Questi rami stanno disperatamente cercando di abbracciarsi o di lasciarsi? Quale che sia la loro intenzione, se fossero una coppia in terapia, mi piacerebbe chiedere loro: cosa vedete? Cosa provate in questo momento, ad essere in questa posizione? Siete comodi o scomodi nelle emozioni che sentite? Sono domande che possiamo porci tutti, anche ogni giorno, soprattutto quando ci troviamo in una situazione di "crisi" e scegliere il passo da fare può essere molto difficile.
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Dopo una giornata di lavoro, al mio ritorno, Vera mi ha accolto con queste bacche di agrifoglio e margherite raccolte in giardino insieme alla nonna. Un regalo per me, che sorpresa bellissima!
Ai bambini capita spesso di pensare ai genitori quando sono lontani: perché ne sentono la mancanza e hanno bisogno di sentire la loro base sicura. Ci pensano perché per loro siamo importanti. Che, in fondo, è anche il bello di fare un regalo a qualcuno: ritagliarsi uno spazio fisico e mentale in cui si pensa alla persona, alle cose che la caratterizzano, che le piacciono, ai suoi bisogni e desideri. Spesso ci dimentichiamo che possiamo fare dei regali anche a noi stessi, al di là degli oggetti materiali. Possiamo fermarci e dare ascolto ai nostri bisogni. Possiamo imparare a dire sì/no quando davvero lo sentiamo. Possiamo fermarci e concederci del tempo in attesa o accelerare se ci sembra il caso. Possiamo imparare a conoscerci meglio, soprattutto ciò che non ci fa stare bene e riconoscere le dinamiche relazionali che sono per noi poco funzionali. Possiamo prenderci cura di noi, nella nostra interezza. Possiamo perdonarci quando ci sentiamo in colpa e fare il possibile per migliorarci. Pensiamoci e regaliamoci come se lo facessimo per la persona più importante per noi. Vera ha festeggiato due anni! Il giorno del suo compleanno tutte le attenzioni erano per lei: sul suo volto si poteva scorgere un misto di contentezza, stupore ed imbarazzo per essere al centro della scena. Ma il punto è che ricevere attenzioni fa stare bene. Ci sentiamo importanti, amati e di valore. Ecco perché spesso le ricerchiamo dalle persone che amiamo e che ci sono vicine. I bambini chiedono spesso di essere "visti", e chiamano i genitori a gran voce fino a quando non constatano che davvero i loro occhi sono puntati su di loro. Cosa succede però se i genitori non li guardano? Se alla fine sentiamo di non essere visti dalle persone che amiamo? La risposta la conosciamo tutti: si soffre. Ci sentiamo brutti, sbagliati, non amati, soli, senza valore. A volte riusciamo subito a far sorridere nuovamente il nostro cuore, altre volte ci vuole più tempo e più fatica, con il rischio di continuare a soffrire senza sapere nemmeno bene perché. Certo non possiamo indirizzare a piacimento verso di noi le attenzioni dell'altro ma possiamo fare come i bambini ed iniziare a dirlo a gran voce a noi stessi che ne abbiamo bisogno, per trovare così il modo migliore per stare bene.
. Poiché d'inverno l'aria è spesso piuttosto fredda e secca, può succedere che nello strato d'aria vicino al terreno, che ha una temperatura inferiore allo zero ed è saturo di umidità, il vapore acqueo passi direttamente dallo stato gassoso a quello solido, cristallizzando sopra ogni elemento vicino al terreno. Questo fenomeno è detto "sublimazione".
È un processo che avviene prevalentemente di notte, nelle ore più fredde, in silenzio, senza che nessuno se ne accorga. Vediamo solo i risultati sorprendenti: la brina. A volte capita così anche in terapia. Ci vuole una lunga notte fredda prima di veder comparire la brina. Tanto lavorio di cui quasi nessuno vede la complessità se non chi lo sta vivendo in prima persona. A volte avremmo bisogno che anche gli altri si accorgessero di quanto stiamo facendo, del percorso e non solo degli effetti. Sarebbe bello se diventassimo tutti un po'più osservatori "notturni"! Mi capita spesso, nel mio lavoro con persone migranti che hanno ricevuto o richiesto la protezione internazionale, che si parli di cosa si aspettavano di trovare prima di intraprendere il loro viaggio. Come è facile immaginare, le aspettative sono molto diverse da ciò che si trova. Le lungaggini burocratiche per i documenti, la fatica di trovare un lavoro, le incomprensioni ... tutto costringe ad una attesa forzata e a richiudere i propri sogni in un cassetto. La cosa che mi sorprende è che, indipendentemente dal paese di origine e dalla ragione che ha portato alla migrazione, emerge quasi sempre un forte senso di colpa. Per tutto ciò che non è e che invece si sarebbe voluto. Per non aver fatto abbastanza, per se stessi e per la propria famiglia. Per essere fermi e non riuscire a sfruttare il tempo, che passa ed invecchia. Io sento una forte rabbia verso l'ingiustizia con cui sono costretti a scontrarsi, loro sentono solo una forte rabbia verso se stessi, che li porta a non farsi pace.
