I genitori sono sempre ben felici quando i figli hanno una vita sociale positiva. Fin da piccoli ci preoccupiamo che giochino con gli altri, che interagiscano, che socializzino. E, per forza di cose, ci capitano spesso situazioni in cui scoppia un litigio, i bambini si spingono, si rubano i giochi, alzano le mani. A volte non sappiamo bene come intervenire, se andare in soccorso o lasciare che se la sbrighino da soli.
Prima di porci questa domanda sul "cosa fare", proviamo a soffermarci sullo sviluppo del bambino. A due anni il bambino agisce per SANO "egoismo":tutto è suo! Sta scoprendo il mondo e non ammette intralci. Ha appena imparato che non è più un tutt'uno con la mamma, ma che è un esserino dotato di libertà di azione. I suoi NO, le sue prese di posizioni che a noi sembrano capricci, i suoi MIO, sono tutti modi per sperimentare questa grande scoperta: sono IO! Ovviamente ciò si riscontra anche e soprattutto nell'interazione con i pari. I giochi diventano suoi, vengono strappati di mano, a volte l'altro viene picchiato. Non c'è nulla di strano o anormale. E' solo dai 4 anni infatti che il bambino inizia a comprendere i meccanismi della relazione, che con gli altri ci si può anche divertire! Le interazioni, proprio tramite il gioco diventano sempre più complesse e profonde. Più sta con gli altri più impara a ...stare con gli altri! Ma allora che si può fare? Possiamo iniziare a fargli notare che esiste un altro diverso da sè, provare a spiegare che lo strappare, lo strattonare, lo spingere fanno male all'altro bambino e lo rendono triste. Già da piccoli possiamo insegnargli ad usare PAROLE IMPORTANTI COME GRAZIE, SCUSA, PER PIACERE...(ricordiamoci sempre che noi siamo la sua prima fonte di apprendimento, quindi usiamole prima noi in quante più occasioni possibili, anche con lui!) La punizione per il suo comportamento "socialmente sbagliato" non ha grande utilità, perché il bambino sta imparando e non ha ancora pienamente sviluppato tutte le capacità che gli permettono di comprendere appieno. Quando mettete i bambini piccoli in castigo e loro "non ascoltano, provocano", beh, è perché non hanno compreso. Ciò non vuole dire che non ci debbano essere regole, anzi! Poche e fondamentali. Verso i sei anni, i bambini sviluppano ancora di più la consapevolezza di chi sono e del fatto che possono entrare in relazione con gli altri. Aumentano sentimenti di imbarazzo, vergogna, colpa e timore, ma anche di rabbia, frustrazione e impotenza. A questa età i bambini però iniziano a comprendere ciò che è bene e ciò che è male. Quindi diventa molto importante aiutarli nel prendere sempre più consapevolezza delle loro emozioni (che bel gioco!), dei loro desideri (lo vorrei per giocare) e di come raggiungerli senza far male all'altro (posso chiedere di giocare insieme o di prestarmelo per un po'). Continuare ad insegnare le regole dello star bene insieme: come si fa per chiedere un gioco, come perdonare, chiedere scusa, come chiedere che venga ridato un gioco preso senza permesso, fare a turno etc. Quando vediamo dei comportamenti aggressivi, è sempre meglio riflettere insieme, capire cosa è successo, come si sta, parlare, aiutare a chiedere scusa piuttosto che dare una punizione, col rischio che non ne vengano compresi i motivi. Dietro uno spintone o un calcio, c'è la rabbia e dietro la rabbia...un bisogno a cui non sanno ancora dare voce. Supportiamoli sempre, ricordiamoci che stanno imparando! Se insegniamo come gestire un conflitto in modo positivo, possiamo successivamente provare a lasciare che siano loro a cavarsela da sé e vedere come va. Non dimentichiamoci che loro sanno essere molto più creativi di noi nel risolvere situazioni problematiche. Verso i 12 anni, si intensifica il bisogno di definire i propri confini personali, questa volta per trovare una propria identità, che sia staccata da quella dei genitori. Il "gruppo" diventa un fattore chiave nella vita di un dodicenne. Si gioca, si sta insieme, si cresce! Lo sviluppo cognitivo è tale da permettere al ragazzo di comprendere quali sono i valori sociali e prendersi la responsabilità degli effetti delle sue azioni. L'intervento dell'adulto deve essere mirato ad aiutare a comprendere quali bisogni sono stati calpestati, che emozioni sono in gioco. Aiutare nel trovare modalità di interazione che siano rispettose per tutti quanti. Far riconoscere che la propria libertà (legittima!) ha dei limiti e che si può causare intenzionalmente un danno. provare a far mettere nei panni dell'altro. Parlare, confrontarsi, discutere! La punizione (calibrata a ciò che è stato fatto e all'età) può essere applicata quando la regola, prima condivisa con l'adulto, viene poi infranta intenzionalmente. Occorre poi essere ben consapevoli che dietro l'aggressività (ripetuta e costante) di un ragazzino può celarsi però un vero malessere e, come adulti, abbiamo il dovere di prendercene cura.
