"Vivere non è abbastanza… bisogna avere il sole, la libertà e un piccolo fiore"
Hans Christian Andersen È arrivata ufficialmente l'estate! Un tempo la vivevo carica di aspettative: cose da fare, vacanze, riposo, tempo libero da sfruttare al massimo... con il risultato, facilmente immaginabile, di arrivare a settembre con la lista di cose da spuntare ancora lunga e un sapore in bocca di aspettative disattese, di occasioni perdute, di tempo non vissuto davvero. Non so cosa mi abbia cambiato nel vivere questa stagione. Forse porre lo sguardo sulle altre, provare a non concentrare tutta la mia "felicità" in tre mesi di sole, caldo e libertà ma ricercandola anche in momenti più freddi e "difficili", dentro ad una quotidianità che non sempre lascia spazio ai desideri. Forse pensare che non era la stagione in sé, ma il come mi vedevo io, le priorità che davo ai miei sogni e bisogni, lo spazio e il tempo che mi prendevo per me, che mi facevano sentire bene. E questo per fortuna posso farlo sia in estate sia in inverno.
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Ho passato le vacanze natalizie immersa nel libro "Una vita come tante" di Hanya Yanagihara e ho capito finalmente perché tutti ne parlassero così appossionatamente.
Credo ci siano decine e decine di frasi stupende, oggi vi condivido questa: "Ammettere di ignorare quel linguaggio significava dover spiegare il proprio" Dove il protagonista non intende le parole ma bensì i significati e i mondi che quelle parole portano con sé. L'incontro con l'altro, a volte più, a volte meno, implica sempre uno sguardo a ciò che è nostro, a ciò che siamo. Perché è la differenza che crea informazione (citando Bateson). Uno sguardo verso di noi che non è mai facile, soprattutto quando ci mette davanti agli occhi cose che non vorremmo vedere. E se chiamassimo un incrocio "quadrivio "? Lo guarderemmo con occhi diversi? La prospettiva cambierebbe?
Incrocio mi fa pensare ad un incontro, focalizza la mia attenzione sul centro, dove le strade si fondono diventando per un momento uno spazio unico. Quadrivio sposta la mia prospettiva sulle quattro strade, invita l'occhio ad andare oltre, verso le quattro direzioni percorribili. Ecco perché le parole sono importanti, creano la realtà. L'estratto fotografato è del libro "Sedici parole" di Nava Ebrahimi Prendermi cura delle storie delle persone è il mio lavoro. Negli anni ho sfogliato tanti libri che parlavano di cura e ancora lo faccio, sia per formazione professionale sia perché è sempre importante avere sguardi nuovi con cui guardare ciò che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni.
Potevo allora non leggere questo "Manifesto della cura", scritto dal collettivo The Care Collettive? "Di cosa parliamo quando parliamo di cura? Cosa vuol dire avere cura degli altri e chi sono questi altri? Come fare in modo che prendersi cura degli altri non sia solo un' attitudine individuale, da filantropi, ma un imperativo etico e una responsabilità politica?" Mica male come prime righe. Poche pagine ma densissime di contenuti, in cui più piani, da quello personale a quello politico, si intrecciano ... perché così è la realtà. Siamo dentro le relazioni, viviamo nelle relazioni, a tutti i livelli. "La consapevolezza della nostra dipendenza e interdipendenza dagli altri è il primo passo per rimettere la cura al centro dell'agenda politica e sociale" "Prendersi cura non può essere un processo individuale ma collettivo". Ed è proprio la presa di consapevolezza di quanto il sistema in cui siamo inseriti e le relazioni ci formino, di quanto ci costituiamo attraverso la relazione, che deve farci adottare la prospettiva di una cura che sia responsabilità collettiva. Il discorso su che cos'è "cura" viene amplificato: "Quando parliamo di cura non ci riferiamo soltanto alla cura in senso pratico, ovvero il lavoro svolto in prima persona da chi si occupa dei bisogni fisici ed emotivi altrui, per quanto questo resti un aspetto cruciale. La cura è anche una capacità sociale, un'attività che alimenta tutto ciò che è necessario al benessere e al nutrimento della vita". Ritorna una concezione di benessere che sia inclusivo di mente e corpo, di salute mentale, salute fisica e salute relazionale. "Cura universale significa che la cura in tutte le sue manifestazioni è la nostra priorità, non solo in ambito domestico, ma in ogni sfera, nei nostri legami più stretti, nelle nostre comunità fino ad arrivare agli stati e all'intero pianeta". Oggi ho avuto un colloquio con un ragazzo originario del Senegal. È sempre un arricchimento per me confrontarmi con una cultura diversa.