Ma quanto è difficile perdonarci? Quando ci addossiamo tutte le responsabilità e tutte le colpe, quanto è difficile riuscire a vedere la situazione da un'altra prospettiva e dirsi che quello che stiamo facendo è davvero l'unica cosa che possiamo fare in quel momento? Settimana scorsa pioggia e freddo ci hanno messo a dura prova: via l'estate in un lampo ed eccoci in autunno. Spesso i temporali e la pioggia vengono usati come metafore per descrivere il dolore, la sofferenza, la tristezza. E altrettanto spesso ci dicono, sempre nella metafora, che la pioggia è necessaria per la crescita, che dopo la tempesta arriva il sole, che non c'è arcobaleno senza temporale, che bisogna imparare a ballare sotto la pioggia...beh, sì, potrebbe essere anche bello e romantico ballare sotto la pioggia ... a condizione che non sia un diluvio e che si abbia la sicurezza di una casa calda dove asciugarsi e riposarsi poi. Voglio sfidare chiunque a trovare un lato positivo nello stare dentro al temporale sempre, senza reti di sicurezza, senza che smetta, senza sapere dove andare e se finirà mai!
Mi ha fatto pensare alle persone che incontro nel mio studio: anche loro stanno attraversando una tempesta e io chiedo loro di raccontarmela, di starci dentro, di capirla insieme, di trovarne un senso per poterne uscire. Oggi voglio dire loro che stanno facendo un lavoro pazzesco, doloroso e faticoso e voglio ringraziarli perché, nonostante non riescano a vedere il sole dietro le nuvole, si fidano di me. Quando sono diventata mamma, mio papà già non c'era più. Capita spessissimo che io me lo immagini in veste di nonno: penso a quello che direbbe, a come giocherebbe, alle risate e agli abbracci che darebbe a sua nipote. Purtroppo è tutto nella mia testa eppure ... non c'è assenza. Perché ci sono i ricordi, ci sono i sogni, ci sono le coincidenze che mi piace pensare non siano solo un caso. Ci sono le sensazioni, le foto, i consigli dati allora, forse non ascoltati, ma che riaffiorano adesso nel momento del bisogno. Perdere qualcuno è dolore e lacrime, anche a distanza di anni: cambia forma ma resta. Riuscire a sentirne la presenza, invece, nonostante il vuoto fisico, ha in sé un qualcosa di "magico". Ed è per questo che quando sento il vento soffiare, come il giorno in cui se ne è andato e come quello in cui sono diventata mamma, o quando vedo una farfalla bianca svolazzare sui miei fiori, dico a mia figlia "è il nonno". Sant'Agostino scrisse che i morti "non sono assenti ma sono esseri invisibili". Chi ha perso una persona cara sa quanto doloroso e faticoso può essere continuare la vita senza averla più accanto. La mancanza resta l'unica costante nel tempo che passa ma per oggi, con questo psicoesercizio, vi invito a soffermarvi sulla presenza. Mi farebbe piacere condividere i vostri commenti o le vostre esperienze. Ecco un libro che parla di famiglia e di come siamo semplici anelli di una catena di generazioni. Spesso diventiamo vittime di eventi e traumi già vissuti dai nostri antenati. E' l'inconscio familiare: la storia che altri hanno scritto per noi.
