Una delle tante cose che si fa in terapia è parlare, osservare, dare senso, sentire le proprie emozioni. E non riguarda solo chi in terapia ci va, ma anche (e forse soprattutto) lo psicoterapeuta.
Quando lavoro in terapia non divento una fredda macchina, per fortuna! Sono sempre in contatto con ciò che sto provando perché ciò che sento mi è di grande aiuto per fare ipotesi sulla relazione terapeutica e sul problema che la persona mi porta. Come succede a tutti anche nella vita di tutti i giorni, a volte stare e capire le proprie emozioni è facile, altre volte più complesso. Ieri ad esempio, mi è stato davvero difficile convivere che una emozione provata in terapia e che ha risuonato in me tutto il giorno. Ho faticato a giocare con mia figlia, ad essere davvero presente con lei, perché testa e cuore erano da un'altra parte. Ho dovuto fermarmi, guardarla con più attenzione, cercare di capire qual era il senso all'interno di quella specifica relazione terapeutica, per il paziente e per me, e riflettere su cosa mi stava comunicando. Un bel lavorio che non è stato fine a se stesso ma di grande aiuto per continuare la terapia nel prossimo incontro. Non lo avessi fatto, avessi ributtato indietro ciò che sentivo, non avrei potuto essere "terapeutica". Perché oggi scrivo questo? Perché stare nelle proprie emozioni, soprattutto quelle scomode, non è cosa da poco. Anche per gli "addetti ai lavori" che conoscono come si fa, ci può voler tempo e impegno. Lo sappiamo bene quando vi chiediamo e vi accompagniamo nel farlo. Così come sappiamo che è proprio questo processo a darci la possibilità di svoltare, di procedere e di stare meglio.
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La psicoterapia si occupa di cambiamento.
È ciò che più mi piace del mio lavoro: osservare, sperimentare, accompagnare, vivere il cambiamento. Spesso si va in terapia per il nostro rapporto con il mondo (con il nostro mondo di significati), per l'immagine di noi stessi nella nostra rete di relazioni. Non sempre ce ne rendiamo conto, ma siamo in continuo cambiamento, ogni giorno facciamo dei micro cambiamenti affinché il nostro mondo resti in equilibrio, sempre uguale e rassicurante. Non a caso le crisi ci mettono a dura prova e ci obbligano a ridefinire il modo in cui teniamo insieme tutti i pezzi. A volte ci si "ammala" per mantenere l'equilibrio e solo l'idea che qualcosa lo possa rompere ci fa preferire lo stare male al cambiamento. Quando sentiamo che non c'è più equilibrio nonostante i nostri sforzi o quando realizziamo che i cambiamenti che abbiamo attuato ci fanno stare male, nasce il bisogno di fare qualcosa, di cambiare direzione, di chiedere aiuto. "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi", così scriveva Giuseppe Tomasi di Lampedusa ne "Il Gattopardo". “Voglio poterti amare senza aggrapparmi, apprezzarti senza giudicarti, invitarti senza insistere, lasciarti senza senso di colpa, criticarti senza biasimarti, aiutarti senza umiliarti; se vuoi concedermi la stessa cosa, allora potremo veramente incontrarci e aiutarci reciprocamente a crescere."
Virginia Satir Come sarebbe bello se tutte le relazioni, che siano tra pari o tra grandi e piccini, fossero così! Invece ogni tanto ci aggrappiamo, giudichiamo, insistiamo, ci sentiamo in colpa, a volta addirittura feriamo e umiliamo l'altra persona. La cosa importante però, non è essere sempre perfetti, ma imparare a conoscersi, perdonarsi e migliorare. Non capirsi e litigare, capita a tutti, grandi e piccini. A volte le incomprensioni nascono perché i messaggi che inviamo e che riceviamo non sono chiari, vengono fraintesi.
Ho pensato allora ad una "to do list" di cose da fare prima di iniziare un litigio! 1) Sono sicuro che siamo entrambi concentrati sulla comunicazione che stiamo avendo? Stiamo facendo qualcosa che potrebbe distrarci da un ascolto attento? Prendiamoci il tempo e le energie giuste per parlare ed ascoltare! 2) Ho usato parole chiare, frasi complete, senza lasciare troppe deduzioni per dire quello che ho in mente? Posso dire la stessa cosa in modo da renderla più comprensibile per l'altro? Posso essere sufficientemente sicuro che l'altro abbia compreso? 3) Sono sicuro di quello che ho ascoltato? Ho bisogno di fare domande per chiarire e comprendere bene ciò che l'altro mi sta dicendo? 4)Ho prestato attenzione al tono della mia voce, a quella dell'altro, alle nostre posture, i nostri gesti, le nostre espressioni del viso? 5) Che emozione sento dentro di me? Come mi fa stare dire quello che penso e ascoltare l'altro? 6) Sono consapevole di qual è la mia intenzione, il mio bisogno, la mia richiesta? Se invece siete già dentro ad un litigio... vi rimando al post Litigi? Sì, grazie! dove troverete un breve vademecum per litigare meglio! A casa dei miei genitori, nelle occasioni importanti, si tirava fuori "il servizio bello": piatti, posate e bicchieri tenuti tutto l'anno dietro le vetrinette e rispolverati in occasione delle festività, dei pranzi coi parenti, delle cerimonie. Servizi di piatti decorati, bicchieri brillanti, posate in argento, tutti bellissimi ancora a distanza di anni. E a distanza di anni ancora utilizzati poco (anzi, forse sempre meno).
