In terapia, mentre le persone raccontano di sé, capiti che scappi una parolaccia. Alcune persone si scusano, altre chiedono il permesso per dirla, altre ancora si correggono immediatamente trovando un sinonimo che risulti più accettabile.
Ultimamente anche Vera ha detto la sua prima parolaccia. Abbiamo cercato di spiegarle cosa significhi una parolaccia, l'effetto che può fare in chi la ascolta e perché è bene farne a meno. Adesso ogni volta che le diciamo "no" o c'è qualcosa per cui è contrariata, ci dice di "non dire brutte parole". Uno spunto per aiutarla a riconoscere e comunicare ciò che prova nel modo più utile possibile per lei e per stare in relazione. Quanto possono essere potenti le parole, non solo quelle socialmente definite "brutte" ma tutte, quando sono dense di emozioni. Le parolacce ne sono carichissime. E allora, in terapia, io dico alle persone che ho davanti che possono sentirsi libere di dirle, se capita, perché possono aiutare a buttare fuori sfumature di emozioni che poi troveranno il tempo e lo spazio per essere riconosciute, nominate, e comprese. Voi cosa ne pensate? Qual è il vostro rapporto con le parolacce?
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Mi capita spesso, in terapia, di incontrare persone che si portano dentro un grande dolore. Può avere radici più o meno profonde, ma gli artigli affondano sempre nel cuore. E (sempre molto spesso) è un dolore taciuto, tenuto nascosto, a volte non visto. Ogni dolore ha il suo significato, lo si scopre insieme in un lavoro terapeutico che sarà altrettanto doloroso e faticoso. Perché tirarlo fuori tutto, quel dolore nascosto, e vederlo da vicino e legittimarlo agli occhi altrui (per primi quelli del terapeuta), lo fa risuonare ancora più forte. Ma una volta fuori, riconosciuto ed ascoltato, inizia a fare meno paura.
Spesso associamo il cambiamento all'area semantica del "fare": agire, modificare, mutare, diventare e così via.
Ma capita, e lo si vede bene in terapia, che il cambiamento abbia a che fare con qualcosa di più statico, che appartiene alla nostra storia personale, che è sempre stato lì, visto e saputo, seppur tenuto nascosto, in attesa di essere legittimato e validato da occhi esterni, di essere finalmente riconosciuto come vero e reale. E questo è qualcosa di molto potente, liberatorio e trasformativo ma a volte talmente intenso da fare male. Ecco perché può richiedere un contesto di cura come quello terapeutico. Nella coppia si mescolano bisogni, si riproducono dinamiche apprese, si intersecano storie, si giocano "ruoli" (del tipo: salvatore-salvato; sostegno-sostenuto, forte-debole, e così via).
Capita che un ruolo (più o meno inconsapevolmente) piaccia, che risponda ad un nostro bisogno, che traduca bene un pezzo della nostra storia personale. E che magari si incastri alla perfezione con quello dell'altra persona. A volte invece un ruolo sta stretto, si sgomita, si cerca di uscirne a tutti i costi, ributtandolo, a volte purtroppo anche in modo violento, sull'altro. Ed è qui che la coppia può vacillare. Altre volte ancora, succede che la vita si metta di mezzo e ci offra la possibilità di rivedere questi ruoli, di metterli reciprocamente in discussione, di fare sì che si formi un nuovo incastro che sia più funzionale e che porti più benessere. Che ne pensate? Nessuna perdita (che sia un lutto o una separazione) è uguale all'altra. C'è chi perde un genitore, un amico, un nonno, un partner, un figlio. Ciascuna perdita si differenzia dall'altra perché diverso è il significato che quella relazione e quella perdita hanno per la persona.