Anne Ancelin Schutzenberger, terapeuta ed analista con oltre cinquant'anni di esperienza, spiega nel libro "La sindrome degli antenati" [1993-Di Renzo Editore] il suo originale approccio psicogenealogico. "La vita di ciascuno di noi è un romanzo. Voi, me, noi tutto viviamo prigionieri di un'invisibile ragnatela di cui siamo anche tra gli artefici. Se imparassimo ad afferrare, a comprendere meglio, ad ascoltare e a vedere queste ripetizioni e coincidenze, l'esistenza di ciascuno di noi diventerebbe più chiara, più sensibile a ciò che siamo e a ciò che dovremmo essere. Ma è possibile sfuggire a questi fili invisibili, a queste triangolazioni, a queste ripetizioni?" Anne Ancelin Schutzenberger sostiene che, in un certo senso, siamo meno liberi di quanto crediamo. Pertanto possiamo riconquistare la nostra libertà e svincolarci dalla ripetizione capendo ciò che accade, afferrando questi fili nel loro contesto e nella loro complessità. Questi complessi legami vengono vissuti nell'indicibile, nell'impensabile, nel non detto o in segreto. Tuttavia esiste un modo per trasformare sia questi legami affinché le nostre vite diventino profondamente a misura di ciò che desideriamo, di ciò di cui abbiamo voglia e bisogno per esistere. Se si è governati dal caso o dalla necessità, si può comunque cogliere la propria occasione, cavalcare il proprio destino, capovolgere la sorte sfavorevole ed evitare i tranelli delle ripetizioni transgenerazionali inconsce. Secondo la Schutzenberger, il lavoro della psicoterapia è fare in modo che la vita sia l'espressione del nostro autentico essere. Lo psicoterapeuta, dopo essersi smascherato e compreso lui stesso, è pronto per capire, ascoltare e vedere. Allora, umilmente, avvalendosi di tutto il suo sapere, il terapeuta cerca di essere l'intermediario o il traghettatore che colma la distanza tra colui che cerca se stesso e la sua verità. Ci sono delle volte in cui un odore, una percezione, un'atmosfera, mi riportano velocemente a qualche ricordo del passato. Quando sento profumo di zucchero a velo, quando vedo la luce farsi spazio tra i rami degli alberi ed entrare dalle finestre di casa, quando il vento regala una tregua ai pomeriggi silenziosi ed afosi. Solitamente sono ricordi piacevoli, della mia infanzia o anche più recenti, che mi lasciano un dolce sensazione di benessere. Mi domando cosa mia figlia ricorderà di queste calde giornate estive passate insieme a giocare. Forse è ancora troppo piccola, o forse, quando vedrà il sole passare attraverso la tenda di un balcone e sentirà il fresco dell'acqua sui piedi, le torneranno vive le immagini di noi due insieme. E spero ne sia felice. Ogni giorno possiamo domandarci che ricordi vogliamo che i nostri figli serbino di noi, perché saranno proprio questi a contribuire a renderli felici da grandi. Succede anche a voi? Cosa vi riattiva dei ricordi piacevoli? Fai Nel percorso terapeutico, le persone affidano i propri ricordi, soprattutto quelli più significativi e/o dolorosi, allo psicologo.
Alcune persone continuano a soffrire per un evento anche a distanza di moltissimo tempo dall’evento stesso. Spesso riportano di provare le stesse sensazioni ed emozioni negative e di non riuscire per questo motivo a condurre una vita soddisfacente dal punto di vista lavorativo e relazionale. In questi casi, quindi, il passato è presente. Altre volte si preferisce chiudere i ricordi dietro una porta, sperando di non soffrire più, ma loro continuano a bussare. Quando le esperienze passate interferiscono in modo da produrre malessere nel presente e in ottica futura, lo psicologo accompagna la persona ad affrontare i ricordi non elaborati, che possono dare origine a molte disfunzioni. Di cosa abbiamo bisogno quando viviamo un’esperienza dolorosamente ?. A tutti capita di sentirsi attaccate addosso delle etichette, come quelle dei libri. Etichette che, ad un certo punto, non ci vanno più bene, vogliamo toglierle, ci infastidiscono, nascondono qualcosa che vorremmo vedere. E allora le proviamo tutte. Iniziamo a staccare delicatamente: con alcune etichette funziona alla grande ma con altre viene via solo un pezzo. Ci riproviamo da un altro lato e niente, l'etichetta resta ancora lì. Forse bisogna scaldare la colla, ormai troppo secca o forse troppo forte. Un colpo di aria calda e speriamo che venga via. Succede a volte...a volte no. Allora siamo presi dall'impazienza, tentiamo di strappare velocemente e l'etichetta viene sì via ma con un pezzo di copertina. Forse quell'etichetta è destinata a restare attaccata a vita? Dobbiamo scegliere, se preferiamo averla o se invece siamo disposti a vedere il libro senza, costi quel che costi. Sarà più brutto il libro? Forse era meglio prima? Lo abbiamo rovinato? Non è più lo stesso? Ognuno può scegliere cosa fare delle proprie etichette, scegliere se tenerle o se toglierle. Probabilmente