A tutti capita di sentirsi attaccate addosso delle etichette, come quelle dei libri. Etichette che, ad un certo punto, non ci vanno più bene, vogliamo toglierle, ci infastidiscono, nascondono qualcosa che vorremmo vedere. E allora le proviamo tutte. Iniziamo a staccare delicatamente: con alcune etichette funziona alla grande ma con altre viene via solo un pezzo. Ci riproviamo da un altro lato e niente, l'etichetta resta ancora lì. Forse bisogna scaldare la colla, ormai troppo secca o forse troppo forte. Un colpo di aria calda e speriamo che venga via. Succede a volte...a volte no. Allora siamo presi dall'impazienza, tentiamo di strappare velocemente e l'etichetta viene sì via ma con un pezzo di copertina. Forse quell'etichetta è destinata a restare attaccata a vita? Dobbiamo scegliere, se preferiamo averla o se invece siamo disposti a vedere il libro senza, costi quel che costi. Sarà più brutto il libro? Forse era meglio prima? Lo abbiamo rovinato? Non è più lo stesso? Ognuno può scegliere cosa fare delle proprie etichette, scegliere se tenerle o se toglierle. Probabilmente ci vorrà tempo per staccarle, soprattutto quelle etichette che sono lì da anni e che ormai sono parte di noi. Ma se sentiamo che non ci fanno bene, possiamo decidere che è arrivato il momento per cambiare qualcosa. Chissà quando, dove e da chi abbiamo imparato che i nostri lati negativi sono più rilevanti di quelli positivi, quelli di cui vergognarsi, da nascondere, quelli che non ci fanno amare dagli altri e che ci fanno meritare la solitudine e l'infelicità. Ma positivo e negativo fanno parte del nostro essere umani. Focalizzarci solo su ciò che non va ha conseguenze negative. Se non riusciamo a vedere i nostri pregi e le nostre risorse, non riusciremo mai ad utilizzarle per risolvere i nostri problemi e difficoltà, facendoci credere che effettivamente non abbiamo le capacità desiderate. Dall'altro lato, vedere tutto positivo, non ci permetterebbe di fare luce sui punti critici e su ciò che possiamo fare per migliorarci e stare meglio. Proviamo allora a descriverci bilanciando i due aspetti: quali sono le nostre risorse che possiamo usare per migliorare quei lati negativi che non ci piacciono? Possiamo decidere di affrontare ciò che ci accade in base al copione che ci suggerisce una nostra etichetta. Posso comportarmi da "fallito" di fronte ad una difficoltà, da "debole" di fronte ad una ingiustizia, da "incapace" davanti ad un compito. Oppure posso decidere che quel copione non è adatto, che non mi fa stare bene, e provare a scegliere qualcosa di diverso. Le alternative che abbiamo sono molteplici, alcune più semplici, altre più complesse, alcune sono sotto ai nostri occhi, altre fatichiamo a vederle. Ma il passo più difficile è il primo: scegliere.
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Se siete interessati a conoscere più in dettaglio l'arte del Kintsugi, potete leggere l'articolo "Le cicatrici d'oro" Vi propongo tre spunti di riflessione sulla tematica: una immagine, un testo e un aforisma. Quanto è importante, dopo una ferita, andare avanti e non fermarsi? Quanto ci costa fermarci? E quanto è difficile ripartire? Cosa vediamo dietro di noi e cosa ci aspetta davanti? Una cicatrice sulla pelle è qualcosa che a volte vorremmo nascondere e i motivi possono essere tanti. E così può succedere anche per le "cicatrici" che ci hanno lasciato tutte quelle esperienze che ci hanno ferito e fatto soffrire. Le nascondiamo per vergogna, per non provare più dolore, perchè ci sentiamo in colpa, perché ci fanno rabbia, per non essere nuovamente feriti o per paura di non essere accettati. Alcune esperienze ci lasciano profonde ferite. Ma il processo di cicatrizzazione, seppur doloroso e faticoso, può insegnarci molto, soprattutto su noi stessi.
Sin dalla preistoria c’è sempre stato nell’uomo il bisogno di rendere manifesto il proprio mondo interiore. Siamo abituati ad esprimere noi stessi attraverso le parole, i concetti e il ragionamento astratto, ma talvolta anche il movimento, i suoni, i colori e le forme possono aiutarci in questo obiettivo. Il linguaggio artistico permette infatti un’espressione diretta, immediata, spontanea, ed istintiva che non passa attraverso il canale verbale. Federico Babina, architetto ed illustratore, si è affidato al suo talento grafico per creare "ARCHIATRIC": una serie di immagini che cercano di rappresentare il disagio psicologico. «Ho voluto affrontare il rapporto tra creatività e psicopatologia attraverso l’illustrazione», spiega Babina. «Credo che il disagio psichico, anche se non in forma patologica, sia presente a vari livelli e in piccole quantità in ognuno di noi, è parte della nostra vita e non va stigmatizzato». Così le illustrazioni danno una possibile forma a stati emotivi, malessere, disagi e disturbi psicologici, come ansia, depressione, fobia, demenza senile: «Un esercizio astratto di traduzione da una lingua all'altra, dall'architettura della mente a un'architettura illustrata».
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Emma Montorfano
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Febbraio 2023
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