Ma tutte le perdite si assomigliano per il fatto che tolgono un pezzetto di noi. Obbligano a passare dal dolore di lasciare andare, dalla fatica di risistemare quel vuoto lasciato, dalla paura di immaginarsi un futuro (con dentro noi stessi) diverso. Nessuno vorrebbe passarci attraverso, eppure è il modo per ritornare a stare bene, per far sì che le nostre energie non vengano impiegate per far restare tutto così com'è immobile, ma permettano di andare avanti. E se poi "fallisco" la psicoterapia?
È una domanda legittima che può farsi una persona che inizia un percorso, ma ... non si può sbagliare una terapia o non esserne in grado. La psicoterapia è una relazione che cura, non ha a che fare con le proprie capacità e competenze (quelle deve averle lo psicoterapeuta nel suo lavoro!). Non c'è un argomento giusto o sbagliato da portare, un modo corretto o meno di dire le cose e rispondere. La terapia è fatta sì di momenti faticosissimi, di momenti più leggeri, di pezzi che si fanno in autonomia e di altri che necessitano un "mano nella mano" e tempi più lenti. A volte ci sono stalli che vanno osservati e dotati di senso, altre volte tutto scorre e i cambiamenti si susseguono senza blocchi. Ma è sempre compito e dovere del terapeuta gestire questi aspetti della terapia e il loro corso. Come in tutte le relazioni, ciò che è importante per la persona è "esserci, portare se stessa", con i propri tempi e modalità. Non c'è mai una scelta giusta o sbagliata a prescindere.
Magari vorremmo una cosa o immaginiamo che si debba sceglierne una invece dell'altra, pensiamo che qualcosa sia preferibile all'altra. E questo può condizionare il come ci si sente di fronte alla scelta. Capita anche che ci si affidi a ciò che si prova per valutare la "giustezza" di una scelta ( del tipo: se fosse la scelta giusta non starei così, sarei felice). E invece può non essere così. Possiamo compiere delle scelte che vogliamo tantissimo eppure stare male, così come possiamo farne altre che non vorremmo (o restare fermi) e comunque trovarci dentro qualcosa che fa stare comodi. Tutto ha un suo senso che chiede di essere osservato e capito. Chi ama curare fiori e piante sa che ognuna ha bisogno di attenzioni particolari: il tipo di terreno, l'esposizione alla luce, la necessità di acqua. Se si sbaglia qualcosa, le piante sanno farsi capire: foglie secche o gialle, niente fiori, rami spogli.
A volte ci vogliono un po' di tentativi prima di riuscire a trovare la formula perfetta affinché una pianta possa rifiorire di nuovo in pienezza. La stessa cosa possiamo fare con noi stessi : quando sentiamo che le condizioni in cui viviamo non ci fanno stare bene ( siano esse le relazioni, il lavoro, o altri ambiti) possiamo provare a cambiare qualcosa. Il primo passo è osservare e ascoltare ciò che il nostro corpo comunica ( come tensione, dolori, insonnia ...) e cercare di individuare quali bisogni sentiamo non essere ancora soddisfatti. Cosa possiamo cambiare affinché si ritorni a fiorire? Come possiamo prenderci cura di noi stessi? Oggi, nelle storie, vi proponiamo questo ultimo "ingrediente" , la cura di sé, importante per la nostra crescita! @annagigliarano_psicologa @valentina_rocchio Vi lascio altri spunti qui Una delle grandi opportunità di fare psicoterapia con persone di origine straniera è che, per forza di cose, ti mettono di fronte a tutto ciò che è intrinseco della tua cultura: stereotipi, tradizioni, pensieri, significati.
Come se avessi davanti a me uno specchio: si vedono limpide le differenze, i confini, le figure e gli sfondi, quando si decide di osservare con attenzione, e non dare nulla per scontato quando non si cade nel "tanto so già com'è" ma ci si lascia guidare dalla curiosità, anche nei confronti di ciò che si crede di conoscere così bene, e quando si rassicura la propria paura di trovare qualcosa che non ci piace che, male che vada, si può sempre modificare qualcosa. |
Emma Montorfano
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Febbraio 2023
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