Quando ero incinta mi immaginavo che avrei coccolato tantissimo mia figlia: carezze, ninnananne, letture serali, abbracci. Di tutto, di più. Quello era ciò che avrei voluto, ma la realtà è cosa diversa dai sogni. E ho dovuto fare i conti con mia figlia: fermissima nel rifiutare, spostandomi la mano, ogni mia carezza, ogni mio tentativo di cullarla, l'unica coccola che mi chiedeva a gran voce era di allattarla. Piano piano le cose stanno cambiando e capitano dei momenti in cui riesce a stare accoccolata con me. Ma i primi tempi mi sono dovuta confrontare con una immagine di mamma che non era quella che avevo creato nella mia testa: una aspettativa disattesa. Se ve lo chiedessi, probabilmente riuscireste tutti a farmene un esempio vissuto in prima persona. A volte non è tanto il cambiamento pratico in sé a creare problemi: penso a me ed effettivamente non mi è costato troppa fatica allattare al posto di fare carezze. Quello che a volte ci rende difficile gestire una disattesa è l'immagine di noi stessi, quella che credevamo e che invece siamo stati costretti a modificare. Adattarmi ad una nuova idea di mamma, rinunciare a ciò che avrei voluto fare, accettare che un'altra persona, seppur piccina, mi chieda di essere diversa. Esiste una sfida maggiore?
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Vera ha iniziato l'asilo nido. Come capita con tutti i nuovi inizi, a qualsiasi età, si sperimenta un miscuglio di emozioni diverse. Probabilmente la paura per quel "vago" che ci aspetta, è quella meno facilmente gestibile. Se per i bambini lo sappiamo bene e ci premuriamo di organizzare un inserimento graduale, rispettando i loro tempi, per noi adulti la faccenda è diversa. Nascondiamo quella paura, perché forse ci hanno insegnato così, che non bisogna averne. Non ci ascoltiamo e a volte forziamo i tempi senza rispettare i nostri bisogni. Se non riusciamo subito, ecco che ci sentiamo sbagliati, incompetenti e fallimentari. Agli adulti non sono permessi "inserimenti graduali", metaforicamente parlando. Se nella pratica non sono fattibili, possiamo però ritagliarci un po'di tempo per fermarci a riflettere sull' "inserimento" di cui avremmo bisogno. Ecco un esercizio!
Da quando Vera ha iniziato a camminare, le cadute si sono susseguite. Al parco, poi, vedendo gli altri bambini correre, è motivata a fare altrettanto e capita che inciampi, scivoli, perda l'equilibrio. A volte si rialza senza un lamento, altre volte inizia a piangere per le ginocchia sbucciate. Niente che non si risolva con un abbraccio e qualche coccola. Quando succede però, proprio perché conosco la potenza delle parole, mi chiedo cosa sia meglio fare e dire.
Il classico: "Non piangere, non é successo niente" : beh, insomma, forse per noi adulti è poca cosa e il nostro intento è certo quello di consolare il pianto, ma per una bambina di nemmeno due anni che sta sperimentando le sue capacità? Che messaggio trasmettiamo? Che cadere non è importante? Che le cadute vanno nascoste perché scomode? "Non ti sei fatto niente": anche qui si rischia di sottovalutare la reazione del bambino/a e di sostituirsi a lui/lei nel processo di presa di consapevolezza. Magari può essere più utile aiutarlo/a ad osservare e valutare insieme cosa è successo? "Non sei capace!": magari condita con ironia e risatine...che effetto può fare su un/a bambino/a è facile da capire...basta che proviamo a dire la stessa frase a noi stessi quando sbagliamo. E quante volte ce la portiamo dietro anche da adulti? Quante volte ci diciamo "Sono un fallito, non sono capace di fare nulla, sbaglio tutto"? "Piangi per nulla!": questo capita di dirlo e di sentirlo spesso. Ma se ci fermiamo a riflettere, è un'affermazione che trasmette un messaggio sbagliato: ovvero che piangere non è una cosa da poter fare sempre e che non si deve piangere quando, letteralmente e metaforicamente, "si cade". Ecco, io vorrei essere una mamma che di fronte alla cadute di mia figlia, sappia prima di tutto osservare. Guardare cosa è successo ed osservare la reazione di mia figlia. Aspettare (ahimé a volte è così difficile) e poi decidere cosa fare e cosa dire a seconda della sua reazione. Intervenire subito se necessario, o lasciare che se la sbrighi da sola, magari aiutandola poi a capire come mai è successo e come mai ha reagito così. Vorrei essere una mamma che sappia anche valorizzare le cadute. Perché alla fine si cade tutti. Chi prima, chi poi, chi più spesso, chi non fa una piega, chi fa fatica ad alzarsi per mille ragioni. Le cadute però sono importanti, e spesso tendiamo a nasconderle per vergogna, perché sono una prova tangibile di non essere stato "abbastanza" o "capace". Potrei sciorinare un sacco di aforismi e citazioni sugli errori ma il succo sarebbe sempre lo stesso: ciascuno di noi, nella propria esperienza di vita, cresce, si evolve e diventa quello che è attraverso gli errori che fa e ciò che impara da essi. Se vi interessa il tema degli errori e della paura di sbagliare, QUI POTETE TROVARE UN ARTICOLO che ho scritto. Qual è la paura che ti blocca in questo periodo? Vera, senza troppi giri, ci ha fatto capire di non apprezzare il bagno in mare. Bene i giochi sul bagnasciuga, camminare su e giù, raccogliere conchiglie, perfino gli scogli sono stati più invitanti di un tuffo in acqua. Ci abbiamo provato in tanti modi, più o meno diretti o giocosi ma poco è cambiato: Vera in versione koala che ritira i piedini appena cerco di immergerla. Allora ho deciso di lasciar perdere, di ascoltare i suoi desideri e di non forzarla. L'ultimo giorno di vacanza ci ha sorpreso: complice il mare tranquillissimo e senza onde, e la voglia di seguire un gruppo di bambine con le quali stava giocando sulla sabbia, mi ha fatto capire di voler entrare in acqua. L'esperienza marina è durata molto poco, ma sufficientemente per immortalare il momento con uno scatto. L'avversione per l'acqua non è scomparsa ma Vera è riuscita a trovare le risorse e la motivazione per fare un piccolo passo verso ciò che le procura paura. A volte capita così, che qualcosa ci fa paura e nemmeno l'assenza di onde e l'abbraccio sicuro di una mamma possono fare molto. Nemmeno le rassicurazioni, la razionalità, l'appoggio delle persone vicine. Allora forse possiamo darci del tempo. Per scoprire che forse possiamo farcela, che c'è qualcosa per cui vale un po'la pena tentare. Sempre con una rete di sicurezza sotto di noi e tante coccole poi. Se non riesci da sola/o a gestire le tue paure, non significa che tu sia debole o incapace. Semplicemente stai facendo il meglio che puoi ma forse la tua paura ha una ragione per restare. Insieme possiamo scoprire qual è e lasciare che se ne vada.
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Emma Montorfano
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Febbraio 2023
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