A volte capita di fare delle scelte dolorose senza saperne bene il motivo. Si sente solo una spinta irrefrenabile a farle, come se una alternativa non ci fosse o non fosse possibile prenderla.
Ogni scelta, più o meno consapevole, anche quella più faticosa o dolorosa, non è giusta o sbagliata a priori. È la scelta che noi riteniamo essere la più adatta, quella che ci permette di andare avanti ( anche a costo di ). È la migliore soluzione che abbiamo trovato per fare un altro passo avanti, per sopravvivere, dentro e fuori le nostre relazioni, per tenerci stretto ciò di cui abbiamo bisogno.
0 Comments
Sono sempre più convinta che la vita faccia dei giri immensi ma ci offra sempre una seconda possibilità. Una seconda chance per risolvere i conti in sospeso, per risolvere l'irrisolto, per finalmente trovare un senso a ciò a cui non l'abbiamo ancora trovato.
A volte non ce ne accorgiamo, ma quando accade, allora capita che si scelga una via diversa al bivio, che si decida di fare qualcosa di nuovo rispetto a ciò a cui siamo sempre stati abituati. Ed è allora che arriva il cambiamento, che i nodi al pettine vengono sciolti e si può ripartire. Una delle tante cose che si fa in terapia è parlare, osservare, dare senso, sentire le proprie emozioni. E non riguarda solo chi in terapia ci va, ma anche (e forse soprattutto) lo psicoterapeuta.
Quando lavoro in terapia non divento una fredda macchina, per fortuna! Sono sempre in contatto con ciò che sto provando perché ciò che sento mi è di grande aiuto per fare ipotesi sulla relazione terapeutica e sul problema che la persona mi porta. Come succede a tutti anche nella vita di tutti i giorni, a volte stare e capire le proprie emozioni è facile, altre volte più complesso. Ieri ad esempio, mi è stato davvero difficile convivere che una emozione provata in terapia e che ha risuonato in me tutto il giorno. Ho faticato a giocare con mia figlia, ad essere davvero presente con lei, perché testa e cuore erano da un'altra parte. Ho dovuto fermarmi, guardarla con più attenzione, cercare di capire qual era il senso all'interno di quella specifica relazione terapeutica, per il paziente e per me, e riflettere su cosa mi stava comunicando. Un bel lavorio che non è stato fine a se stesso ma di grande aiuto per continuare la terapia nel prossimo incontro. Non lo avessi fatto, avessi ributtato indietro ciò che sentivo, non avrei potuto essere "terapeutica". Perché oggi scrivo questo? Perché stare nelle proprie emozioni, soprattutto quelle scomode, non è cosa da poco. Anche per gli "addetti ai lavori" che conoscono come si fa, ci può voler tempo e impegno. Lo sappiamo bene quando vi chiediamo e vi accompagniamo nel farlo. Così come sappiamo che è proprio questo processo a darci la possibilità di svoltare, di procedere e di stare meglio. La psicoterapia si occupa di cambiamento.
È ciò che più mi piace del mio lavoro: osservare, sperimentare, accompagnare, vivere il cambiamento. Spesso si va in terapia per il nostro rapporto con il mondo (con il nostro mondo di significati), per l'immagine di noi stessi nella nostra rete di relazioni. Non sempre ce ne rendiamo conto, ma siamo in continuo cambiamento, ogni giorno facciamo dei micro cambiamenti affinché il nostro mondo resti in equilibrio, sempre uguale e rassicurante. Non a caso le crisi ci mettono a dura prova e ci obbligano a ridefinire il modo in cui teniamo insieme tutti i pezzi. A volte ci si "ammala" per mantenere l'equilibrio e solo l'idea che qualcosa lo possa rompere ci fa preferire lo stare male al cambiamento. Quando sentiamo che non c'è più equilibrio nonostante i nostri sforzi o quando realizziamo che i cambiamenti che abbiamo attuato ci fanno stare male, nasce il bisogno di fare qualcosa, di cambiare direzione, di chiedere aiuto. "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi", così scriveva Giuseppe Tomasi di Lampedusa ne "Il Gattopardo". Ieri sera mentre preparavo Vera per la nanna, mi è arrivata la sensazione di non aver vissuto bene la giornata con lei, nonostante avessimo passato insieme gran parte del tempo. Sarà perché abbiamo giocato poco insieme e lei ha dovuto farlo da sola mentre mi occupavo di altro in casa. Mi è proprio sembrato che la giornata fosse passata via veloce, che fosse da tanto che non vedevo il suo visino e che mi fossi persa qualcosa "ma come, siamo già arrivati a sera?" "e dove sono stata?".
