Ci sono dei luoghi che, quando torno, mi fanno tornare indietro nel tempo, a quando ero una bambina e d'estate si girava in bicicletta con le amiche tra questi sentieri nei boschi. Mi sembra di aver bisogno, ogni tanto, di ritrovarmi in questi posti, di sentire ancora quelle sensazioni provate anni fa, di riconnettermi con la bambina che ero.
E citando Calvino "D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda. O la domanda che ti pone obbligandoti a rispondere" Qual è il vostro luogo d'infanzia in cui vi piace tornare?
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Mani in pasta ...
⚡Spesso manipolare la pasta funziona da antistress e scarica la tensione. 👶🏻Può essere un' attività da fare insieme ai più piccoli di casa o, come capita spesso a me, quando sono sola e penso alla merenda per Vera e il suo papà. 👐🏻Mentre impasto mi piace affondare le mani nella pasta morbida ed elastica, darle una forma, osservare come lievita con il calore e ... il tempo! ❤️Le sensazioni piacevoli al tatto si mischiano al pensiero di mia figlia che gusterà contenta il frutto del mio lavoro e alla consapevolezza che la cura passa anche dal cibo. É quando c'è armonia tra pensieri e sensazioni corporee che sentiamo di stare bene. A voi capita? a cosa pensate mentre cucinate? Che sensazioni vi regala? Mi piace molto cucinare, preparare dolci, provare sempre nuove combinazioni diverse di gusti e colori. Credo rientri proprio nel mio cassetto dei bisogni. Mi piace stupire i miei commensali, vedere che si stanno gustando ciò che ho preparato loro, coccolarli con una torta. Tante ricerche dicono che cucinare per gli altri è come prendersene cura, favorisce il benessere e funziona da antistress!
Sono partita da questo esempio per provare ad elencare alcuni dei bisogni psicologici che ci accomunano come esseri umani e che possono essere declinati in modi diversi! Eccone alcuni, per tutte le età: il bisogno di stabilità, di avere qualcuno che si prenda cura di noi, di empatia, di sentirci protetti e al sicuro, il bisogno di essere accettati e di sentirci parte di un gruppo, il bisogno di autonomia, di creare una nostra personalissima identità, di sentirci competenti, il bisogno di libertà nell'espressione, di spontaneità e gioco, il bisogno di avere dei limiti e l'autocontrollo. I bisogni cambiano a seconda delle età, dei momenti di vita, a volte ne sentiamo più forte uno, altre volte un altro! Nel mio piatto, quando cucino, metto sicuramente il bisogno di gioco e di competenza! 📝 Psicoesercizio In questo momento, quale bisogno sentite essere più forte? Sì sente spesso parlare delle conseguenze del poco amore e delle trascuratezza sui figli...
Ma quando l'amore è troppo? Sembra difficile pensare che troppo amore possa avere qualche ripercussione negativa. Preciso che con troppo amore non intendo le coccole a profusione, i "ti voglio bene" ripetuti all'infinito, il rispondere ai bisogni emotivi quando emergono. Questi sono fondamentali. Con "troppo amore" intendo tutte quelle azioni che noi genitori compiamo con l'intento di vedere i nostri figli felici ma che alla lunga sono controproducenti. Ad esempio, quando li proteggiamo troppo e preveniamo la loro sofferenza, impedendo loro di fare delle esperienze (ovviamente calibrate all'età) poco piacevoli ma costruttive. Magari interveniamo subito nei litigi, senza lasciare che provino a cavarsela da soli. Con i bambini più grandicelli, magari fatichiamo a lasciare che facciano qualcosa di gestibile da soli fuori casa. Alla lunga, per evitare che soffrano o si facciano male, non permettiamo loro di imparare a riconoscere e gestire la loro sofferenza, i momenti critici, gli sbagli. La prima volta che non saremo lì con loro, non sapranno che fare e ... soffriranno. A volte non diamo regole, per non vederli piangere e qui vi rimando al post di Valentina Rocchio che recentemente ha parlato del perché è importante dare regole. E quante volte rispondiamo subito ai loro bisogni materiali (giochi soprattutto!). I giochi sono importantissimi, come lo è insegnare che esistono priorità ("Compriamo i pennarelli perché finiti ma non il peluche perché ne hai già due" oppure "compriamo solo un gioco nuovo, non tre alla volta"). Questo aiuta a gestire la frustrazione, a saper attendere, a posticipare quello che sembra un bisogno ma in realtà è un bel desiderio, a capire che possiamo essere attivi nel fare avverare un nostro sogno ("ogni giorno metto da parte una monetina, mi impegno nel fare qualcosa in casa" ovviamente, ripeto, tutto adeguato all'eta e alle capacità dei bambini). Troppo amore è anche quando non riusciamo più a trovare tempo per noi, per la coppia, per le cose che ci appassionano e ci piacciono, anche quando questo tempo ci potrebbe essere. È importante ricordarsi di essere prima donne e uomini e poi mamme e papà, altrimenti rischiamo di dare ai nostri figli la grande responsabilità di renderci felici, mentre siamo noi a dover ricercare la nostra felicità, per poterlo insegnare a loro. 📝 Psicoesercizio La domanda che vorrei porvi per riflettere tutti insieme è "Perché abbiamo bisogno NOI genitori di dare troppo amore? Cosa succede a NOI se non diamo troppo amore? Con gli anni ho iniziato a mal tollerare e limitare il "troppo" materiale. Che siano oggetti, vestiti, cibo, giocattoli. L'unica cosa su cui non lesino sono i libri e le piante.
