Chi ama curare fiori e piante sa che ognuna ha bisogno di attenzioni particolari: il tipo di terreno, l'esposizione alla luce, la necessità di acqua. Se si sbaglia qualcosa, le piante sanno farsi capire: foglie secche o gialle, niente fiori, rami spogli.
A volte ci vogliono un po' di tentativi prima di riuscire a trovare la formula perfetta affinché una pianta possa rifiorire di nuovo in pienezza. La stessa cosa possiamo fare con noi stessi : quando sentiamo che le condizioni in cui viviamo non ci fanno stare bene ( siano esse le relazioni, il lavoro, o altri ambiti) possiamo provare a cambiare qualcosa. Il primo passo è osservare e ascoltare ciò che il nostro corpo comunica ( come tensione, dolori, insonnia ...) e cercare di individuare quali bisogni sentiamo non essere ancora soddisfatti. Cosa possiamo cambiare affinché si ritorni a fiorire? Come possiamo prenderci cura di noi stessi? Oggi, nelle storie, vi proponiamo questo ultimo "ingrediente" , la cura di sé, importante per la nostra crescita! @annagigliarano_psicologa @valentina_rocchio Vi lascio altri spunti qui A Milano ci sono sempre quei due, tre gradi in più, rispetto ai paesi della provincia, che fanno sì che i fiori sboccino in anticipo di qualche settimana.
È come se alcuni fiori si "dessero del tempo", perché sentono che non è ancora arrivato il momento giusto per schiudersi. Non è di certo un tempo passivo: il bocciolo non si immobilizza, continua il suo processo al suo ritmo, sempre in contatto con le condizioni esterne. Anche noi diamoci del tempo se ne abbiamo bisogno. Diamo del tempo a noi stessi, all'altro, alla coppia, ai nostri figli, quando sentiamo che non si è ancora pronti per un cambiamento. Ma che questo tempo non sia passivo, in attesa di una magia dall'alto ( o dall'altro). Che sia un tempo attivo: per aumentare la nostra consapevolezza, per starci vicini, per conoscere meglio le nostre emozioni, per provare a fare delle cose in modo diverso, gradualmente, per trovare le nostre risorse, le nostre reti di supporto. Quando vi date tempo, come lo usate? La psicoterapia si occupa di cambiamento.
È ciò che più mi piace del mio lavoro: osservare, sperimentare, accompagnare, vivere il cambiamento. Spesso si va in terapia per il nostro rapporto con il mondo (con il nostro mondo di significati), per l'immagine di noi stessi nella nostra rete di relazioni. Non sempre ce ne rendiamo conto, ma siamo in continuo cambiamento, ogni giorno facciamo dei micro cambiamenti affinché il nostro mondo resti in equilibrio, sempre uguale e rassicurante. Non a caso le crisi ci mettono a dura prova e ci obbligano a ridefinire il modo in cui teniamo insieme tutti i pezzi. A volte ci si "ammala" per mantenere l'equilibrio e solo l'idea che qualcosa lo possa rompere ci fa preferire lo stare male al cambiamento. Quando sentiamo che non c'è più equilibrio nonostante i nostri sforzi o quando realizziamo che i cambiamenti che abbiamo attuato ci fanno stare male, nasce il bisogno di fare qualcosa, di cambiare direzione, di chiedere aiuto. "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi", così scriveva Giuseppe Tomasi di Lampedusa ne "Il Gattopardo". Ultimamente, durante un colloquio in studio, mi è capitato di rispondere alla domanda sul perché abbiamo bisogno di "essere visti" dagli altri, di essere apprezzati e amati, di sapere che siamo importanti per qualcuno.
Fondamentale perché esistiamo nella relazione. Siamo "animali sociali", abbiamo bisogno dell'altro per essere felici, per stare bene. La sopravvivenza stessa della specie dipende da un incontro fra due persone. Diventiamo ciò che siamo perché immersi in un tessuto relazionale, dove ci si influenza vicendevolmente. Il lockdown ci obbliga a limitare le relazioni, la socialità. E gli effetti possono essere tanti. Quanto vi pesa ? Che conseguenze state notando? Durante il primo lockdown, io e la collega Anna Gigliarano avevamo provato a descrivere ipotetici stati d'animo legati alla mancanza di socialità, associando ad ogni stato un animale... www.emmamontorfanopsicologa.com/il-block-notes-della-psicologa/in-quarantena-che-animali-diventiamo Vi ritrovate? Avete già fatto il cambio armadio? No, non è un post sulla moda, anzi! Riflettevo oggi sistemando maglioni sul perché le persone vengono in terapia. Desiderano cambiare. Cambiare abiti, stagioni, pensieri, azioni, se stessi, le relazioni che vivono. E può sembrare paradossale (e forse lo è) ma una delle prime cose che mi capita di fare è dare valore a tutto ciò che la persona ha fatto fino ad ora. Non importa se giusto o sbagliato, se poteva fare diversamente o altro. Ciò che la persona ha fatto è stato il meglio che riusciva a fare in quel momento, la migliore soluzione che ha trovato per andare avanti e va benissimo così. Sarà poi il tempo della relazione terapeutica, partendo da questa premessa, a permettere di trasformare il "prima" e di cambiarlo "poi".
