffi nell'opposto della luce si sente il cuore stretto. Quando l'occhio vede nero, la mente vede confuso; nell' eclisse, nella notte, nella caliginosa opacità v'è l'ansia, anche per i più forti.” E' molto frequente che in questo periodo di pandemia si provi ansia, apprensione, panico, preoccupazione, timore, sgomento, a volte addirittura terrore ed angoscia. Le raggruppo sotto lo stesso cappello, poiché possiamo vederle come sfumature dell'emozione base PAURA. Sono emozioni collegate al futuro, che ci comunicano qualcosa su come noi stiamo immaginando, visualizzando, ipotizzando e vivendo l'arrivo del "domani". Partiamo, come per lo sconforto, dal primo punto, ovvero capire meglio la situazione. Quali caratteristiche sono connesse con la nostra emozione? Può essere l'alto numero di morti e di contagiati o la mancanza di soluzioni definitive ed efficaci una volta per tutte. O ancora la persistenza del virus e la sua rapida diffusione a livello mondiale, con il blocco di tante attività e relative conseguenze. I pensieri che si fanno strada possono richiamare allora il tema della morte, della propria e di quella delle persone a cui vogliamo bene, ma anche più in generale il tema dell'incertezza, dello sconosciuto, del non sapere cosa ci potrà accadere, cosa ci attende. Tutto ci sembra fuori il nostro controllo. La morte è per definizione qualcosa che non conosciamo, che non possiamo prevedere né controllare, è il vuoto, il nulla, il buio. Ecco allora che il nostro corpo reagisce alla paura, in due differenti modalità. Può o immobilizzarsi o attivarsi. Sono due reazioni che osserviamo anche negli animali: ci sono prede che fingono di essere morte per scampare al predatore e altre che invece fuggono. Nel primo caso, può essere utile seguire i suggerimenti dati per lo sconforto: muovere il corpo, che può essere ballare, fare qualcosa con le mani, camminare, o anche solo scrivere. Nel secondo caso, il corpo reagisce nel modo apposto: si sta preparando alla fuga, quindi i battiti aumentano, il respiro è affannoso, le gambe iniziano a tremare. Possiamo allora cercare qualcosa che rallenti questi cambiamenti, che rilassi i muscoli e il respiro: ad esempio ascoltare musica rilassante, leggere, osservare delle immagini piacevoli, provare qualche esercizio di respirazione, preparare una tazza di té o di latte (dall'aspettare che l'acqua bolla al sorseggiarla lentamente). Arrivati fino a qui, possiamo allora domandarci cosa queste sfumature di paura ci stanno comunicando. Ci stanno dicendo di fare attenzione, che i rischi sono molto alti, soprattutto per la sensazione che sia tutto fuori il nostro controllo. Di fronte al vuoto, all'indicibilità del futuro, la nostra mente ci prefigura gli scenari peggiori, affinché possiamo arrivare preparati ad affrontarli. Se non avessi timore di bruciarmi e non pensassi che con la teglia in forno potrei scottarmi, difficilmente prenderei la presina. In questo senso la paura è molto utile, dobbiamo ascoltarla, altrimenti rischieremmo sempre grosso. E' quando però gli scenari peggiori non lasciano il minimo spazio ad altro che diventa difficile. Vi suggerisco allora un esercizio, per allenarci a vedere altri scenari. Dobbiamo fare appello alla nostra curiosità. Andare alla ricerca di quelle cose che il futuro potrebbe avere in serbo per noi e riprenderci il controllo su quelle. Piccole o grandi cose, tutto va bene. Potrei vedere un futuro in cui posso decidere come organizzare del tempo gratificante a casa. Potrei immaginare un domani in cui metto in atto dei comportamenti che mi proteggono e proteggono i miei cari. Potrei pensare a come mi potrebbe servire per affrontare al meglio il futuro (riprendendo la metafora di prima, quali presine potrei usare per proteggermi dal calore del forno). Posso anche pensare di ammalarmi o che si ammalino le persone a me vicino ma che saprò quali risorse attivare per gestire quel momento doloroso. Posso immaginare come sarà la ripresa, quali primi passi concreti potrò, vorrò, dovrò fare per risalire dal fondo. Provare insomma a creare diversi "poi" a partire da un "ora" che ci fa paura. “L'ansietà è lo spazio tra 'ora' e 'poi'.” Una delle emozioni che può capitare di provare più spesso in questo periodo è lo sconforto. Possiamo definirlo come un grave avvilimento, un profondo abbattimento morale, che comporta amarezza, demoralizzazione, perdita di fiducia e speranza. Ma cosa possiamo fare? Se consideriamo lo sconforto la risposta emotiva di un processo che inizia con uno stimolo (nel nostro caso la situazione attuale di pandemia), possiamo intervenire su questi livelli: 1) capire meglio la situazione. Non possiamo di certo modificarla perché non dipende da noi ma possiamo osservare quali caratteristiche sono connesse con la nostra emozione 2) riflettere sui nostri pensieri che possono influenzare la risposta emotiva 3) osservare ed eventualmente modificare come il nostro corpo si sente 4) domandarci cosa lo sconforto ci sta comunicando. Partiamo dal primo punto. Questa situazione è molto complessa, ci sono molteplici fattori in gioco ( sanitari, psicologici, sociali, relazionali, economici, politici, ambientali...) e tenere tutto insieme non è per nulla facile. Proviamo allora a circoscrivere l'area e a trovare quali caratteristiche della situazione ci portano sconforto. 