ci vorrà tempo per staccarle, soprattutto quelle etichette che sono lì da anni e che ormai sono parte di noi. Ma se sentiamo che non ci fanno bene, possiamo decidere che è arrivato il momento per cambiare qualcosa. Chissà quando, dove e da chi abbiamo imparato che i nostri lati negativi sono più rilevanti di quelli positivi, quelli di cui vergognarsi, da nascondere, quelli che non ci fanno amare dagli altri e che ci fanno meritare la solitudine e l'infelicità. Ma positivo e negativo fanno parte del nostro essere umani. Focalizzarci solo su ciò che non va ha conseguenze negative. Se non riusciamo a vedere i nostri pregi e le nostre risorse, non riusciremo mai ad utilizzarle per risolvere i nostri problemi e difficoltà, facendoci credere che effettivamente non abbiamo le capacità desiderate. Dall'altro lato, vedere tutto positivo, non ci permetterebbe di fare luce sui punti critici e su ciò che possiamo fare per migliorarci e stare meglio. Proviamo allora a descriverci bilanciando i due aspetti: quali sono le nostre risorse che possiamo usare per migliorare quei lati negativi che non ci piacciono? Possiamo decidere di affrontare ciò che ci accade in base al copione che ci suggerisce una nostra etichetta. Posso comportarmi da "fallito" di fronte ad una difficoltà, da "debole" di fronte ad una ingiustizia, da "incapace" davanti ad un compito. Oppure posso decidere che quel copione non è adatto, che non mi fa stare bene, e provare a scegliere qualcosa di diverso. Le alternative che abbiamo sono molteplici, alcune più semplici, altre più complesse, alcune sono sotto ai nostri occhi, altre fatichiamo a vederle. Ma il passo più difficile è il primo: scegliere.
Il lavoro dello psicoterapeuta consiste anche, ma non solo, nel prendersi cura delle storie delle persone. Le persone che incontro in studio sono tutte importanti: cerco sempre di farle sentire a loro agio (perché raccontare ciò che ci fa stare male non è mai piacevole né facile) e di rendere i nostri colloqui il più utili possibili per loro. A volte mi dimentico che può valere anche il contrario! Queste ciliegie sono state un regalo da parte di una persona che ha intrapreso un percorso di psicoterapia. Stiamo lavorando insieme da un bel po' di tempo, un lavoro di cura faticoso, doloroso ma in cui ho riposto molta fiducia. Ecco, io questo regalo lo vedo così: un prendersi cura del terapeuta e non posso che esserne grata. Ci sono persone che sono molto concentrate su loro stesse e persone che sono sempre attente ai bisogni degli altri. Persone che pensano in modo prioritario al loro benessere e persone che mettono al primo posto il benessere altrui. Persone che osservano la realtà solo dal loro punto di vista e persone che si mettono sempre nei panni degli altri. Fortunatamente non si tratta di giusto o sbagliato, di attribuire giudizi positivi o negativi, di accusare o difendere un comportamento . Si tratta di consapevolezza. Ci sono infatti momenti in cui abbiamo bisogno di pensare solo a noi stessi e momenti in cui è necessario spostare l'attenzione sull'altro. È giusto essere "egoisti" quando sentiamo di non stare bene così come è giusto essere "altruisti" quando è l'altro ad averne bisogno. A volte poi questi due atteggiamenti sono interconnessi, soprattutto quando si parla di relazioni. Il primo passo è sempre ascoltare i propri bisogni e le proprie necessità, in virtù di quello che siamo e che vogliamo essere, ovviamente nel rispetto dell'altro. La cosa positiva è che più diventiamo abili nel prendere consapevolezza, più saremo capaci di equilibrare questi due aspetti, a seconda del momento e della relazione, senza cadere nelle trappole di comportamenti rigidi ed immodificabili. Voi come vi sentite? Siete più Lucy, Charlie Brown o avete trovato la giusta consapevolezza? Quando sentiamo che la situazione che stiamo vivendo non è come vorremmo, capita di iniziare a pensare a tutte le cose che andrebbero cambiate. Nell'elenco finiscono, inevitabilmente, anche "gli altri" e quello che loro dovrebbero modificare o fare per farci stare meglio. Purtroppo però non ci è possibile fare cambiare gli altri senza la loro volontà. Come fare? Socrate ci suggerisce "muovi prima te stesso". Spesso infatti iniziare a cambiare noi per primi porta con sé degli effetti a cascata anche sugli altri che ci stanno vicino. A questo aggiungo: individua i tuoi bisogni nei confronti degli altri e prova ad esplicitarli. A volte si fatica a riconoscere ciò di cui l'altro ha bisogno ma basta un sereno confronto affinché gli altri capiscano cosa possono fare dal loro punto di vista per aiutare noi. Anche questo è un gesto di cura verso noi stessi!
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Emma Montorfano
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Febbraio 2023
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