La famiglia è un sistema, ovvero un complesso di elementi connessi l’un l’altro da reciproche relazioni. Questi elementi, pur mantenendo ognuno una propria individualità, nel loro insieme danno vita a un tutt’uno con proprietà nuove e diverse. Le parti della famiglia sono i diversi membri, che tramite le loro azioni contribuiscono a determinarne il suo sviluppo.
L’azione di ogni componente esercita un’influenza sugli altri e sull’intero sistema famigliare, che modifica i suoi equilibri e ne esce trasformato. Questo cambiamento, a sua volta, ha un effetto trasformativo anche su ogni singolo individuo. Fortunatamente una famiglia è in grado di trasformarsi, quando vive momenti significativi (per esempio alla nascita di un nuovo figlio, di fronte ad un lutto o ad una uscita di casa di un componente): tutto il sistema si riorganizza per andare incontro al cambiamento e costruire un nuovo equilibrio. Un lavoro di squadra e del singolo, che seppur complesso ed emotivamente provante, è di fondamentale importanza perché la famiglia continui a vivere come tale. Col l'arrivo del secondo figlio, queste nostre dinamiche familiari mi sono ancora più visibili. Quanta fatica stiamo facendo per fare spazio, fisico e mentale, al nuovo componente. Però quanto ne vale la pena!
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"Perché è lei, Golda, che lui ama. E perché con lei è impossibile".
Tratto da "L'amante palestinese" di Selim Nassib Ma perché alcune coppie vanno in crisi? Perché ad un certo punto "non funziona più"? La coppia è un sistema complesso. Non è la semplice somma delle caratteristiche di ciascuno ma è un "terzo", un incontro di due storie, che danno origine ad una terza, con una sua identità. Due persone si scelgono, si innamorano, cambieranno impercettibilmente giorno dopo giorno per tenere la coppia nel suo equilibrio, perché "non cambi mai" e resti sempre stabile. In questi movimenti si superano ed elaborano le delusioni che emergeranno nel tempo, si rinegoziano l'immagine di sé, dei propri bisogni e aspettative, si trovano i significati della relazione per ciascuno, si riconosce accetta e ascolta l'altro come individuo diverso da sé. Ma a volte questa complessità non si riesce a tenerla insieme, scappa qualche pezzetto, i bisogni propri, dell'altro e della coppia non si incontrano più ma iniziano a scontrarsi, si creano dinamiche che invece di fare crescere, avviluppano. A volte la coppia resta viva e si può rigenerare, altre volte si prende consapevolezza che appartiene inevitabilmente solo al passato e la si perderà, nonostante, magari, l'amore. Essere una psicologa non mi esime dall'essere una mamma che commette errori: a volte mi capita di alzare troppo la voce, altre volte non riesco ad ascoltare o aspettare.
Anche se conosco bene cosa succede quando si urla ai propri figli. Li inseriamo dritti dritti in una dimensione di paura, dove la persona che dovrebbe proteggerli e consolarli è la stessa che li sta "minacciando". Si sentono persi e vulnerabili, senza capire cosa fare. I nostri figli in quella situazione non apprendono un bel niente. Non interiorizzano la regola, la morale, il comportamento più consono, ma imparano qual è il modo per proteggersi ed uscire dallo stato di paura: ovvero fare ciò che il genitore chiede. Teniamo bene in mente che quando alziamo troppo la voce, quando sgridiamo in modo "aggressivo" (non quando siamo autorevoli, ben inteso), lì ci stanno soprattutto i nostri bisogni. Quando mi succede, mi fermo. Cerco di ritornare indietro, a cosa stava succedendo, provo ad indovinare e a verbalizzare come sta mia figlia, riprovo nuovamente usando altre parole, cerco di non avere fretta. Adesso che è più grandina, chiedo la sua collaborazione. Spesso chiedo scusa. Perché credo che per mia figlia sia più importante vedere una mamma che si migliora invece di una mamma perfetta. "Dai, veloce, che dobbiamo andare!"