Allora penso: ma perché mai non usiamo il "servizio bello" tutti i giorni? Viviamo aspettando l'occasione giusta per sfoggiare quel vestito, per il bicchiere di cristallo, per la bottiglia di vino, per comprare un mazzo di fiori, per fare un regalo, per fare questo e quello. Ma in realtà, oggi è l'occasione giusta, ogni giorno può essere il giorno speciale. 📝 Psicoesercizio Qual è quella cosa che tieni per le occasioni importanti? Pensi che oggi possa essere una giornata speciale per usarla? Ultimamente, durante un colloquio in studio, mi è capitato di rispondere alla domanda sul perché abbiamo bisogno di "essere visti" dagli altri, di essere apprezzati e amati, di sapere che siamo importanti per qualcuno.
Fondamentale perché esistiamo nella relazione. Siamo "animali sociali", abbiamo bisogno dell'altro per essere felici, per stare bene. La sopravvivenza stessa della specie dipende da un incontro fra due persone. Diventiamo ciò che siamo perché immersi in un tessuto relazionale, dove ci si influenza vicendevolmente. Il lockdown ci obbliga a limitare le relazioni, la socialità. E gli effetti possono essere tanti. Quanto vi pesa ? Che conseguenze state notando? Durante il primo lockdown, io e la collega Anna Gigliarano avevamo provato a descrivere ipotetici stati d'animo legati alla mancanza di socialità, associando ad ogni stato un animale... www.emmamontorfanopsicologa.com/il-block-notes-della-psicologa/in-quarantena-che-animali-diventiamo Vi ritrovate? Quante volte l'immagine che gli altri ci riflettono di noi stessi non è la stessa che appare a noi. Possono vederci migliori di come ci vediamo noi e allora sorgono i dubbi, la sensazione di non meritare quelle attenzioni, il sentirsi in debito, la pressione delle aspettative. Altre volte sembra invece che gli altri vedano solo il lato peggiore. Ecco allora il dolore, il senso di inadeguatezza, la colpa, la vergogna, la convinzione che l'amore vada meritato...
E alle volte, pur di essere visti, ci va bene essere visti anche "peggiori". Avete già fatto il cambio armadio? No, non è un post sulla moda, anzi! Riflettevo oggi sistemando maglioni sul perché le persone vengono in terapia. Desiderano cambiare. Cambiare abiti, stagioni, pensieri, azioni, se stessi, le relazioni che vivono. E può sembrare paradossale (e forse lo è) ma una delle prime cose che mi capita di fare è dare valore a tutto ciò che la persona ha fatto fino ad ora. Non importa se giusto o sbagliato, se poteva fare diversamente o altro. Ciò che la persona ha fatto è stato il meglio che riusciva a fare in quel momento, la migliore soluzione che ha trovato per andare avanti e va benissimo così. Sarà poi il tempo della relazione terapeutica, partendo da questa premessa, a permettere di trasformare il "prima" e di cambiarlo "poi".
Quante volte ci capita di non prenderci le pause di cui abbiamo bisogno? Ci sentiamo forse in colpa, perché ci sembra di perdere tempo, di lasciare indietro gli impegni e le scadenze, di non essere al massimo. Viviamo in una società che ci vuole efficienti e attivi, prestanti e flessibili, sempre. Così facciamo spazio solo al fare e al dire, pensando che il semplice "stare" sia superfluo,sia qualcosa per deboli e molli. Invece non è uno spreco di tempo e serve per tanti motivi, per ricaricare le energie, per sintonizzarsi sulle frequenze dell'altro, per capire se stiamo bene oppure no.
📝Voi vi concedete delle pause? Dei momenti di riposo? Quando le fate come vi sentite? I festeggiamenti di Carnevale sono finiti. Noi siamo abituati a queste tradizioni cristiane ma i caratteri della celebrazione del carnevale hanno origini in festività molto antiche, greche e romane. Durante queste feste si realizzava un temporaneo scioglimento dagli obblighi sociali e dalle gerarchie, per lasciar posto al rovesciamento dell'ordine, allo scherzo, alla dissolutezza, all'irriverenza.
Possiamo dire che il carnevale rappresentava metaforicamente un "caos", che sostituiva l'ordinarietà statica e costituita, dal quale si poteva riemergere con un ordine rinnovato e migliore... garantito fino al carnevale successivo. Anche per noi il caos può essere generatore. Può fare paura perché imprevedibile, senza regole, sconosciuto, ma rimescolare le carte in tavola e sostare in un momentaneo disordine, è fondamentale per essere pronti ad iniziare una nuova partita. |
Emma Montorfano
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Febbraio 2023
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