Diverso è il modo di concepire il tempo: non come qualcosa da organizzare, programmare, sfruttare al massimo per produrre e fare, ma come qualcosa che inevitabilmente passa ed è al contempo certezza, il sole sorgerà sempre domani. Non si corre il rischio di "sprecare" il tempo, un'ora prima o dopo non cambia. Diverso è anche il modo di prepararsi ad una partenza: solitamente cerchiamo di salutare tutti e tutto, lui ha informato solo i genitori, perché si fa così, per scaramanzia, meglio non attirare il malocchio degli invidiosi. Quante diversità, a volte mi piacerebbe riuscire ad alternare, ad affrontare le giornate e gli eventi con una o l'altra prospettiva. A casa dei miei genitori, nelle occasioni importanti, si tirava fuori "il servizio bello": piatti, posate e bicchieri tenuti tutto l'anno dietro le vetrinette e rispolverati in occasione delle festività, dei pranzi coi parenti, delle cerimonie. Servizi di piatti decorati, bicchieri brillanti, posate in argento, tutti bellissimi ancora a distanza di anni. E a distanza di anni ancora utilizzati poco (anzi, forse sempre meno).
Allora penso: ma perché mai non usiamo il "servizio bello" tutti i giorni? Viviamo aspettando l'occasione giusta per sfoggiare quel vestito, per il bicchiere di cristallo, per la bottiglia di vino, per comprare un mazzo di fiori, per fare un regalo, per fare questo e quello. Ma in realtà, oggi è l'occasione giusta, ogni giorno può essere il giorno speciale. 📝 Psicoesercizio Qual è quella cosa che tieni per le occasioni importanti? Pensi che oggi possa essere una giornata speciale per usarla? Nel libro "I miserabili" Victor Hugo scriveva “L'oscurità dà le vertigini. L'uomo ha bisogno della luce: e chiunque si tuffi nell'opposto della luce si sente il cuore stretto. Quando l'occhio vede nero, la mente vede confuso; nell' eclisse, nella notte, nella caliginosa opacità v'è l'ansia, anche per i più forti.” E' molto frequente che in questo periodo di pandemia si provi ansia, apprensione, panico, preoccupazione, timore, sgomento, a volte addirittura terrore ed angoscia. Le raggruppo sotto lo stesso cappello, poiché possiamo vederle come sfumature dell'emozione base PAURA. Sono emozioni collegate al futuro, che ci comunicano qualcosa su come noi stiamo immaginando, visualizzando, ipotizzando e vivendo l'arrivo del "domani". Partiamo, come per lo sconforto, dal primo punto, ovvero capire meglio la situazione. Quali caratteristiche sono connesse con la nostra emozione? Può essere l'alto numero di morti e di contagiati o la mancanza di soluzioni definitive ed efficaci una volta per tutte. O ancora la persistenza del virus e la sua rapida diffusione a livello mondiale, con il blocco di tante attività e relative conseguenze. I pensieri che si fanno strada possono richiamare allora il tema della morte, della propria e di quella delle persone a cui vogliamo bene, ma anche più in generale il tema dell'incertezza, dello sconosciuto, del non sapere cosa ci potrà accadere, cosa ci attende. Tutto ci sembra fuori il nostro controllo. La morte è per definizione qualcosa che non conosciamo, che non possiamo prevedere né controllare, è il vuoto, il nulla, il buio. Ecco allora che il nostro corpo reagisce alla paura, in due differenti modalità. Può o immobilizzarsi o attivarsi. Sono due reazioni che osserviamo anche negli animali: ci sono prede che fingono di essere morte per scampare al predatore e altre che invece fuggono. Nel primo caso, può essere utile seguire i suggerimenti dati per lo sconforto: muovere il corpo, che può essere ballare, fare qualcosa con le mani, camminare, o anche solo scrivere. Nel secondo caso, il corpo reagisce nel modo apposto: si sta preparando alla fuga, quindi i battiti aumentano, il respiro è affannoso, le gambe iniziano a tremare. Possiamo allora cercare qualcosa che rallenti questi cambiamenti, che rilassi i muscoli e il respiro: ad esempio ascoltare musica rilassante, leggere, osservare delle immagini piacevoli, provare qualche esercizio di respirazione, preparare una tazza di té o di latte (dall'aspettare che l'acqua bolla al sorseggiarla lentamente). Arrivati fino a qui, possiamo allora domandarci cosa queste sfumature di paura ci stanno comunicando. Ci stanno dicendo di fare attenzione, che i rischi sono molto alti, soprattutto per la sensazione che sia tutto fuori il nostro controllo. Di fronte al vuoto, all'indicibilità del futuro, la nostra mente ci prefigura gli scenari peggiori, affinché possiamo arrivare preparati ad affrontarli. Se non avessi timore di bruciarmi e non pensassi che con la teglia in forno potrei scottarmi, difficilmente prenderei la presina. In questo senso la paura è molto utile, dobbiamo