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La felicità è un ingrediente importante per la crescita. Ma può diventare un ostacolo? Vi propongo due spezzoni di film La famiglia Bélier La ricerca della felicità Quando diventiamo genitori investiamo così tanto tempo, energie ed amore nei figli che rischiamo di caricarli di troppo grandi aspettative... come ad esempio, quella di renderci felici. Ci aspettiamo, inconsapevolemente, che siano loro a doverci fare felici. E ai figli passa il messaggio che il loro dovere è essere come i genitori si aspettano, affinché siano orgogliosi di loro. Altre volte capita di dedicarsi completamente ai figli, per farli felici, e la nostra felicità diventa "vedere i figli felici", prendendoci tutta la responsabilità e dimenticando che una parte spetta a loro e che noi genitori possiamo trovare una fetta di felicità al di fuori del ruolo genitoriale. Ma quali sono le conseguenze? Nel primo caso, figli non riescono a trovare la loro strada e ciò che desiderano davvero, perché sempre concentrati a soddisfare i genitori. Faranno fatica a lasciare i genitori da soli, sentendosi in colpa per renderli tristi e temendo di deluderli se faranno scelte diverse dalle aspettative genitoriali. E i genitori saranno ricompensati dall'avere, apparentemente, un figlio proprio come lo desiderano, senza però conoscerlo pienamente. Nel secondo caso, i genitori non riescono a trovare la loro felicità al di fuori dei figli e possono o trattenere i figli troppo vicino a sé o sentirsi persi quando i figli usciranno di casa. Continueranno a farsi carico della felicità dei loro "bambini". Per i figli, diventerà difficile riconoscere di avere le capacità e le risorse per realizzarsi ed essere felici da soli, caricando sopra qualcun altro questa responsabilità (magari con il rischio che venga disattesa). Cosa ci può aiutare? A volte ci carichiamo così tanto della responsabilità di fare felici gli altri che faremmo di tutto per loro, aspettandoci in cambio la loro serenità. MA la felicità è una conquista che arriva INDIPENDENTEMENTE da quello che qualcuno può fare per noi, perchè è nostra. Ciò che può fare l'altro per noi è STARCI ACCANTO nel nostro viaggio alla ricerca della felicità. Se vi interessa, potete approfondire altri temi sull'importanza del rispettare i propri bisogni qui e sul "troppo amore" qui I tuoi figli non sono figli tuoi. Mamma, mi fai? Mamma mi aiuti? Mamma mi guardi? Mamma? Maammaaaa?
Uh, quante volte ci sentiamo chiamare in una giornata dai nostri figli! Ogni mamma conosce bene questa sensazione! I piccoli, come scrive la psicomotricista Valentina Rocchio, hanno bisogno della mamma (e del suo tempo) per soddisfare i propri bisogni. Quando diventiamo genitori mettiamo da parte i nostri bisogni individuali per dare spazio a quelli dei figli. Questa sensazione può fare piacere, innervosire, stancare, a seconda di tanti fattori. Ogni tanto vorremmo staccare la spina, ci sembra di non avere più energie, neppure dieci minuti al giorno per noi stesse. La psicologa Anna Gigliarano evidenzia bene come i bisogni dei figli possano influenzare quelli dei genitori e viceversa! Ecco che allora nella quotidianità diventa difficile ... Io non ho ricette magiche, né risposte o suggerimenti pratici su come gestire il vostro tempo (siete bravissimi da soli!) Mi piacerebbe però lanciarvi delle domande : Come mai e quando avete deciso che il tempo per voi poteva farsi da parte? Come mai e quando avete deciso che tutto il tempo, anche quello immaginato, quello potenziale, va dedicato ai figli? Che mamme e papà vi sentireste ad usare del tempo per voi e non per i vostri figli? Cosa cambierebbe in NOI e intorno a noi se dedicassimo un'ora, due ore, a noi e solo noi stessi? Da maggio, inaugureremo la "Rubrica del giovedì"! Sarà uno spazio dedicato alle famiglie (di ogni tipo!), ai genitori, ai figli, per parlare di tutto ciò che riguarda il crescere insieme.