Ho una cara amica che vive dall'altra parte del mondo, a 9000 e passa chilometri di distanza. Legge sempre molto pazientemente ciò che scrivo e l'altra mattina mi invia questo "buongiorno":
„La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro: leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare.“ di Arthur Schopenhauer. L'ho associata a questa foto, dove l'ordine del traliccio si intreccia al caos dei rami e permette di crescere e dare nuova vita. Non ci importa sapere chi è vitale per chi, ma guardare nell'insieme cosa hanno prodotto. Caos e ordine, realtà e sogni, staticità e cambiamento, sono tutti in relazione nello stesso libro e l'uno non esisterebbe senza l'altro. 📝 Psicoesercizio Fermati a riflettere: in quale posizione ti senti di più ora? Sei in una fase di caos o di ordine? Di cambiamento o di staticità? E come ti ci trovi? Alzi la mano chi si è ritrovato almeno una volta con i capelli arruffati. Poca paura: spazzola in mano e tutto si sistema. E se invece dei capelli ci ritrovassimo con la mente arruffata? Un groviglio di pensieri, frasi, ricordi, emozioni...che solo a guardarlo, quel gomitolo incasinato, ci viene voglia di scappare o di ricorrere alle forbici. Anche in questo caso, credo che sia capitato a tutti, almeno una volta, di non riuscire più a vedere l'inizio e la fine del filo, di sentirci in balia di un caos scompigliato senza riuscire trovare la rotta. Un esercizio che mi capita spesso di suggerire, è quello di provare, come prima cosa, a scrivere quello che abbiamo in testa. Il linguaggio, infatti, essendo un codice con regole precise, ci obbliga a dare una forma, un ordine sintattico, a cercare connessioni logiche, tra soggetto e azione, tra causa ed effetto. Ed è questo uno dei motivi per cui tante ricerche sostengono che scrivere sia terapeutico.
Vi va di provare? Se avete voglia di maggiori informazioni, scrivetemi pure in privato! Questi rami stanno disperatamente cercando di abbracciarsi o di lasciarsi? Quale che sia la loro intenzione, se fossero una coppia in terapia, mi piacerebbe chiedere loro: cosa vedete? Cosa provate in questo momento, ad essere in questa posizione? Siete comodi o scomodi nelle emozioni che sentite? Sono domande che possiamo porci tutti, anche ogni giorno, soprattutto quando ci troviamo in una situazione di "crisi" e scegliere il passo da fare può essere molto difficile. Mi capita spesso, nel mio lavoro con persone migranti che hanno ricevuto o richiesto la protezione internazionale, che si parli di cosa si aspettavano di trovare prima di intraprendere il loro viaggio. Come è facile immaginare, le aspettative sono molto diverse da ciò che si trova. Le lungaggini burocratiche per i documenti, la fatica di trovare un lavoro, le incomprensioni ... tutto costringe ad una attesa forzata e a richiudere i propri sogni in un cassetto. La cosa che mi sorprende è che, indipendentemente dal paese di origine e dalla ragione che ha portato alla migrazione, emerge quasi sempre un forte senso di colpa. Per tutto ciò che non è e che invece si sarebbe voluto. Per non aver fatto abbastanza, per se stessi e per la propria famiglia. Per essere fermi e non riuscire a sfruttare il tempo, che passa ed invecchia. Io sento una forte rabbia verso l'ingiustizia con cui sono costretti a scontrarsi, loro sentono solo una forte rabbia verso se stessi, che li porta a non farsi pace.
Ma quanto è difficile perdonarci? Quando ci addossiamo tutte le responsabilità e tutte le colpe, quanto è difficile riuscire a vedere la situazione da un'altra prospettiva e dirsi che quello che stiamo facendo è davvero l'unica cosa che possiamo fare in quel momento? |
Emma Montorfano
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Febbraio 2023
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