Ci sono mattine in cui si va di fretta: giusto il tempo per la colazione, bisogna prepararsi veloci per uscire che il lavoro non aspetta! E c'è Vera che invece se la prende con calma, vuole vestirsi da sola, giocare, curiosa nella borsa di lavoro lasciando sul pavimento i resti di ciò che trova, poi c'è la pipì dell'ultimo minuto e poi ancora la scelta del gioco da portare con sé, che non è mai quello giusto al primo colpo ma bisogna cambiarlo sempre! Proprio quando il tempo scarseggia, lei rallenta! Mentirei se dicessi che non sale un po'di fastidio (qui un chiaro esempio di bisogni insoddisfatti che fanno uscire la rabbia!)...Che lo faccia apposta? Viene da pensare! Ma poi osservo prima di tutto me stessa. Sono io che ho esigenze diverse, che necessito di cambiare i ritmi e le chiedo di adeguare i suoi ai miei. Quando si deve andare al lavoro o ad un appuntamento, quando il tempo è contato, perché la quotidianità è fatta anche di incastri, che sia anche solo preparare il pranzo! Penso che forse le sto chiedendo davvero uno sforzo grande per la sua età e che, come pesa a me, pesa anche a lei. Magari di soluzioni non ce ne possono essere, magari continueró a dire "dai, veloce, che dobbiamo andare!" perché il tempo è quello che è, non si può raddoppiare a piacimento! Forse mi basta sapere che siamo sulla stessa barca, che i momenti lenti si affiancano a quelli veloci e che dobbiamo supportarci a vicenda per andare avanti. Voi che ne pensate? Nei giorni scorsi, in modo del tutto casuale, ho ascoltato due storie simili da due persone diverse. Entrambe hanno raccontato di come abbiano ricevuto risposta negativa in seguito ad una loro richiesta di aiuto ai genitori per l'organizzazione dei figli e del lavoro. Entrambe le persone hanno avuto una reazione simile, di rabbia e delusione, a fronte delle motivazioni portate dai genitori, che secondo loro erano inconsistenti e più che altro delle "scuse" senza fondamento.
Al di là del "giusto" o "sbagliato" o della veridicità delle motivazioni dei genitori, e andando anche al di là della considerazione che le nostre motivazioni sono connesse al nostro punto di vista con cui guardiamo la situazione, ciò che fa riflettere è che non è mai solo una questione di tempo/possibilità. Provare a pensare ad una situazione in cui avete chiesto un favore/fatto una proposta e la risposta è stata "non ho tempo, non posso, ho da fare X cose" e avete sentito che forse c'era sotto altro e che era più un "non voglio". O al contrario, quando siete stati voi a dire così. Se ci pensiamo, tutto ciò è connesso alla relazione, ai ruoli che si vogliono avere in quella relazione, a quanto vogliamo o meno mettere da parte i nostri bisogni per quelli degli altri, a quanto vogliamo investire in quella relazione, agli effetti che sappiamo (o immaginiamo) vedremo nell'altro e in noi. Facciamo caso alla relazione, a come tutto ciò cambi a seconda che ci troviamo davanti Tizio o Caio. Che effetto ha in noi ricevere o dire un "no" in quella relazione? Oggi ho avuto il colloquio con l'educatrice di riferimento di Vera al nido.
Solitamente sono io in studio che accolgo i genitori, oggi è stato il contrario ed ero emozionata! Sarà un nuovo inizio. E come tutti i nuovi inizi, porterà con sé dei cambiamenti. I percorsi non sono mai lineari e se siamo bravissimi nel vedere e supportare i traguardi positivi, che fanno stare bene, a volte ci imbattiamo in qualcosa che ci fa preoccupare. Mi sento di dire che può rientrare tutto nel fisiologico, che la maggior parte delle difficoltà tende a risolversi con il passare del tempo, se i bambini vengono ascoltati e non lasciati soli. Può succedere che non vogliano andare all'asilo, che piangano, che abbiamo delle regressioni. Ricordo perfettamente Vera che, un anno fa, dopo una settimana di frequentazione di uno spazio di socializzazione e gioco senza problemi, ha iniziato a piangere senza sosta anche a casa, a non voler mai lasciarmi, e un giorno ho deciso che potevo, per una volta, allattarla nuovamente per farla addormentare e calmarla, nonostante avessimo già altre rodate abitudini per la nanna pomeridiana. Diamo tempo, a loro come a noi, di sperimentarsi, di vedersi in una nuova situazione, di potersi fidare di un altro adulto che si prenda cura quando siamo lontani (sia noi genitori che loro!) Ho preso per l'occasione un libricino da sfogliare insieme (qui c'è la mamma, non me ne vogliano i papà!) dove le protagoniste trovano un modo personalissimo e pieno di amore per affrontare la giornata, ognuna coi propri impegni! Siete anche voi in procinto di iniziare un nuovo percorso scolastico? Come la state vivendo? Vi è mai capitato di immaginarvi diversi? Di sognare di essere più... bravi belli intelligenti capaci (inserisci l'aggettivo che vuoi tu)?