Mi ha fatto pensare che spesso siamo presenti fisicamente ma chissà come mai non ci siamo davvero. Può succedere in casa, con i figli, nelle relazioni, nel lavoro, perfino in terapia. Il nostro corpo è lì, ma è come se non ci fossimo totalmente. Perché è difficile e faticoso esserci sempre al 100%. In alcuni casi, anche doloroso. A voi capita mai? Come state quando succede? E che cosa fate dopo? Avete già fatto il cambio armadio? No, non è un post sulla moda, anzi! Riflettevo oggi sistemando maglioni sul perché le persone vengono in terapia. Desiderano cambiare. Cambiare abiti, stagioni, pensieri, azioni, se stessi, le relazioni che vivono. E può sembrare paradossale (e forse lo è) ma una delle prime cose che mi capita di fare è dare valore a tutto ciò che la persona ha fatto fino ad ora. Non importa se giusto o sbagliato, se poteva fare diversamente o altro. Ciò che la persona ha fatto è stato il meglio che riusciva a fare in quel momento, la migliore soluzione che ha trovato per andare avanti e va benissimo così. Sarà poi il tempo della relazione terapeutica, partendo da questa premessa, a permettere di trasformare il "prima" e di cambiarlo "poi".
I crocus, insieme alle primule, sono i fiori che annunciano l'arrivo della primavera. Sbocciano quando ancora l'aria è fredda e si fanno largo tra le foglie secche che ancora ricoprono il terreno.
Sono fiori piccini, non hanno un alto gambo, ma se li vediamo, capiamo subito che si avvicina il cambio di stagione. Anche il cambiamento in terapia avviene a passi. Si inizia un pezzettino alla volta. A volte fatichiamo a riconoscere i primi passi, perché sono piccoli (ma importantissimi), magari nascosti sotto i rimasugli dell'inverno, o perché la nostra attenzione è concentrata su altro. I primi passi possono essere tanti. 👉🏻Può essere avere un sonno più ristoratore. Può essere dire sì/no quando davvero lo sentiamo, anche solo una volta. Può essere un gesto di cura verso noi stessi (che sia un po'di tempo per le nostre passioni, un regalo, un gesto). Può essere vedere le cose per la prima volta da una prospettiva diversa. Può essere non avere più quel mal di testa o mal di stomaco fissi, ma a giorni alterni. Può essere reagire diversamente ad una situazione, anche solo una volta, che ci sembra un caso. Può essere prendere consapevolezza di una nostra emozione, fa niente se poi ci comportiamo come sempre. Può essere fare una cosa diversa dal solito, cinque minuti bastano. Può essere rispettare un nostro bisogno, anche solo per una volta. La lista sarebbe lunghissima! 📝 Psicoesercizio Potete riconoscere o trovare qualche "primo fiore" del vostro cambiamento? Una giornata di lavoro intensa è finita. Ci sono nuovi progetti (lavorativi e non solo) che avevo messo in standby durante lo scorso anno e che ora stanno prendendo forma e concretezza. Questo ovviamente riempie di soddisfazioni anche se, a volte, vedersi molto vicino a ciò che abbiamo tanto desiderato può farci tremare le gambe e fare uscire allo scoperto qualche timore.
Succede o è successo anche a voi? Ho una cara amica che vive dall'altra parte del mondo, a 9000 e passa chilometri di distanza. Legge sempre molto pazientemente ciò che scrivo e l'altra mattina mi invia questo "buongiorno":
„La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro: leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare.“ di Arthur Schopenhauer. L'ho associata a questa foto, dove l'ordine del traliccio si intreccia al caos dei rami e permette di crescere e dare nuova vita. Non ci importa sapere chi è vitale per chi, ma guardare nell'insieme cosa hanno prodotto. Caos e ordine, realtà e sogni, staticità e cambiamento, sono tutti in relazione nello stesso libro e l'uno non esisterebbe senza l'altro. 📝 Psicoesercizio Fermati a riflettere: in quale posizione ti senti di più ora? Sei in una fase di caos o di ordine? Di cambiamento o di staticità? E come ti ci trovi? I festeggiamenti di Carnevale sono finiti. Noi siamo abituati a queste tradizioni cristiane ma i caratteri della celebrazione del carnevale hanno origini in festività molto antiche, greche e romane. Durante queste feste si realizzava un temporaneo scioglimento dagli obblighi sociali e dalle gerarchie, per lasciar posto al rovesciamento dell'ordine, allo scherzo, alla dissolutezza, all'irriverenza.
Possiamo dire che il carnevale rappresentava metaforicamente un "caos", che sostituiva l'ordinarietà statica e costituita, dal quale si poteva riemergere con un ordine rinnovato e migliore... garantito fino al carnevale successivo. Anche per noi il caos può essere generatore. Può fare paura perché imprevedibile, senza regole, sconosciuto, ma rimescolare le carte in tavola e sostare in un momentaneo disordine, è fondamentale per essere pronti ad iniziare una nuova partita. |
Emma Montorfano
Categorie
Tutti
Archivi
Febbraio 2023
|