Emma Montorfano Psicologa Cantù
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Mettiamoci il cuore

9/13/2019

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Considerato un muscolo d’eccezione misteriosamente animato, motore primo della vita, il cuore è l'organo che ha sempre ispirato artisti, poeti, filosofi e scrittori. Esistono a riguardo immagini, proverbi e metafore: "non avere cuore", "spaccare il cuore", "corteggiare", "metterci il cuore", "ricordare", "avere coraggio", "col cuore in mano" [qui ne puoi trovare altri].

Il cuore è al centro di ogni aspetto della nostra esistenza. Quasi tutte le culture tradizionali attribuiscono al cuore il significato di centro simbolico dell’affettività e dell'anima. Per tradizione, assume anche il significato di cardine della spiritualità e in questo senso è considerato un organo sacro. In India è la dimora di Brama; per l’Islam il trono di Dio. Presso i sufi, i saggi islamici, la visione spirituale viene paragonata “all’occhio del cuore”. Gli alchimisti, d’altra parte, ritenevano che il crogiuolo interiore dell’uomo, ossia il luogo che fornisce il calore necessario al compimento della grande Opera, fosse nel centro del cuore. Inoltre, quando in Egitto si imbalsamavano i morti, l’unico viscere che restava intatto nel corpo della mummia era il cuore, che come centro supremo dell’uomo doveva rispondere delle azioni del defunto al cospetto del giudizio divino.

Questa presa sull'immaginario gli ha guadagnato un assoluto rispetto anche in ambito medico, rendendolo quasi un tabù: fino alla fine del 19esimo secolo infatti nessuno aveva osato avvicinarvisi con un bisturi. C'erano certo dei limiti tecnici, ma il divieto culturale era ancora molto forte. La svolta è avvenuta quando si è iniziato a considerarlo una macchina. Il cambio di punto di vista ha permesso lo sviluppo di tecnologie salvavita. Ad esempio, William Harvey ha indagato e svelato la natura della circolazione sanguigna; C. Walton Lillehei, con la macchina cuore-polmoni ha dato speranza di vita a milioni di pazienti; Werner Forssmann per primo sperimentò su se stesso la procedura per raggiungere il cuore con un catetere – aprendo così la strada a una chirurgia cardiaca meno invasiva; mentre George Mines ha scoperto i meccanismi elettrici del muscolo cardiaco. Nonostante i progressi tecnologici e una visione meccanicistica, l'imprevedibilità del cuore continua a fare paura.

Da certe patologie, risulta che le emozioni giocano un ruolo fondamentale nella salute del cuore.

La più spettacolare è la cardiomiopatia di Tako-tsubo o patologia del cuore infranto. Quando il cuore viene indebolito da uno stress fisico od emotivo, la persona può sviluppare dolori al petto, aritmie e il cuore stesso cambia forma temporanemanete nell'ecografia. Diventa a palloncino, come il vaso per la pesca del polpo usato in Giappone, da cui il nome. In nessun'altra condizione il cuore biologico e quello metaforico sono cosi strettamente intrecciati.

Si è inoltre scoperto che il cuore non è solo fondamentale per la sopravvivenza, ma anche per il modo in cui le persone si relazionano l'una con l'altra. In particolare, la variazione dell'intervallo dei battiti del cuore gioca un ruolo chiave nei comportamenti sociali che vanno dal prendere decisioni, regolare le proprie emozioni e far fronte allo stress.

Se il cuore fosse solo una pompa basterebbe manipolarlo con la farmacologia ma non è così. E' un organo profondamente innervato che, come molti altri, risponde ai nostri stati emotivi ed ha interazioni complesse con il modo in cui ci relazioniamo agli altri. E molto probabilmente, i progressi futuri in questo campo dipenderanno sempre più dai nostri stili di vita, e sempre meno dai dispositivi che saremo in grado di inventare.
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Il pappagallo del nonno

9/6/2019

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Era una bella mattina d’estate. Mi trovavo sola, in vacanza, ospite di amici e colleghi, nel Sud della Francia.Svegliatami di buon’ora, ero andata in giardino senza far rumore, per guardare il sorgere del sole sulle montagne, alle spalle di Sainte-Baume.Non conoscendo le abitudini della casa, e non volendo disturbare, me ne stavo tranquilla vicino la piscina, all’ombra dei pini. Tutto era colmo di pace… carico di “ordine, bellezza… lusso, calma e voluttà”.All’improvviso, una voce chiamò da lontano con tono imperioso: “A tavola!” Presto, presto, presto, a tavola! …”. I cani si precipitarono, e io dietro a loro, nella grande sala da pranzo, nel soggiorno dove… non c’era nessuno.
La voce, una voce mascolina, sicura, certa dei suoi diritti e abituata a dare ordini, continuava a ripetere: “A tavola! Monica presto! A tavola!”. “E sta diritta!” (istintivamente, mi raddrizzai).
I cani puntarono in direzione della voce e si fermarono davanti… alla gabbia di un pappagallo. Rimasero in attesa, si calmarono e … si accucciarono nuovamente. Io ero sbalordita quanto loro e tornai ad aspettare in giardino.