Ecco, quando lo facciamo, lì dentro ci mettiamo una parte di nostre aspettative su noi stessi, delle aspettative che sentiamo gli altri hanno su di noi e ciò che vorremmo essere, l'immagine più bella di noi stessi, ovvero il nostro "sé ideale". Questo ideale di noi stessi ci guida nel porre degli obiettivi che ci soddisfino ma occorre stare attenti affinché non diventino troppo disancorati alla nostra realtà. E nella relazione cosa succede coi sé ideali? Può capitare di avere delle aspettative su di noi e sull'altro, su come vorremmo essere, su cosa l'altro dovrebbe fare e così via. A volte queste aspettative sono raggiunte e stiamo bene. Altre volte sono invece disattese e questo può portare senso di colpa ("non sono come tu mi vuoi") insoddisfazione o tradimento ("non sei come credevo tu fossi") e un generale malessere nella relazione. Può capitare anche nella relazione con i figli, quando li investiamo di aspettative che forse però riguardano più noi e i nostri sogni che loro. Oggi nelle storie su Instagram abbiamo condiviso proprio questa tematica: raccontaci la tua esperienza! Mi sono commossa leggendo queste righe: la descrizione dell'amore tra una bambina, senza più mamma e papà, e l'unica suora che, nel convento, riesce a relazionarsi con lei come una figura materna.
Mi sono commossa pensando a quanta mancanza ha sofferto la protagonista, a quanto sono stati preziosi per lei e per il suo diventare adulta quegli scambi di affetto. Quanto è vitale avere qualcuno che ci guardi con gli occhi pieni di amore e da guardare con altrettanta intensità. Mi sono commossa, perché, nonostante le mille differenze, quel "bene" è come quello che ci scambiamo anche io e Vera e fino a quando sentirò che c'è, potremo fare un passo dopo l'altro! Nuova storia da leggere con Vera!
È diventato un rituale pre nanna da quando lo abbiamo comprato. E ogni sera ci ricorda che la felicità a volte arriva, a volte scappa, a volte la si vede, altre si nasconde ma, soprattutto, comincia sempre e solo da noi stessi. "Tutti hanno bisogno di felicità nella vita ma questa può essere difficile da trovare e a volte lontanissima. Eppure c'è un posto dove si può sempre trovare la felicità ed è il posto dove dobbiamo ritornare" #evaeland #nordsudedizioni Prendermi cura delle storie delle persone è il mio lavoro. Negli anni ho sfogliato tanti libri che parlavano di cura e ancora lo faccio, sia per formazione professionale sia perché è sempre importante avere sguardi nuovi con cui guardare ciò che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni.
Potevo allora non leggere questo "Manifesto della cura", scritto dal collettivo The Care Collettive? "Di cosa parliamo quando parliamo di cura? Cosa vuol dire avere cura degli altri e chi sono questi altri? Come fare in modo che prendersi cura degli altri non sia solo un' attitudine individuale, da filantropi, ma un imperativo etico e una responsabilità politica?" Mica male come prime righe. Poche pagine ma densissime di contenuti, in cui più piani, da quello personale a quello politico, si intrecciano ... perché così è la realtà. Siamo dentro le relazioni, viviamo nelle relazioni, a tutti i livelli. "La consapevolezza della nostra dipendenza e interdipendenza dagli altri è il primo passo per rimettere la cura al centro dell'agenda politica e sociale" "Prendersi cura non può essere un processo individuale ma collettivo". Ed è proprio la presa di consapevolezza di quanto il sistema in cui siamo inseriti e le relazioni ci formino, di quanto ci costituiamo attraverso la relazione, che deve farci adottare la prospettiva di una cura che sia responsabilità collettiva. Il discorso su che cos'è "cura" viene amplificato: "Quando parliamo di cura non ci riferiamo soltanto alla cura in senso pratico, ovvero il lavoro svolto in prima persona da chi si occupa dei bisogni fisici ed emotivi altrui, per quanto questo resti un aspetto cruciale. La cura è anche una capacità sociale, un'attività che alimenta tutto ciò che è necessario al benessere e al nutrimento della vita". Ritorna una concezione di benessere che sia inclusivo di mente e corpo, di salute mentale, salute fisica e salute relazionale. "Cura universale significa che la cura in tutte le sue manifestazioni è la nostra priorità, non solo in ambito domestico, ma in ogni sfera, nei nostri legami più stretti, nelle nostre comunità fino ad arrivare agli stati e all'intero pianeta". |
Emma Montorfano
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Febbraio 2023
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