In terapia, mentre le persone raccontano di sé, capiti che scappi una parolaccia. Alcune persone si scusano, altre chiedono il permesso per dirla, altre ancora si correggono immediatamente trovando un sinonimo che risulti più accettabile.
Ultimamente anche Vera ha detto la sua prima parolaccia. Abbiamo cercato di spiegarle cosa significhi una parolaccia, l'effetto che può fare in chi la ascolta e perché è bene farne a meno. Adesso ogni volta che le diciamo "no" o c'è qualcosa per cui è contrariata, ci dice di "non dire brutte parole". Uno spunto per aiutarla a riconoscere e comunicare ciò che prova nel modo più utile possibile per lei e per stare in relazione. Quanto possono essere potenti le parole, non solo quelle socialmente definite "brutte" ma tutte, quando sono dense di emozioni. Le parolacce ne sono carichissime. E allora, in terapia, io dico alle persone che ho davanti che possono sentirsi libere di dirle, se capita, perché possono aiutare a buttare fuori sfumature di emozioni che poi troveranno il tempo e lo spazio per essere riconosciute, nominate, e comprese. Voi cosa ne pensate? Qual è il vostro rapporto con le parolacce?
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Mi capita spesso, in terapia, di incontrare persone che si portano dentro un grande dolore. Può avere radici più o meno profonde, ma gli artigli affondano sempre nel cuore. E (sempre molto spesso) è un dolore taciuto, tenuto nascosto, a volte non visto. Ogni dolore ha il suo significato, lo si scopre insieme in un lavoro terapeutico che sarà altrettanto doloroso e faticoso. Perché tirarlo fuori tutto, quel dolore nascosto, e vederlo da vicino e legittimarlo agli occhi altrui (per primi quelli del terapeuta), lo fa risuonare ancora più forte. Ma una volta fuori, riconosciuto ed ascoltato, inizia a fare meno paura.
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Emma Montorfano
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Febbraio 2023
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