ascoltarla, altrimenti rischieremmo sempre grosso. E' quando però gli scenari peggiori non lasciano il minimo spazio ad altro che diventa difficile. Vi suggerisco allora un esercizio, per allenarci a vedere altri scenari. Dobbiamo fare appello alla nostra curiosità. Andare alla ricerca di quelle cose che il futuro potrebbe avere in serbo per noi e riprenderci il controllo su quelle. Piccole o grandi cose, tutto va bene. Potrei vedere un futuro in cui posso decidere come organizzare del tempo gratificante a casa. Potrei immaginare un domani in cui metto in atto dei comportamenti che mi proteggono e proteggono i miei cari. Potrei pensare a come mi potrebbe servire per affrontare al meglio il futuro (riprendendo la metafora di prima, quali presine potrei usare per proteggermi dal calore del forno). Posso anche pensare di ammalarmi o che si ammalino le persone a me vicino ma che saprò quali risorse attivare per gestire quel momento doloroso. Posso immaginare come sarà la ripresa, quali primi passi concreti potrò, vorrò, dovrò fare per risalire dal fondo. Provare insomma a creare diversi "poi" a partire da un "ora" che ci fa paura. “L'ansietà è lo spazio tra 'ora' e 'poi'.” I crocus, insieme alle primule, sono i fiori che annunciano l'arrivo della primavera. Sbocciano quando ancora l'aria è fredda e si fanno largo tra le foglie secche che ancora ricoprono il terreno.
Sono fiori piccini, non hanno un alto gambo, ma se li vediamo, capiamo subito che si avvicina il cambio di stagione. Anche il cambiamento in terapia avviene a passi. Si inizia un pezzettino alla volta. A volte fatichiamo a riconoscere i primi passi, perché sono piccoli (ma importantissimi), magari nascosti sotto i rimasugli dell'inverno, o perché la nostra attenzione è concentrata su altro. I primi passi possono essere tanti. 👉🏻Può essere avere un sonno più ristoratore. Può essere dire sì/no quando davvero lo sentiamo, anche solo una volta. Può essere un gesto di cura verso noi stessi (che sia un po'di tempo per le nostre passioni, un regalo, un gesto). Può essere vedere le cose per la prima volta da una prospettiva diversa. Può essere non avere più quel mal di testa o mal di stomaco fissi, ma a giorni alterni. Può essere reagire diversamente ad una situazione, anche solo una volta, che ci sembra un caso. Può essere prendere consapevolezza di una nostra emozione, fa niente se poi ci comportiamo come sempre. Può essere fare una cosa diversa dal solito, cinque minuti bastano. Può essere rispettare un nostro bisogno, anche solo per una volta. La lista sarebbe lunghissima! 📝 Psicoesercizio Potete riconoscere o trovare qualche "primo fiore" del vostro cambiamento? Ho una cara amica che vive dall'altra parte del mondo, a 9000 e passa chilometri di distanza. Legge sempre molto pazientemente ciò che scrivo e l'altra mattina mi invia questo "buongiorno":
„La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro: leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare.“ di Arthur Schopenhauer. L'ho associata a questa foto, dove l'ordine del traliccio si intreccia al caos dei rami e permette di crescere e dare nuova vita. Non ci importa sapere chi è vitale per chi, ma guardare nell'insieme cosa hanno prodotto. Caos e ordine, realtà e sogni, staticità e cambiamento, sono tutti in relazione nello stesso libro e l'uno non esisterebbe senza l'altro. 📝 Psicoesercizio Fermati a riflettere: in quale posizione ti senti di più ora? Sei in una fase di caos o di ordine? Di cambiamento o di staticità? E come ti ci trovi? Alzi la mano chi si è ritrovato almeno una volta con i capelli arruffati. Poca paura: spazzola in mano e tutto si sistema. E se invece dei capelli ci ritrovassimo con la mente arruffata? Un groviglio di pensieri, frasi, ricordi, emozioni...che solo a guardarlo, quel gomitolo incasinato, ci viene voglia di scappare o di ricorrere alle forbici. Anche in questo caso, credo che sia capitato a tutti, almeno una volta, di non riuscire più a vedere l'inizio e la fine del filo, di sentirci in balia di un caos scompigliato senza riuscire trovare la rotta. Un esercizio che mi capita spesso di suggerire, è quello di provare, come prima cosa, a scrivere quello che abbiamo in testa. Il linguaggio, infatti, essendo un codice con regole precise, ci obbliga a dare una forma, un ordine sintattico, a cercare connessioni logiche, tra soggetto e azione, tra causa ed effetto. Ed è questo uno dei motivi per cui tante ricerche sostengono che scrivere sia terapeutico.
Vi va di provare? Se avete voglia di maggiori informazioni, scrivetemi pure in privato! |
Emma Montorfano
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Febbraio 2023
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