Non mi viene sempre facile, perché quando vedo qualcosa di bello, devo fermarmi a pensare se mi è davvero utile, come potrei usarlo, se non ne ho già uno simile a casa. C'è chi riesce a vivere con l'essenziale, chi preferisce circondarsi di cose. Altre volte, il troppo spaventa un po'. Mi è capitato dopo i due anni e mezzo in cui ho vissuto in Camerun, dove si trovava pochissimo del "superfluo" e la scelta del bagnoschiuma da prendere era limitata a due o tre opzioni. Tornata in Italia, la prima volta in un supermercato mi sono sentita persa. Davvero abbiamo così tanta scelta? E come si fa adesso? A volte il troppo nella vita spaventa anche se positivo: troppa felicità, troppe opportunità, troppe strade, troppo cambiamento, perfino troppo amore... se non si è abituati come si può gestire? Se sono abituato a non avere alternative da percorrere, come posso non farmi prendere dall'ansia quando ne incontro più di una possibile? Se ho passato così tanto tempo infelice, riuscirò mai a riconoscere la felicità e a non averne timore? Se non ho mai pensato di meritare amore, come si fa quando me ne arriva tanto? Voi che ne pensate? A casa dei miei genitori, nelle occasioni importanti, si tirava fuori "il servizio bello": piatti, posate e bicchieri tenuti tutto l'anno dietro le vetrinette e rispolverati in occasione delle festività, dei pranzi coi parenti, delle cerimonie. Servizi di piatti decorati, bicchieri brillanti, posate in argento, tutti bellissimi ancora a distanza di anni. E a distanza di anni ancora utilizzati poco (anzi, forse sempre meno).
Allora penso: ma perché mai non usiamo il "servizio bello" tutti i giorni? Viviamo aspettando l'occasione giusta per sfoggiare quel vestito, per il bicchiere di cristallo, per la bottiglia di vino, per comprare un mazzo di fiori, per fare un regalo, per fare questo e quello. Ma in realtà, oggi è l'occasione giusta, ogni giorno può essere il giorno speciale. 📝 Psicoesercizio Qual è quella cosa che tieni per le occasioni importanti? Pensi che oggi possa essere una giornata speciale per usarla? Ultimamente, durante un colloquio in studio, mi è capitato di rispondere alla domanda sul perché abbiamo bisogno di "essere visti" dagli altri, di essere apprezzati e amati, di sapere che siamo importanti per qualcuno.
Fondamentale perché esistiamo nella relazione. Siamo "animali sociali", abbiamo bisogno dell'altro per essere felici, per stare bene. La sopravvivenza stessa della specie dipende da un incontro fra due persone. Diventiamo ciò che siamo perché immersi in un tessuto relazionale, dove ci si influenza vicendevolmente. Il lockdown ci obbliga a limitare le relazioni, la socialità. E gli effetti possono essere tanti. Quanto vi pesa ? Che conseguenze state notando? Durante il primo lockdown, io e la collega Anna Gigliarano avevamo provato a descrivere ipotetici stati d'animo legati alla mancanza di socialità, associando ad ogni stato un animale... www.emmamontorfanopsicologa.com/il-block-notes-della-psicologa/in-quarantena-che-animali-diventiamo Vi ritrovate? Avete già fatto il cambio armadio? No, non è un post sulla moda, anzi! Riflettevo oggi sistemando maglioni sul perché le persone vengono in terapia. Desiderano cambiare. Cambiare abiti, stagioni, pensieri, azioni, se stessi, le relazioni che vivono. E può sembrare paradossale (e forse lo è) ma una delle prime cose che mi capita di fare è dare valore a tutto ciò che la persona ha fatto fino ad ora. Non importa se giusto o sbagliato, se poteva fare diversamente o altro. Ciò che la persona ha fatto è stato il meglio che riusciva a fare in quel momento, la migliore soluzione che ha trovato per andare avanti e va benissimo così. Sarà poi il tempo della relazione terapeutica, partendo da questa premessa, a permettere di trasformare il "prima" e di cambiarlo "poi".
