Il nostro cervello è plastico: questo significa che ha la potenzialità di variare funzione a seconda dell'esigenza. Addirittura dicono che la maternità cambi il cervello della donna, affinché riesca a prendersi cura in modo ottimale del proprio cucciolo. Ma come succede per tutte le cose, occorre prendersi cura anche del nostro cervello. Come? Occorre dormire e mangiare "bene", avere relazioni appaganti, stare all'aperto, ridere ed accogliere le novità che la vita ci pone davanti. Ma quanto spesso ci dimentichiamo di queste cose essenziali e così vitali? Sembrano azioni così semplici ed invece nei momenti di stress andiamo di fretta, dormiamo poco e mangiamo male, non riusciamo a ritagliarci il tempo per gli amici, e dimentichiamo quanto può essere terapeutico sorridere. Se c'è una cosa che la maternità mi ha portato, è stato proprio l'umorismo. Rido di più e più facilmente, riesco a sdrammatizzare quando è necessario e a ridere con il mio compagno quando ci capitano delle novità scomode ed inattese. Non sempre è facile, perché i momenti di stress sono sempre dietro l'angolo, ma se un sorriso può prendersi cura del mio cervello, perché non tentare?
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Fino a pochi anni fa non mi piaceva proprio il mese di novembre: senza più l'aria frizzante che annuncia l'autunno di ottobre e senza ancora l'atmosfera natalizia che accompagna dicembre. Inizia il freddo, le giornate sono più corte, si è nel pieno degli impegni lavorativi e scolastici. È anche il mese in cui ho perso mio papà, diciamo che non è mai stato per me un mese "simpatico". Eppure da qualche tempo l'ho rivalutato. È diventato il mio mese "malinconico": colori così intensi come forse in nessun altro momento dell'anno, come ricordi ancora vividi, che si stagliano su un cielo spesso nebbioso ed opaco (soprattutto qui in città al mattino), come un velo di tristezza per qualcosa o qualcuno che non c'è più. Il termine melanconia arriva dal greco "bile nera". La malinconia non è una tristezza qualsiasi: come scriveva Victor Hugo, "la malinconia è la felicità d'essere tristi", una tristezza dal sorriso mesto, densa di riflessioni ben capaci di arricchire. E se dietro ogni emozione c'è un nostro bisogno, ecco che ho trovato il mio.
Ieri Vera ha preso un mestolo in mano e ha fatto finta di telefonare alla nonna! È il cosiddetto gioco simbolico, del fare finta che. I bambini usano degli oggetti non per la loro reale funzione, ma immaginando che sia altro. Il divano diventa un'isola sperduta nel mare e loro dei pirati all'arrembaggio, un mestolo diventa un cellulare, foglie e sassi una delizia da cucinare con cura e servire agli entusiasti commensali. È una tipologia di gioco davvero molto importante per i bambini, per la loro crescita emotiva e relazionale. Ed è strabiliante osservare come loro ci credano davvero, di essere dei pirati, dei cuochi, di star parlando con la nonna al telefono. I gesti, le espressioni, tutto sembra reale. Come se bastasse immaginarlo perché esista.
Quanto spesso capita anche a noi di perderci tra i nostri pensieri? Immaginarci "come se..." , in un altro luogo, con altre persone, in situazioni diverse, con quello che desideriamo e così via? Come per i bambini, anche per noi è importante immaginare. Perché? Perché l'immaginazione aiuta a formare un pensiero, a rendere più "possibili" delle situazioni, a farle diventare più facilmente accessibili. E se credo che siano realizzabili e già mi sono visto nella mia testa a fare quella cosa lì, sarò più predisposto a cercare tutte le risorse, personali o esterne, che faranno sì che quella situazione si avveri. Questo vale sia per le situazioni desiderate che per quelle temute, con esiti opposti. Più temo una cosa, più il mio comportamento sarà guidato a continuare a temerla e inciamperò in situazioni che mi confermeranno il mio pensiero, solidificandolo. Né mi attiverò affinché qualcosa cambi: se immagino che andrà male, perché fare qualcosa? Sarà inutile, ci diciamo. E l'esito sarà proprio quello negativo. In psicologia si chiama profezia che si autoavvera. I bambini già lo sanno ed infatti giocano solo cose belle. "Viviamo tutti in un nostro piccolo mondo sicuro definito da barriere invisibili ma molto reali, i nostri confini. Questi confini si formano in base alle nostre esperienze collettive con il mondo che ci circonda, alcune esperienze sono positive e ripaganti, altre invece negative e penalizzanti. Tutti i nostri sensi contribuiscono alla formazione di questi confini, che alla fine ci indicano dove finiamo noi e dove comincia il resto del mondo".
Scaer, 2007 I confini sono le linee interne ed esterne che disegniamo per proteggere noi stessi e gli altri. Ci aiutano a capire chi siamo, chi non siamo e con chi vogliamo condividere esperienze ed informazioni. I confini compaiono in una varietà di posti nella psiche di un individuo e nel suo corpo, monitorano e regolano il grado di spazio personale delle relazioni. Confini troppo permeabili falliscono nel proteggere la persona all'interno del confine; mentre confini troppo rigidi impediscono la crescita e lo scambio con fonti di energia all'esterno del confine. Per questo poniamo costantemente, spostiamo, negoziamo, rinegoziamo i nostri confini personali a seconda delle persone, riguardo alla vicinanza e alle informazioni personali, creando confini sani e flessibili. Essere genitori è una cosa seria. Ci vuole tempo, tanto tempo, impegno, pazienza, curiosità, fiducia e molto altro. Spesso in terapia vedo le conseguenze sui figli di genitori troppo lontani, assenti, manchevoli, o al contrario troppo vicini, presenti, ingombranti. So bene che in una famiglia si creano delle dinamiche che possono essere attanaglianti o invece accrescitive. È una cosa seria appunto. Ma ciò non toglie che essere genitori sia anche una cosa leggera, citando Calvino. "Leggerezza non è superficialità". È avere un pensiero, una consapevolezza del peso che c'è dietro e permettersi di sorridere. Non è vaghezza o abbandono al caso. È scendere nel buio fino al fondo e poi risalire in volo. È giocare con mia figlia e sapere che le nostre risate non sono solo una gioia evanescente ma sono anche e soprattutto il "peso" della relazione tra me e lei e tutto ciò che significa per noi.
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Emma Montorfano
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Febbraio 2023
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