Cucinare è fare, agire, scegliere.
In psicologia i processi che regolano il "fare" sono denominati funzioni esecutive. Permettono di pianificare, focalizzare l'attenzione, ricordare, destreggiarsi tra più attività. Sono quindi fondamentali per lo sviluppo e l'apprendimento. Come è altrettanto importante "esserci", sentire le sensazioni del proprio corpo ed essere consapevoli di ciò che pensiamo (a volte non è così scontato, perché agiamo in automatico!). La cucina richiede tutte queste cose: pensate a quando seguite una ricetta leggendo o ricordando le istruzioni, quando scegliete gli ingredienti, quando copiate i movimenti del cuoco in video, quando avete contemporaneamente due cibi in preparazione che necessitano di tempi cottura procedimenti diversi. È una formidabile palestra! Cosa succede se cuciniamo con la testa tra le nuvole? Se siamo lì fisicamente ma non ci siamo davvero? Il più delle volte: un pasticcio! Proviamo a portare queste domande anche al di fuori della metafora della cucina: cosa ci succede quando non siamo presenti a noi stessi nella vita quotidiana? Come sono le scelte che facciamo? Riusciamo a sentire i nostri bisogni?
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Farina, acqua, zucchero e lievito: niente di più semplice! Ecco la pasta che abbiamo realizzato io e Vera ieri.
Mescolare gli ingredienti, impastare, aspettare la lievitazione! Che grande esercizio è la cucina: ti chiede di rispettare i tempi del riposo, di lasciare che la chimica e la natura facciano il loro corso. E quante volte invece noi andiamo di fretta, non solo fisicamente ma anche mentalmente, mentre avremmo bisogno di rallentare, di lasciarci sorprendere dall'aspettare e dallo stare. Abbiamo poi steso la pasta col mattarello, farcito con la confettura di albicocche della nonna Marina e arrotolato. Tutti esercizi di manipolazione per i bambini, che richiedono impegno e precisione. In forno qualche minuto e poi zucchero a velo per finire: che soddisfazione! Che ne dite? A Milano ci sono sempre quei due, tre gradi in più, rispetto ai paesi della provincia, che fanno sì che i fiori sboccino in anticipo di qualche settimana.
È come se alcuni fiori si "dessero del tempo", perché sentono che non è ancora arrivato il momento giusto per schiudersi. Non è di certo un tempo passivo: il bocciolo non si immobilizza, continua il suo processo al suo ritmo, sempre in contatto con le condizioni esterne. Anche noi diamoci del tempo se ne abbiamo bisogno. Diamo del tempo a noi stessi, all'altro, alla coppia, ai nostri figli, quando sentiamo che non si è ancora pronti per un cambiamento. Ma che questo tempo non sia passivo, in attesa di una magia dall'alto ( o dall'altro). Che sia un tempo attivo: per aumentare la nostra consapevolezza, per starci vicini, per conoscere meglio le nostre emozioni, per provare a fare delle cose in modo diverso, gradualmente, per trovare le nostre risorse, le nostre reti di supporto. Quando vi date tempo, come lo usate? Quando si pensa ai bambini si pensa subito ai giochi. Giocare è ciò che amano di più, che fanno durante quasi tutto il giorno, tutti i giorni. E' quando si entra in età scolare che il gioco lascia spazio ai compiti, fino all'età adulta in cui c'è il lavoro e il giocare si declina solo nell'attività sportiva. Spesso diciamo "non giocare" quando vogliamo che l'altro resti serio o che non ci prenda in giro. Eppure il gioco è una cosa seria. Li avete visti mai i bambini impegnati nel gioco? Come sono concentrati, precisi, creativi? E' attraverso il gioco che apprendono un sacco di cose! Questo accade perché il cervello resta stimolato ed attento quando si fa qualcosa di piacevole e divertente, dando il massimo di sé.
Sì, ma funziona solo con i bambini, mi dirà qualcuno. Ed invece no. Ci sono delle ricerche, descritte in questo post www.emmamontorfanopsicologa.com/il-block-notes-della-psicologa/the-fun-theory, che illustrano come anche per noi adulti valga la stessa regola. Chissà perché allora l'abbiamo dimenticata per strada, crescendo. Essere genitori credo sia una grande opportunità in questo senso. Si riscopre l'arte del giocare, del ridere, dello stare insieme. Ed un cervello "felice" è un cervello attivo! Ricordiamoci sempre che il gioco fa parte della natura degli animali, compresi noi essere umani, e che "L’uomo non smette di giocare perché invecchia, ma invecchia perché smette di giocare". (George Bernard Shaw) Vera ha iniziato a dire due paroline molto importanti: "IO" e "NO". Inizia a riconoscersi come un individuo a sé e sperimenta la sua libertà di azione.
Come è bello sentire quel suo "GNO", immaginare quello che sta pensando nella sua testa, come piano piano nasca la consapevolezza di sé, degli altri, del mondo...lo dice con tale semplicità, liberamente e con fermezza, che quasi mi scappa un sorriso. Oggi ha deciso che voleva camminare al parco e che "GNO", non voleva il passeggino, e "GNO", non voleva togliere la mascherina (due no facilmente gestibili, lo ammetto). Ai bambini viene così facile dire no, si divertono quasi, in questo loro bisogno di differenziarsi da noi genitori. E perché per noi adulti invece è così difficile? Arriva il dovere, direte voi, la necessità di fare, di rispettare, di scendere a compromessi, a volte di compiacere o di andare incontro alle esigenze dell' altro. A volte capita che vorremmo dire di no ma non ce la facciamo e ci esce una SÌ. Ma nello spazio tra un sì e un no, ci siamo noi. Con i nostri bisogni, desideri e doveri, con il compito di capire quando possiamo dire no e provare a dirlo, così liberamente come fanno i bambini, per riappropriarci di noi stessi e della nostra individualità. Vera ha iniziato l'asilo nido. Come capita con tutti i nuovi inizi, a qualsiasi età, si sperimenta un miscuglio di emozioni diverse. Probabilmente la paura per quel "vago" che ci aspetta, è quella meno facilmente gestibile. Se per i bambini lo sappiamo bene e ci premuriamo di organizzare un inserimento graduale, rispettando i loro tempi, per noi adulti la faccenda è diversa. Nascondiamo quella paura, perché forse ci hanno insegnato così, che non bisogna averne. Non ci ascoltiamo e a volte forziamo i tempi senza rispettare i nostri bisogni. Se non riusciamo subito, ecco che ci sentiamo sbagliati, incompetenti e fallimentari. Agli adulti non sono permessi "inserimenti graduali", metaforicamente parlando. Se nella pratica non sono fattibili, possiamo però ritagliarci un po'di tempo per fermarci a riflettere sull' "inserimento" di cui avremmo bisogno. Ecco un esercizio!
Una serie di spunti di riflessione sui propri talenti, sull'imparare, sulla scoperta che anche "da un cavolo" possono crescere dei bellissimi fiori
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Emma Montorfano
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Febbraio 2023
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