Mi capita spesso, in terapia, di incontrare persone che si portano dentro un grande dolore. Può avere radici più o meno profonde, ma gli artigli affondano sempre nel cuore. E (sempre molto spesso) è un dolore taciuto, tenuto nascosto, a volte non visto. Ogni dolore ha il suo significato, lo si scopre insieme in un lavoro terapeutico che sarà altrettanto doloroso e faticoso. Perché tirarlo fuori tutto, quel dolore nascosto, e vederlo da vicino e legittimarlo agli occhi altrui (per primi quelli del terapeuta), lo fa risuonare ancora più forte. Ma una volta fuori, riconosciuto ed ascoltato, inizia a fare meno paura.
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E se poi "fallisco" la psicoterapia?
È una domanda legittima che può farsi una persona che inizia un percorso, ma ... non si può sbagliare una terapia o non esserne in grado. La psicoterapia è una relazione che cura, non ha a che fare con le proprie capacità e competenze (quelle deve averle lo psicoterapeuta nel suo lavoro!). Non c'è un argomento giusto o sbagliato da portare, un modo corretto o meno di dire le cose e rispondere. La terapia è fatta sì di momenti faticosissimi, di momenti più leggeri, di pezzi che si fanno in autonomia e di altri che necessitano un "mano nella mano" e tempi più lenti. A volte ci sono stalli che vanno osservati e dotati di senso, altre volte tutto scorre e i cambiamenti si susseguono senza blocchi. Ma è sempre compito e dovere del terapeuta gestire questi aspetti della terapia e il loro corso. Come in tutte le relazioni, ciò che è importante per la persona è "esserci, portare se stessa", con i propri tempi e modalità. Non c'è mai una scelta giusta o sbagliata a prescindere.
Magari vorremmo una cosa o immaginiamo che si debba sceglierne una invece dell'altra, pensiamo che qualcosa sia preferibile all'altra. E questo può condizionare il come ci si sente di fronte alla scelta. Capita anche che ci si affidi a ciò che si prova per valutare la "giustezza" di una scelta ( del tipo: se fosse la scelta giusta non starei così, sarei felice). E invece può non essere così. Possiamo compiere delle scelte che vogliamo tantissimo eppure stare male, così come possiamo farne altre che non vorremmo (o restare fermi) e comunque trovarci dentro qualcosa che fa stare comodi. Tutto ha un suo senso che chiede di essere osservato e capito. A volte capita di fare delle scelte dolorose senza saperne bene il motivo. Si sente solo una spinta irrefrenabile a farle, come se una alternativa non ci fosse o non fosse possibile prenderla.
Ogni scelta, più o meno consapevole, anche quella più faticosa o dolorosa, non è giusta o sbagliata a priori. È la scelta che noi riteniamo essere la più adatta, quella che ci permette di andare avanti ( anche a costo di ). È la migliore soluzione che abbiamo trovato per fare un altro passo avanti, per sopravvivere, dentro e fuori le nostre relazioni, per tenerci stretto ciò di cui abbiamo bisogno. Sono sempre più convinta che la vita faccia dei giri immensi ma ci offra sempre una seconda possibilità. Una seconda chance per risolvere i conti in sospeso, per risolvere l'irrisolto, per finalmente trovare un senso a ciò a cui non l'abbiamo ancora trovato.
A volte non ce ne accorgiamo, ma quando accade, allora capita che si scelga una via diversa al bivio, che si decida di fare qualcosa di nuovo rispetto a ciò a cui siamo sempre stati abituati. Ed è allora che arriva il cambiamento, che i nodi al pettine vengono sciolti e si può ripartire. La rabbia è forse, tra le emozioni, quella più bistrattata. Viene mal vista socialmente perché spesso associata all'aggressività, che invece è un comportamento e può essere messo in atto a seguito di diverse emozioni, non solo della rabbia. E di rabbia, durante questo anno di pandemia, ne abbiamo provata e vista tanta. 👉🏻Non poter vedere i propri cari e gli amici, non poter essere liberi di fare ciò che eravamo abituati a fare, vedere le conseguenze del virus e delle scelte politiche nella propria vita e in quella della propria famiglia a tutti i livelli (individuale, sociale, economica ecc). 👉🏻 Può capitare spesso di pensare "non è giusto", "perché?" e subito sentiamo la necessità di trovare delle motivazioni o un "colpevole" verso cui indirizzare la nostra rabbia. 👉🏻Ci sentiamo attivati, la testa è annebbiata, la voglia di muoversi, di scagliare qualcosa a terra, di prendere a pugni, anche di fare male. 👉🏻La rabbia è una emozione potentissima e la sentiamo così forte, così istintiva perché ha proprio a che fare con noi stessi, con i nostri confini, con la nostra sopravvivenza. Proviamo rabbia quando i nostri bisogni non sono soddisfatti o sentiamo che l'altro ha invaso un confine nostro, senza rispettarlo. 📝 Psicoesercizio Quando sentiamo arrivare la rabbia, fermiamoci qualche minuto. E ascoltiamola, senza passare subito ad una azione/reazione. Qual è il bisogno che ci sta dietro? Quale aspetto di me vedo calpestato? Quali dei miei confini (materiali, relazionali, temporali) sento che non sono rispettati? Cosa sento che mi manca e che vorrei? Cosa puoi fare tu per quel bisogno? “Quando ti arrabbi, ritorna a te stesso e prenditi molta cura della tua rabbia. Quando qualcuno ti fa soffrire, ritorna a te stesso e prenditi cura del tuo dolore, della tua collera.” THICH NHAT HANH Vera ha festeggiato due anni! Il giorno del suo compleanno tutte le attenzioni erano per lei: sul suo volto si poteva scorgere un misto di contentezza, stupore ed imbarazzo per essere al centro della scena. Ma il punto è che ricevere attenzioni fa stare bene. Ci sentiamo importanti, amati e di valore. Ecco perché spesso le ricerchiamo dalle persone che amiamo e che ci sono vicine. I bambini chiedono spesso di essere "visti", e chiamano i genitori a gran voce fino a quando non constatano che davvero i loro occhi sono puntati su di loro. Cosa succede però se i genitori non li guardano? Se alla fine sentiamo di non essere visti dalle persone che amiamo? La risposta la conosciamo tutti: si soffre. Ci sentiamo brutti, sbagliati, non amati, soli, senza valore. A volte riusciamo subito a far sorridere nuovamente il nostro cuore, altre volte ci vuole più tempo e più fatica, con il rischio di continuare a soffrire senza sapere nemmeno bene perché. Certo non possiamo indirizzare a piacimento verso di noi le attenzioni dell'altro ma possiamo fare come i bambini ed iniziare a dirlo a gran voce a noi stessi che ne abbiamo bisogno, per trovare così il modo migliore per stare bene.
