Una delle tante cose che si fa in terapia è parlare, osservare, dare senso, sentire le proprie emozioni. E non riguarda solo chi in terapia ci va, ma anche (e forse soprattutto) lo psicoterapeuta.
Quando lavoro in terapia non divento una fredda macchina, per fortuna! Sono sempre in contatto con ciò che sto provando perché ciò che sento mi è di grande aiuto per fare ipotesi sulla relazione terapeutica e sul problema che la persona mi porta. Come succede a tutti anche nella vita di tutti i giorni, a volte stare e capire le proprie emozioni è facile, altre volte più complesso. Ieri ad esempio, mi è stato davvero difficile convivere che una emozione provata in terapia e che ha risuonato in me tutto il giorno. Ho faticato a giocare con mia figlia, ad essere davvero presente con lei, perché testa e cuore erano da un'altra parte. Ho dovuto fermarmi, guardarla con più attenzione, cercare di capire qual era il senso all'interno di quella specifica relazione terapeutica, per il paziente e per me, e riflettere su cosa mi stava comunicando. Un bel lavorio che non è stato fine a se stesso ma di grande aiuto per continuare la terapia nel prossimo incontro. Non lo avessi fatto, avessi ributtato indietro ciò che sentivo, non avrei potuto essere "terapeutica". Perché oggi scrivo questo? Perché stare nelle proprie emozioni, soprattutto quelle scomode, non è cosa da poco. Anche per gli "addetti ai lavori" che conoscono come si fa, ci può voler tempo e impegno. Lo sappiamo bene quando vi chiediamo e vi accompagniamo nel farlo. Così come sappiamo che è proprio questo processo a darci la possibilità di svoltare, di procedere e di stare meglio.
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Emma Montorfano
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Febbraio 2023
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