Immaginiamo che la terra stia morendo. L'unica possibilità di salvezza è una navicella spaziale con sette posti, che sta per partire per un altro pianeta. Intorno alla navicella vi sono undici persone che aspirano a partire, Voi vi trovate nella posizione di dover scegliere le sette che partiranno e costruiranno il primo nucleo di una nuova civiltà. Di loro sappiamo pochissimo, quasi niente, e tuttavia su queste basi dovete scegliere anche rapidamente, altrimenti nessuno rimarrà in vita. Avete fatto la vostra scelta? Chi salvereste? Se siete pronti, continuiamo con il gioco: Quando la navicella con i prescelti sta già viaggiando verso il nuovo mondo ci arriva un secondo documento, con altre informazioni più dettagliate su ciascuno dei candidati (prescelti e no). Leggiamole: Siete ancora soddisfatti della vostra scelta? Su cosa ci fa riflettere questo gioco?
Molto spesso, se le informazioni a nostra disposizione sono poche, produciamo automaticamente delle "immagini" generali, che non tengono conto dei quasi infiniti casi particolari ma che ci permettono comunque di agire in modo rapido e il più efficace possibile. Queste immagini generali sono considerati "stereotipi": ci affidiamo ad essi per interpretare la realtà quando non abbiamo abbastanza informazioni dettagliate e specifiche o quando non abbiamo il tempo per decifrare e comprendere tutta la complessità. Essi, sebbene funzionali in alcuni casi, non sono mai delle rappresentazioni accurate della realtà. Ritornando al gioco: per ogni parola è come se ci fossimo chiesti "qual'è il suo significato più convenzionale?". Così, quando abbiamo letto per esempio la parola atleta abbiamo avuto una certa immagine (il più delle volte un ragazzo giovane e forte); ma quel significato non è nella parola, siamo noi che abbiamo associato quel significato nell'atto di interpretarla alla luce della situazione in cui ci trovavamo. Husserl afferma infatti che: “L'atto del conoscere implica un'operazione di riempimento ovvero un'attribuzione di senso all'oggetto della percezione”. E' un po' come se riempissimo quella parola di un significato, sulla base delle nostre conoscenza, della nostra cultura, della nostra esperienza. La situazione in cui ci troviamo e il problema in cui siamo impegnati rendono più plausibile un'interpretazione piuttosto che un' altra. Di fronte a parole isolate dobbiamo ricorrere ad associazioni meccaniche: o la prima immagine che ci viene in mente o quelle che valgono comunemente in una certa cultura. Ma gli stereotipi non sono qualcosa di “oggettivo”, sono delle costruzioni al tempo stesso sociali ed arbitrarie. Agire sulla base di stereotipi però rischia di farci cadere in errore., come forse è successo con alcune scelte del gioco. E' importante imparare a convivere con il disagio dell'incertezza, sopportare l'esplorazione prolungata e paziente, rendersi disponibili all'esplorazione dei mondi possibili. Si tratta di diventare più flessibili e aperti, senza fretta di arrivare alle conclusioni, disposti ad accogliere particolari che giudicheremmo più marginali e irrilevanti, a vedere le stesse cose anche da altri punti di vista. Dobbiamo abituarci a pensare che i casi particolari sono degli strumenti che ci aiutano ad uscire dalle cornici che diamo per scontate e alle quali ci affidiamo e possono essere utilizzati come delle occasioni fondamentali per l'ascolto attivo.
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Emma Montorfano
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Febbraio 2023
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