. Poiché d'inverno l'aria è spesso piuttosto fredda e secca, può succedere che nello strato d'aria vicino al terreno, che ha una temperatura inferiore allo zero ed è saturo di umidità, il vapore acqueo passi direttamente dallo stato gassoso a quello solido, cristallizzando sopra ogni elemento vicino al terreno. Questo fenomeno è detto "sublimazione".
È un processo che avviene prevalentemente di notte, nelle ore più fredde, in silenzio, senza che nessuno se ne accorga. Vediamo solo i risultati sorprendenti: la brina. A volte capita così anche in terapia. Ci vuole una lunga notte fredda prima di veder comparire la brina. Tanto lavorio di cui quasi nessuno vede la complessità se non chi lo sta vivendo in prima persona. A volte avremmo bisogno che anche gli altri si accorgessero di quanto stiamo facendo, del percorso e non solo degli effetti. Sarebbe bello se diventassimo tutti un po'più osservatori "notturni"! Settimana scorsa pioggia e freddo ci hanno messo a dura prova: via l'estate in un lampo ed eccoci in autunno. Spesso i temporali e la pioggia vengono usati come metafore per descrivere il dolore, la sofferenza, la tristezza. E altrettanto spesso ci dicono, sempre nella metafora, che la pioggia è necessaria per la crescita, che dopo la tempesta arriva il sole, che non c'è arcobaleno senza temporale, che bisogna imparare a ballare sotto la pioggia...beh, sì, potrebbe essere anche bello e romantico ballare sotto la pioggia ... a condizione che non sia un diluvio e che si abbia la sicurezza di una casa calda dove asciugarsi e riposarsi poi. Voglio sfidare chiunque a trovare un lato positivo nello stare dentro al temporale sempre, senza reti di sicurezza, senza che smetta, senza sapere dove andare e se finirà mai!
Mi ha fatto pensare alle persone che incontro nel mio studio: anche loro stanno attraversando una tempesta e io chiedo loro di raccontarmela, di starci dentro, di capirla insieme, di trovarne un senso per poterne uscire. Oggi voglio dire loro che stanno facendo un lavoro pazzesco, doloroso e faticoso e voglio ringraziarli perché, nonostante non riescano a vedere il sole dietro le nuvole, si fidano di me. Ci sono delle volte in cui un odore, una percezione, un'atmosfera, mi riportano velocemente a qualche ricordo del passato. Quando sento profumo di zucchero a velo, quando vedo la luce farsi spazio tra i rami degli alberi ed entrare dalle finestre di casa, quando il vento regala una tregua ai pomeriggi silenziosi ed afosi. Solitamente sono ricordi piacevoli, della mia infanzia o anche più recenti, che mi lasciano un dolce sensazione di benessere. Mi domando cosa mia figlia ricorderà di queste calde giornate estive passate insieme a giocare. Forse è ancora troppo piccola, o forse, quando vedrà il sole passare attraverso la tenda di un balcone e sentirà il fresco dell'acqua sui piedi, le torneranno vive le immagini di noi due insieme. E spero ne sia felice. Ogni giorno possiamo domandarci che ricordi vogliamo che i nostri figli serbino di noi, perché saranno proprio questi a contribuire a renderli felici da grandi. Succede anche a voi? Cosa vi riattiva dei ricordi piacevoli? Fai Nel percorso terapeutico, le persone affidano i propri ricordi, soprattutto quelli più significativi e/o dolorosi, allo psicologo.
Alcune persone continuano a soffrire per un evento anche a distanza di moltissimo tempo dall’evento stesso. Spesso riportano di provare le stesse sensazioni ed emozioni negative e di non riuscire per questo motivo a condurre una vita soddisfacente dal punto di vista lavorativo e relazionale. In questi casi, quindi, il passato è presente. Altre volte si preferisce chiudere i ricordi dietro una porta, sperando di non soffrire più, ma loro continuano a bussare. Quando le esperienze passate interferiscono in modo da produrre malessere nel presente e in ottica futura, lo psicologo accompagna la persona ad affrontare i ricordi non elaborati, che possono dare origine a molte disfunzioni. Di cosa abbiamo bisogno quando viviamo un’esperienza dolorosamente ?. |
Emma Montorfano
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Febbraio 2023
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