Ho una cara amica che vive dall'altra parte del mondo, a 9000 e passa chilometri di distanza. Legge sempre molto pazientemente ciò che scrivo e l'altra mattina mi invia questo "buongiorno":
„La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro: leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare.“ di Arthur Schopenhauer. L'ho associata a questa foto, dove l'ordine del traliccio si intreccia al caos dei rami e permette di crescere e dare nuova vita. Non ci importa sapere chi è vitale per chi, ma guardare nell'insieme cosa hanno prodotto. Caos e ordine, realtà e sogni, staticità e cambiamento, sono tutti in relazione nello stesso libro e l'uno non esisterebbe senza l'altro. 📝 Psicoesercizio Fermati a riflettere: in quale posizione ti senti di più ora? Sei in una fase di caos o di ordine? Di cambiamento o di staticità? E come ti ci trovi?
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"Il futuro entra in noi, per trasformarsi in noi, molto prima che accada"
R.M. Rilke 📝Psicoesercizio Avete qualche progetto che state seminando per il futuro? Anche questa è resilienza! . Poiché d'inverno l'aria è spesso piuttosto fredda e secca, può succedere che nello strato d'aria vicino al terreno, che ha una temperatura inferiore allo zero ed è saturo di umidità, il vapore acqueo passi direttamente dallo stato gassoso a quello solido, cristallizzando sopra ogni elemento vicino al terreno. Questo fenomeno è detto "sublimazione".
È un processo che avviene prevalentemente di notte, nelle ore più fredde, in silenzio, senza che nessuno se ne accorga. Vediamo solo i risultati sorprendenti: la brina. A volte capita così anche in terapia. Ci vuole una lunga notte fredda prima di veder comparire la brina. Tanto lavorio di cui quasi nessuno vede la complessità se non chi lo sta vivendo in prima persona. A volte avremmo bisogno che anche gli altri si accorgessero di quanto stiamo facendo, del percorso e non solo degli effetti. Sarebbe bello se diventassimo tutti un po'più osservatori "notturni"! Nonostante mal sopporti il freddo, la neve mi piace proprio. Così soffice, candida e capace di trasformare qualsiasi paesaggio in una scena magica da fiaba. Passati gli anni da pendolare in cui pochi centimetri di neve rendevano un'avventura raggiungere la scuola o il luogo di lavoro in tempi ragionevoli, ora riesco ( quasi sempre) a godermi la neve in tutta tranquillità da casa. Una meraviglia per me!
La pioggia ha già sostituito la neve in questi ultimi giorni ma, reduce dall'atmosfera che mi ha lasciato la vista dei paesaggi innevati, vorrei proporvi un esercizio per i giorni che ci attendono prima dell'arrivo del Natale, una sorta di calendario dell'avvento in versione "psico"! Fino a pochi anni fa non mi piaceva proprio il mese di novembre: senza più l'aria frizzante che annuncia l'autunno di ottobre e senza ancora l'atmosfera natalizia che accompagna dicembre. Inizia il freddo, le giornate sono più corte, si è nel pieno degli impegni lavorativi e scolastici. È anche il mese in cui ho perso mio papà, diciamo che non è mai stato per me un mese "simpatico". Eppure da qualche tempo l'ho rivalutato. È diventato il mio mese "malinconico": colori così intensi come forse in nessun altro momento dell'anno, come ricordi ancora vividi, che si stagliano su un cielo spesso nebbioso ed opaco (soprattutto qui in città al mattino), come un velo di tristezza per qualcosa o qualcuno che non c'è più. Il termine melanconia arriva dal greco "bile nera". La malinconia non è una tristezza qualsiasi: come scriveva Victor Hugo, "la malinconia è la felicità d'essere tristi", una tristezza dal sorriso mesto, densa di riflessioni ben capaci di arricchire. E se dietro ogni emozione c'è un nostro bisogno, ecco che ho trovato il mio.
Essere genitori è una cosa seria. Ci vuole tempo, tanto tempo, impegno, pazienza, curiosità, fiducia e molto altro. Spesso in terapia vedo le conseguenze sui figli di genitori troppo lontani, assenti, manchevoli, o al contrario troppo vicini, presenti, ingombranti. So bene che in una famiglia si creano delle dinamiche che possono essere attanaglianti o invece accrescitive. È una cosa seria appunto. Ma ciò non toglie che essere genitori sia anche una cosa leggera, citando Calvino. "Leggerezza non è superficialità". È avere un pensiero, una consapevolezza del peso che c'è dietro e permettersi di sorridere. Non è vaghezza o abbandono al caso. È scendere nel buio fino al fondo e poi risalire in volo. È giocare con mia figlia e sapere che le nostre risate non sono solo una gioia evanescente ma sono anche e soprattutto il "peso" della relazione tra me e lei e tutto ciò che significa per noi.
