A volte capita di fare delle scelte dolorose senza saperne bene il motivo. Si sente solo una spinta irrefrenabile a farle, come se una alternativa non ci fosse o non fosse possibile prenderla.
Ogni scelta, più o meno consapevole, anche quella più faticosa o dolorosa, non è giusta o sbagliata a priori. È la scelta che noi riteniamo essere la più adatta, quella che ci permette di andare avanti ( anche a costo di ). È la migliore soluzione che abbiamo trovato per fare un altro passo avanti, per sopravvivere, dentro e fuori le nostre relazioni, per tenerci stretto ciò di cui abbiamo bisogno.
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Sono sempre più convinta che la vita faccia dei giri immensi ma ci offra sempre una seconda possibilità. Una seconda chance per risolvere i conti in sospeso, per risolvere l'irrisolto, per finalmente trovare un senso a ciò a cui non l'abbiamo ancora trovato.
A volte non ce ne accorgiamo, ma quando accade, allora capita che si scelga una via diversa al bivio, che si decida di fare qualcosa di nuovo rispetto a ciò a cui siamo sempre stati abituati. Ed è allora che arriva il cambiamento, che i nodi al pettine vengono sciolti e si può ripartire. Una delle tante cose che si fa in terapia è parlare, osservare, dare senso, sentire le proprie emozioni. E non riguarda solo chi in terapia ci va, ma anche (e forse soprattutto) lo psicoterapeuta.
Quando lavoro in terapia non divento una fredda macchina, per fortuna! Sono sempre in contatto con ciò che sto provando perché ciò che sento mi è di grande aiuto per fare ipotesi sulla relazione terapeutica e sul problema che la persona mi porta. Come succede a tutti anche nella vita di tutti i giorni, a volte stare e capire le proprie emozioni è facile, altre volte più complesso. Ieri ad esempio, mi è stato davvero difficile convivere che una emozione provata in terapia e che ha risuonato in me tutto il giorno. Ho faticato a giocare con mia figlia, ad essere davvero presente con lei, perché testa e cuore erano da un'altra parte. Ho dovuto fermarmi, guardarla con più attenzione, cercare di capire qual era il senso all'interno di quella specifica relazione terapeutica, per il paziente e per me, e riflettere su cosa mi stava comunicando. Un bel lavorio che non è stato fine a se stesso ma di grande aiuto per continuare la terapia nel prossimo incontro. Non lo avessi fatto, avessi ributtato indietro ciò che sentivo, non avrei potuto essere "terapeutica". Perché oggi scrivo questo? Perché stare nelle proprie emozioni, soprattutto quelle scomode, non è cosa da poco. Anche per gli "addetti ai lavori" che conoscono come si fa, ci può voler tempo e impegno. Lo sappiamo bene quando vi chiediamo e vi accompagniamo nel farlo. Così come sappiamo che è proprio questo processo a darci la possibilità di svoltare, di procedere e di stare meglio. Con gli anni ho iniziato a mal tollerare e limitare il "troppo" materiale. Che siano oggetti, vestiti, cibo, giocattoli. L'unica cosa su cui non lesino sono i libri e le piante.
Non mi viene sempre facile, perché quando vedo qualcosa di bello, devo fermarmi a pensare se mi è davvero utile, come potrei usarlo, se non ne ho già uno simile a casa. C'è chi riesce a vivere con l'essenziale, chi preferisce circondarsi di cose. Altre volte, il troppo spaventa un po'. Mi è capitato dopo i due anni e mezzo in cui ho vissuto in Camerun, dove si trovava pochissimo del "superfluo" e la scelta del bagnoschiuma da prendere era limitata a due o tre opzioni. Tornata in Italia, la prima volta in un supermercato mi sono sentita persa. Davvero abbiamo così tanta scelta? E come si fa adesso? A volte il troppo nella vita spaventa anche se positivo: troppa felicità, troppe opportunità, troppe strade, troppo cambiamento, perfino troppo amore... se non si è abituati come si può gestire? Se sono abituato a non avere alternative da percorrere, come posso non farmi prendere dall'ansia quando ne incontro più di una possibile? Se ho passato così tanto tempo infelice, riuscirò mai a riconoscere la felicità e a non averne timore? Se non ho mai pensato di meritare amore, come si fa quando me ne arriva tanto? Voi che ne pensate? Ultimamente, durante un colloquio in studio, mi è capitato di rispondere alla domanda sul perché abbiamo bisogno di "essere visti" dagli altri, di essere apprezzati e amati, di sapere che siamo importanti per qualcuno.