Più tardi, durante la colazione domenicale – piacevole, conviviale, rilassante e calorosa – il mio amico Michel mi spiegò che, alla morte di suo nonno, aveva ereditato quel pappagallo – un pappagallo centenario – che talvolta “parlava” proprio come un tempo si parlava in famiglia. Era così verosimile da ingannare.

Era dunque il nonno (medico) che chiamava a tavola ora uno ora l’altro dei membri della famiglia – soprattutto i bambini piccoli – o i loro amici. Nessuno sapeva cosa facesse scattare la memoria del pappagallo, né prevedere cosa potesse uscire dal suo becco. Per i miei amici, la famiglia” era sempre là. Che presenza, che calore, quale accoglienza portava questo pappagallo! Quale durevolezza di discendenza e che conforto! Ma anche: quali eventuali segreti potrebbe eventualmente far risorgere, quali “non detti” proibiti, quali ordini potrebbe dare nuovamente o ricordare?

(Quel pappagallo) era il passato, il passato vivente, il passato sempre vivente che interagiva con il presente! Questa esperienza è stata per me una via d’accesso al passato-presente, che va e viene.

Noi proseguiamo in vita la catena delle generazioni e paghiamo il pegno al passato. Fin tanto che non si è “cancellato il debito”, “un’alleanza invisibile” ci spinge a ripetere, che lo vogliamo, che lo sappiamo, la situazione piacevole o l’evento traumatico, la morte ingiusta, persino tragica, o la sua eco.

Anne Ancelin Schutzenberger, La sindrome degli antenati, Di Renzo Editore 1993

Siamo semplici anelli di una catena di generazioni e spesso diventiamo vittime di eventi e traumi già vissuti dai nostri antenati. E' l'inconscio familiare: la storia che altri hanno scritto per noi.
Anne Ancelin Schutzenberger, terapeuta ed analista con oltre cinquant'anni di esperienza, spiega nel libro "La sindrome degli antenati" [1993-Di Renzo Editore] il suo originale approccio psicogenealogico.
La vita di ciascuno di noi è un romanzo. Voi, me, noi tutto viviamo prigionieri di un'invisibile ragnatela di cui siamo anche tra gli artefici. Se imparassimo ad afferrare, a comprendere meglio, ad ascoltare e a vedere queste ripetizioni e coincidenze, l'esistenza di ciascuno di noi diventerebbe più chiara, più sensibile a ciò che siamo e a ciò che dovremmo essere. Ma è possibile sfuggire a questi fili invisibili, a queste triangolazioni, a queste ripetizioni?
Anne Ancelin Schutzenberger sostiene che, in un certo senso, siamo meno liberi di quanto crediamo. Pertanto possiamo riconquistare la nostra libertà e svincolarci dalla ripetizione capendo ciò che accade, afferrando questi fili nel loro contesto e nella loro complessità.
Questi complessi legami vengono vissuti nell'indicibile, nell'impensabile, nel non detto o in segreto.

Tuttavia esiste un modo per trasformare sia questi legami affinché le nostre vite diventino profondamente a misura di ciò che desideriamo, di ciò di cui abbiamo voglia e bisogno per esistere.
Se si è governati dal caso o dalla necessità, si può comunque cogliere la propria occasione, cavalcare il proprio destino, capovolgere la sorte sfavorevole ed evitare i tranelli delle ripetizioni transgenerazionali inconsce.
Secondo la Schutzenberger, il lavoro della psicoterapia è fare in modo che la vita sia l'espressione del nostro autentico essere. Lo psicoterapeuta, dopo essersi smascherato e compreso lui stesso, è pronto per capire, ascoltare e vedere. Allora, umilmente, avvalendosi di tutto il suo sapere, il terapeuta cerca di essere l'intermediario o il traghettatore che colma la distanza tra colui che cerca se stesso e la sua verità.

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    Emma Montorfano

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