Vera ha iniziato a dire due paroline molto importanti: "IO" e "NO". Inizia a riconoscersi come un individuo a sé e sperimenta la sua libertà di azione.
Come è bello sentire quel suo "GNO", immaginare quello che sta pensando nella sua testa, come piano piano nasca la consapevolezza di sé, degli altri, del mondo...lo dice con tale semplicità, liberamente e con fermezza, che quasi mi scappa un sorriso. Oggi ha deciso che voleva camminare al parco e che "GNO", non voleva il passeggino, e "GNO", non voleva togliere la mascherina (due no facilmente gestibili, lo ammetto). Ai bambini viene così facile dire no, si divertono quasi, in questo loro bisogno di differenziarsi da noi genitori. E perché per noi adulti invece è così difficile? Arriva il dovere, direte voi, la necessità di fare, di rispettare, di scendere a compromessi, a volte di compiacere o di andare incontro alle esigenze dell' altro. A volte capita che vorremmo dire di no ma non ce la facciamo e ci esce una SÌ. Ma nello spazio tra un sì e un no, ci siamo noi. Con i nostri bisogni, desideri e doveri, con il compito di capire quando possiamo dire no e provare a dirlo, così liberamente come fanno i bambini, per riappropriarci di noi stessi e della nostra individualità. Mi capita spesso, nel mio lavoro con persone migranti che hanno ricevuto o richiesto la protezione internazionale, che si parli di cosa si aspettavano di trovare prima di intraprendere il loro viaggio. Come è facile immaginare, le aspettative sono molto diverse da ciò che si trova. Le lungaggini burocratiche per i documenti, la fatica di trovare un lavoro, le incomprensioni ... tutto costringe ad una attesa forzata e a richiudere i propri sogni in un cassetto. La cosa che mi sorprende è che, indipendentemente dal paese di origine e dalla ragione che ha portato alla migrazione, emerge quasi sempre un forte senso di colpa. Per tutto ciò che non è e che invece si sarebbe voluto. Per non aver fatto abbastanza, per se stessi e per la propria famiglia. Per essere fermi e non riuscire a sfruttare il tempo, che passa ed invecchia. Io sento una forte rabbia verso l'ingiustizia con cui sono costretti a scontrarsi, loro sentono solo una forte rabbia verso se stessi, che li porta a non farsi pace.
Ma quanto è difficile perdonarci? Quando ci addossiamo tutte le responsabilità e tutte le colpe, quanto è difficile riuscire a vedere la situazione da un'altra prospettiva e dirsi che quello che stiamo facendo è davvero l'unica cosa che possiamo fare in quel momento? Da qualche tempo ho riscoperto il piacere di girare in bicicletta. Era una cosa che facevo quotidianamente quando ero piccola e gran parte dei pomeriggi soleggiati li passavo a girare nei boschi in bici con le amiche. Adesso, mentre porto Vera all'asilo, vedo altri in bicicletta che corrono, suonano, sono di fretta. Io, che ho sempre associato la bicicletta al piacere e al gioco, mi domando come mai spesso ci facciamo prendere dalla fretta, come mai cerchiamo di non perdere neanche un secondo del nostro tempo e corriamo corriamo...
Mia mamma, qualche giorno fa, mentre stava giocando con Vera, mi ha detto che quando andava a lavorare non "aveva mai il tempo" per giocare con noi. Perché era stanca, perché c'era sempre qualche altra faccenda da sbrigare, perché il dovere veniva sempre prima. Credo che sia tutto una questione di equilibrio: il tempo è lì, è certo e scorre. Sta a noi decidere quando accelerare e quando invece rallentare. Abbiamo scoperto che a Vera piace molto ballare. Lo fa a modo suo, muovendo piedi e mani, e spesso imitando i gesti degli adulti. Lei si diverte molto e pure io, un po' per la comicità dei suoi gesti, a tratti infantilmente goffi, un po' perché la vedo contenta e sorridente.
Tutti abbiamo qualcosa che ci piace fare. Molte volte ciò che ci piace fare coincide con ciò che ci viene molto bene, altre invece facciamo qualcosa di piacevole senza che il risultato sia ottimo. O meglio, "ottimo" secondo quanto ci si aspetta o si crede che debba essere. Vera è felice di muovere le mani, le piace, c'è qualcuno che le direbbe mai che non lo fa nel modo ottimale? No, perché è una bambina e ai bambini è concesso. Per gli adulti invece le aspettative cambiano. Si introduce la dimensione del dovere, sicuramente necessaria, ma che a volte rischia di prendere il sopravvento. E se per certi versi questo "dovere" ci permette di migliorare, dall'altro lato ci toglie il puro piacere di fare qualcosa che ci fa sorridere e stare bene, senza pensare al risultato. Se vi interessa l'argomento, vi aspetto domani con un esercizio! |
Emma Montorfano
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Febbraio 2023
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