Fondamentale perché esistiamo nella relazione. Siamo "animali sociali", abbiamo bisogno dell'altro per essere felici, per stare bene. La sopravvivenza stessa della specie dipende da un incontro fra due persone. Diventiamo ciò che siamo perché immersi in un tessuto relazionale, dove ci si influenza vicendevolmente. Il lockdown ci obbliga a limitare le relazioni, la socialità. E gli effetti possono essere tanti. Quanto vi pesa ? Che conseguenze state notando? Durante il primo lockdown, io e la collega Anna Gigliarano avevamo provato a descrivere ipotetici stati d'animo legati alla mancanza di socialità, associando ad ogni stato un animale... www.emmamontorfanopsicologa.com/il-block-notes-della-psicologa/in-quarantena-che-animali-diventiamo Vi ritrovate? Avete già fatto il cambio armadio? No, non è un post sulla moda, anzi! Riflettevo oggi sistemando maglioni sul perché le persone vengono in terapia. Desiderano cambiare. Cambiare abiti, stagioni, pensieri, azioni, se stessi, le relazioni che vivono. E può sembrare paradossale (e forse lo è) ma una delle prime cose che mi capita di fare è dare valore a tutto ciò che la persona ha fatto fino ad ora. Non importa se giusto o sbagliato, se poteva fare diversamente o altro. Ciò che la persona ha fatto è stato il meglio che riusciva a fare in quel momento, la migliore soluzione che ha trovato per andare avanti e va benissimo così. Sarà poi il tempo della relazione terapeutica, partendo da questa premessa, a permettere di trasformare il "prima" e di cambiarlo "poi".
La rabbia è forse, tra le emozioni, quella più bistrattata. Viene mal vista socialmente perché spesso associata all'aggressività, che invece è un comportamento e può essere messo in atto a seguito di diverse emozioni, non solo della rabbia. E di rabbia, durante questo anno di pandemia, ne abbiamo provata e vista tanta. 👉🏻Non poter vedere i propri cari e gli amici, non poter essere liberi di fare ciò che eravamo abituati a fare, vedere le conseguenze del virus e delle scelte politiche nella propria vita e in quella della propria famiglia a tutti i livelli (individuale, sociale, economica ecc). 👉🏻 Può capitare spesso di pensare "non è giusto", "perché?" e subito sentiamo la necessità di trovare delle motivazioni o un "colpevole" verso cui indirizzare la nostra rabbia. 👉🏻Ci sentiamo attivati, la testa è annebbiata, la voglia di muoversi, di scagliare qualcosa a terra, di prendere a pugni, anche di fare male. 👉🏻La rabbia è una emozione potentissima e la sentiamo così forte, così istintiva perché ha proprio a che fare con noi stessi, con i nostri confini, con la nostra sopravvivenza. Proviamo rabbia quando i nostri bisogni non sono soddisfatti o sentiamo che l'altro ha invaso un confine nostro, senza rispettarlo. 📝 Psicoesercizio Quando sentiamo arrivare la rabbia, fermiamoci qualche minuto. E ascoltiamola, senza passare subito ad una azione/reazione. Qual è il bisogno che ci sta dietro? Quale aspetto di me vedo calpestato? Quali dei miei confini (materiali, relazionali, temporali) sento che non sono rispettati? Cosa sento che mi manca e che vorrei? Cosa puoi fare tu per quel bisogno? “Quando ti arrabbi, ritorna a te stesso e prenditi molta cura della tua rabbia. Quando qualcuno ti fa soffrire, ritorna a te stesso e prenditi cura del tuo dolore, della tua collera.” THICH NHAT HANH Una giornata di lavoro intensa è finita. Ci sono nuovi progetti (lavorativi e non solo) che avevo messo in standby durante lo scorso anno e che ora stanno prendendo forma e concretezza. Questo ovviamente riempie di soddisfazioni anche se, a volte, vedersi molto vicino a ciò che abbiamo tanto desiderato può farci tremare le gambe e fare uscire allo scoperto qualche timore.
Succede o è successo anche a voi? Ho una cara amica che vive dall'altra parte del mondo, a 9000 e passa chilometri di distanza. Legge sempre molto pazientemente ciò che scrivo e l'altra mattina mi invia questo "buongiorno":
„La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro: leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare.“ di Arthur Schopenhauer. L'ho associata a questa foto, dove l'ordine del traliccio si intreccia al caos dei rami e permette di crescere e dare nuova vita. Non ci importa sapere chi è vitale per chi, ma guardare nell'insieme cosa hanno prodotto. Caos e ordine, realtà e sogni, staticità e cambiamento, sono tutti in relazione nello stesso libro e l'uno non esisterebbe senza l'altro. 📝 Psicoesercizio Fermati a riflettere: in quale posizione ti senti di più ora? Sei in una fase di caos o di ordine? Di cambiamento o di staticità? E come ti ci trovi? I festeggiamenti di Carnevale sono finiti. Noi siamo abituati a queste tradizioni cristiane ma i caratteri della celebrazione del carnevale hanno origini in festività molto antiche, greche e romane. Durante queste feste si realizzava un temporaneo scioglimento dagli obblighi sociali e dalle gerarchie, per lasciar posto al rovesciamento dell'ordine, allo scherzo, alla dissolutezza, all'irriverenza.
Possiamo dire che il carnevale rappresentava metaforicamente un "caos", che sostituiva l'ordinarietà statica e costituita, dal quale si poteva riemergere con un ordine rinnovato e migliore... garantito fino al carnevale successivo. Anche per noi il caos può essere generatore. Può fare paura perché imprevedibile, senza regole, sconosciuto, ma rimescolare le carte in tavola e sostare in un momentaneo disordine, è fondamentale per essere pronti ad iniziare una nuova partita. |
Emma Montorfano
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Febbraio 2023
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