👉🏻Può essere non vederne una fine vicina. O il fatto che i contagi stanno aumentando, o ancora può essere vedere che non c'è stata ancora una strategia efficace al 100%. Individuare queste caratteristiche ci aiuta a trovare poi i pensieri che sono collegati a noi e che entrano in gioco nel processo emotivo. 👉🏻Se non vedo una fine, allora potrebbe venirmi il pensiero che forse tutto è destinato a restare immutabile e, così anche noi. Se vedo che i contagi stanno aumentando, posso pensare che toccherà prima poi a tutti, anche a me, è inevitabile. Se mi rendo conto che non c'è ancora una strategia vincente, posso pensare che anche i miei sforzi sono serviti a niente. Ed ecco arrivare lo sconforto... 👉🏻 Sentirò il corpo lento, pesante, deattivato, spento, stanco. I battiti del cuore rallentati, i muscoli molli. Arriverà qualche sospiro, uno sbadiglio, la voglia di riposare o magari di piangere. Posso stare in ascolto per qualche minuto di queste sensazioni. Quando sentirò di averle ascoltate a sufficienza, posso decidere di fare qualcosa di attivante: guardare un film divertente, ridere, muovere il corpo, ballare, ascoltare musica energica, cantare, impastare, pulire casa, giocare! E alla fine prestare attenzione a come il corpo si è modificato...le sensazioni connesse con lo sconforto sono diminuite,vero? Arrivati a questo punto è importante capire cosa ci sta comunicando questa emozione. 👉🏻Riprendiamo i pensieri che abbiamo trovato e proviamo a dare loro un senso. Non vedere la fine di qualcosa di negativo è devastante. Forse abbiamo bisogno di ridimensionare il nostro tempo e di trovare progetti da realizzare più a breve periodo. Non possiamo pensare già alla grigliata di Pasquetta o alle vacanze estive come eravamo abituati, ma possiamo programmare qualcosina di gratificante per il tempo libero della settimana. È molto difficile, perché spesso le decisioni politiche avvengono da un giorno all'altro, così come l' andamento dei contagi cambia rapidamente, mentre noi siamo abituati a ragionare sul lungo periodo. Che di tratti di vita personale o lavorativa, spesso a inizio anno già abbiamo pianificato molto i mesi che verranno. Ma se provassimo a cambiare prospettiva? Se pensiamo che non c'è stata ancora una strategia vincente possiamo arrivare alla deduzione che anche i nostri sforzi sono stati vani e magari ci viene voglia di non seguire più tutte le precauzioni Forse abbiamo bisogno di trovare un nuovo senso a quello che stiamo facendo. Magari quello che la singola persona ha fatto non ha cambiato le carte in tavola a livello nazionale ma sicuramente, restringendo il campo, ha portato dei benefici nella propria cerchia. 👉🏻Se lo sconforto ci sta dicendo tutto questo, ascoltiamolo, prendiamoci una pausa per riposare, capire quali sono i nostri bisogni e proviamo poi a cambiare prospettiva. Se avete domande o dubbi, scrivetemi! Lo sconforto non tiene mai conto del firmamento
Tre bambine al parco: tre colori diversi, tre lingue madri differenti. Mi piacerebbe sapere cosa si stanno dicendo, di sicuro stanno comunicando. Senza avere ancora le competenze proprie del linguaggio verbale adulto (e senza che la lingua madre sia la stessa), usano gesti e suoni per capire e farsi capire. E per fare ciò occorre avere da un lato la curiosità, dall'altro la pazienza dell'ascolto. Che sono spesso gli atteggiamenti che perdiamo da adulti, quando la padronanza delle parole ci fa credere che bastino quelle per inviare messaggi efficaci. Capita allora, soprattutto durante i litigi, che ci affidiamo solo al verbale senza soffermarci ad ascoltare davvero noi stessi e l'altro, i nostri bisogni così come i suoi. Cercherò di ricordarmi di questa immagine la prossima volta che mi capiterà di litigare con qualcuno: un invito all'ascolto attento ed attivo. Adoro i Peanuts per la capacità che hanno di cogliere e descrivere la complessità della vita in modo semplice ed immediato. Su questa striscia potremmo dire di tutto e di più. Io l'ho scelta per il tema dei "litigi", per sottolineare (come nell'esercizio) che un passo fondamentale quando si comunica con un'altra persona è la curiosità verso il suo punto di vista. Se questa viene a mancare, manca l'attenzione necessaria per ascoltare e la voglia di comprendere la prospettiva dell'altro. Che non significa giustificare o cambiare opinione. Significa "semplicemente" conoscerla meglio. E sicuramente, con una tale conoscenza, anche un litigio può diventare interessante e costruttivo.
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Emma Montorfano
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Febbraio 2023
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