Nel libro "I miserabili" Victor Hugo scriveva “L'oscurità dà le vertigini. L'uomo ha bisogno della luce: e chiunque si tuffi nell'opposto della luce si sente il cuore stretto. Quando l'occhio vede nero, la mente vede confuso; nell' eclisse, nella notte, nella caliginosa opacità v'è l'ansia, anche per i più forti.” E' molto frequente che in questo periodo di pandemia si provi ansia, apprensione, panico, preoccupazione, timore, sgomento, a volte addirittura terrore ed angoscia. Le raggruppo sotto lo stesso cappello, poiché possiamo vederle come sfumature dell'emozione base PAURA. Sono emozioni collegate al futuro, che ci comunicano qualcosa su come noi stiamo immaginando, visualizzando, ipotizzando e vivendo l'arrivo del "domani". Partiamo, come per lo sconforto, dal primo punto, ovvero capire meglio la situazione. Quali caratteristiche sono connesse con la nostra emozione? Può essere l'alto numero di morti e di contagiati o la mancanza di soluzioni definitive ed efficaci una volta per tutte. O ancora la persistenza del virus e la sua rapida diffusione a livello mondiale, con il blocco di tante attività e relative conseguenze. I pensieri che si fanno strada possono richiamare allora il tema della morte, della propria e di quella delle persone a cui vogliamo bene, ma anche più in generale il tema dell'incertezza, dello sconosciuto, del non sapere cosa ci potrà accadere, cosa ci attende. Tutto ci sembra fuori il nostro controllo. La morte è per definizione qualcosa che non conosciamo, che non possiamo prevedere né controllare, è il vuoto, il nulla, il buio. Ecco allora che il nostro corpo reagisce alla paura, in due differenti modalità. Può o immobilizzarsi o attivarsi. Sono due reazioni che osserviamo anche negli animali: ci sono prede che fingono di essere morte per scampare al predatore e altre che invece fuggono. Nel primo caso, può essere utile seguire i suggerimenti dati per lo sconforto: muovere il corpo, che può essere ballare, fare qualcosa con le mani, camminare, o anche solo scrivere. Nel secondo caso, il corpo reagisce nel modo apposto: si sta preparando alla fuga, quindi i battiti aumentano, il respiro è affannoso, le gambe iniziano a tremare. Possiamo allora cercare qualcosa che rallenti questi cambiamenti, che rilassi i muscoli e il respiro: ad esempio ascoltare musica rilassante, leggere, osservare delle immagini piacevoli, provare qualche esercizio di respirazione, preparare una tazza di té o di latte (dall'aspettare che l'acqua bolla al sorseggiarla lentamente). Arrivati fino a qui, possiamo allora domandarci cosa queste sfumature di paura ci stanno comunicando. Ci stanno dicendo di fare attenzione, che i rischi sono molto alti, soprattutto per la sensazione che sia tutto fuori il nostro controllo. Di fronte al vuoto, all'indicibilità del futuro, la nostra mente ci prefigura gli scenari peggiori, affinché possiamo arrivare preparati ad affrontarli. Se non avessi timore di bruciarmi e non pensassi che con la teglia in forno potrei scottarmi, difficilmente prenderei la presina. In questo senso la paura è molto utile, dobbiamo ascoltarla, altrimenti rischieremmo sempre grosso. E' quando però gli scenari peggiori non lasciano il minimo spazio ad altro che diventa difficile. Vi suggerisco allora un esercizio, per allenarci a vedere altri scenari. Dobbiamo fare appello alla nostra curiosità. Andare alla ricerca di quelle cose che il futuro potrebbe avere in serbo per noi e riprenderci il controllo su quelle. Piccole o grandi cose, tutto va bene. Potrei vedere un futuro in cui posso decidere come organizzare del tempo gratificante a casa. Potrei immaginare un domani in cui metto in atto dei comportamenti che mi proteggono e proteggono i miei cari. Potrei pensare a come mi potrebbe servire per affrontare al meglio il futuro (riprendendo la metafora di prima, quali presine potrei usare per proteggermi dal calore del forno). Posso anche pensare di ammalarmi o che si ammalino le persone a me vicino ma che saprò quali risorse attivare per gestire quel momento doloroso. Posso immaginare come sarà la ripresa, quali primi passi concreti potrò, vorrò, dovrò fare per risalire dal fondo. Provare insomma a creare diversi "poi" a partire da un "ora" che ci fa paura. “L'ansietà è lo spazio tra 'ora' e 'poi'.” Una delle emozioni che può capitare di provare più spesso in questo periodo è lo sconforto. Possiamo definirlo come un grave avvilimento, un profondo abbattimento morale, che comporta amarezza, demoralizzazione, perdita di fiducia e speranza. Ma cosa possiamo fare? Se consideriamo lo sconforto la risposta emotiva di un processo che inizia con uno stimolo (nel nostro caso la situazione attuale di pandemia), possiamo intervenire su questi livelli: 1) capire meglio la situazione. Non possiamo di certo modificarla perché non dipende da noi ma possiamo osservare quali caratteristiche sono connesse con la nostra emozione 2) riflettere sui nostri pensieri che possono influenzare la risposta emotiva 3) osservare ed eventualmente modificare come il nostro corpo si sente 4) domandarci cosa lo sconforto ci sta comunicando. Partiamo dal primo punto. Questa situazione è molto complessa, ci sono molteplici fattori in gioco ( sanitari, psicologici, sociali, relazionali, economici, politici, ambientali...) e tenere tutto insieme non è per nulla facile. Proviamo allora a circoscrivere l'area e a trovare quali caratteristiche della situazione ci portano sconforto. 👉🏻Può essere non vederne una fine vicina. O il fatto che i contagi stanno aumentando, o ancora può essere vedere che non c'è stata ancora una strategia efficace al 100%. Individuare queste caratteristiche ci aiuta a trovare poi i pensieri che sono collegati a noi e che entrano in gioco nel processo emotivo. 👉🏻Se non vedo una fine, allora potrebbe venirmi il pensiero che forse tutto è destinato a restare immutabile e, così anche noi. Se vedo che i contagi stanno aumentando, posso pensare che toccherà prima poi a tutti, anche a me, è inevitabile. Se mi rendo conto che non c'è ancora una strategia vincente, posso pensare che anche i miei sforzi sono serviti a niente. Ed ecco arrivare lo sconforto... 👉🏻 Sentirò il corpo lento, pesante, deattivato, spento, stanco. I battiti del cuore rallentati, i muscoli molli. Arriverà qualche sospiro, uno sbadiglio, la voglia di riposare o magari di piangere. Posso stare in ascolto per qualche minuto di queste sensazioni. Quando sentirò di averle ascoltate a sufficienza, posso decidere di fare qualcosa di attivante: guardare un film divertente, ridere, muovere il corpo, ballare, ascoltare musica energica, cantare, impastare, pulire casa, giocare! E alla fine prestare attenzione a come il corpo si è modificato...le sensazioni connesse con lo sconforto sono diminuite,vero? Arrivati a questo punto è importante capire cosa ci sta comunicando questa emozione. 👉🏻Riprendiamo i pensieri che abbiamo trovato e proviamo a dare loro un senso. Non vedere la fine di qualcosa di negativo è devastante. Forse abbiamo bisogno di ridimensionare il nostro tempo e di trovare progetti da realizzare più a breve periodo. Non possiamo pensare già alla grigliata di Pasquetta o alle vacanze estive come eravamo abituati, ma possiamo programmare qualcosina di gratificante per il tempo libero della settimana. È molto difficile, perché spesso le decisioni politiche avvengono da un giorno all'altro, così come l' andamento dei contagi cambia rapidamente, mentre noi siamo abituati a ragionare sul lungo periodo. Che di tratti di vita personale o lavorativa, spesso a inizio anno già abbiamo pianificato molto i mesi che verranno. Ma se provassimo a cambiare prospettiva? Se pensiamo che non c'è stata ancora una strategia vincente possiamo arrivare alla deduzione che anche i nostri sforzi sono stati vani e magari ci viene voglia di non seguire più tutte le precauzioni Forse abbiamo bisogno di trovare un nuovo senso a quello che stiamo facendo. Magari quello che la singola persona ha fatto non ha cambiato le carte in tavola a livello nazionale ma sicuramente, restringendo il campo, ha portato dei benefici nella propria cerchia. 👉🏻Se lo sconforto ci sta dicendo tutto questo, ascoltiamolo, prendiamoci una pausa per riposare, capire quali sono i nostri bisogni e proviamo poi a cambiare prospettiva. Se avete domande o dubbi, scrivetemi! Lo sconforto non tiene mai conto del firmamento |
Emma Montorfano
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Febbraio 2023
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