Affronteremo varie tematiche, risponderemo alle vostre domande e cercheremo di confrontarci per far nascere spunti di riflessione e nuovi punti di vista! Non sarà una rubrica per soli genitori di figli piccoli ma ci piacerebbe che prendessero parola anche i genitori e i figli più "grandi"! Chi siamo? Oltre a me, ci sarà @annagigliarano_psicologa e @valentina_rocchio psicomotricista Saremo attive su Instagram ma potete lasciare commenti e domande anche qui! Sì sente spesso parlare delle conseguenze del poco amore e delle trascuratezza sui figli...
Ma quando l'amore è troppo? Sembra difficile pensare che troppo amore possa avere qualche ripercussione negativa. Preciso che con troppo amore non intendo le coccole a profusione, i "ti voglio bene" ripetuti all'infinito, il rispondere ai bisogni emotivi quando emergono. Questi sono fondamentali. Con "troppo amore" intendo tutte quelle azioni che noi genitori compiamo con l'intento di vedere i nostri figli felici ma che alla lunga sono controproducenti. Ad esempio, quando li proteggiamo troppo e preveniamo la loro sofferenza, impedendo loro di fare delle esperienze (ovviamente calibrate all'età) poco piacevoli ma costruttive. Magari interveniamo subito nei litigi, senza lasciare che provino a cavarsela da soli. Con i bambini più grandicelli, magari fatichiamo a lasciare che facciano qualcosa di gestibile da soli fuori casa. Alla lunga, per evitare che soffrano o si facciano male, non permettiamo loro di imparare a riconoscere e gestire la loro sofferenza, i momenti critici, gli sbagli. La prima volta che non saremo lì con loro, non sapranno che fare e ... soffriranno. A volte non diamo regole, per non vederli piangere e qui vi rimando al post di Valentina Rocchio che recentemente ha parlato del perché è importante dare regole. E quante volte rispondiamo subito ai loro bisogni materiali (giochi soprattutto!). I giochi sono importantissimi, come lo è insegnare che esistono priorità ("Compriamo i pennarelli perché finiti ma non il peluche perché ne hai già due" oppure "compriamo solo un gioco nuovo, non tre alla volta"). Questo aiuta a gestire la frustrazione, a saper attendere, a posticipare quello che sembra un bisogno ma in realtà è un bel desiderio, a capire che possiamo essere attivi nel fare avverare un nostro sogno ("ogni giorno metto da parte una monetina, mi impegno nel fare qualcosa in casa" ovviamente, ripeto, tutto adeguato all'eta e alle capacità dei bambini). Troppo amore è anche quando non riusciamo più a trovare tempo per noi, per la coppia, per le cose che ci appassionano e ci piacciono, anche quando questo tempo ci potrebbe essere. È importante ricordarsi di essere prima donne e uomini e poi mamme e papà, altrimenti rischiamo di dare ai nostri figli la grande responsabilità di renderci felici, mentre siamo noi a dover ricercare la nostra felicità, per poterlo insegnare a loro. 📝 Psicoesercizio La domanda che vorrei porvi per riflettere tutti insieme è "Perché abbiamo bisogno NOI genitori di dare troppo amore? Cosa succede a NOI se non diamo troppo amore? Ieri sera mentre preparavo Vera per la nanna, mi è arrivata la sensazione di non aver vissuto bene la giornata con lei, nonostante avessimo passato insieme gran parte del tempo. Sarà perché abbiamo giocato poco insieme e lei ha dovuto farlo da sola mentre mi occupavo di altro in casa. Mi è proprio sembrato che la giornata fosse passata via veloce, che fosse da tanto che non vedevo il suo visino e che mi fossi persa qualcosa "ma come, siamo già arrivati a sera?" "e dove sono stata?".
Mi ha fatto pensare che spesso siamo presenti fisicamente ma chissà come mai non ci siamo davvero. Può succedere in casa, con i figli, nelle relazioni, nel lavoro, perfino in terapia. Il nostro corpo è lì, ma è come se non ci fossimo totalmente. Perché è difficile e faticoso esserci sempre al 100%. In alcuni casi, anche doloroso. A voi capita mai? Come state quando succede? E che cosa fate dopo? Quando si pensa ai bambini si pensa subito ai giochi. Giocare è ciò che amano di più, che fanno durante quasi tutto il giorno, tutti i giorni. E' quando si entra in età scolare che il gioco lascia spazio ai compiti, fino all'età adulta in cui c'è il lavoro e il giocare si declina solo nell'attività sportiva. Spesso diciamo "non giocare" quando vogliamo che l'altro resti serio o che non ci prenda in giro. Eppure il gioco è una cosa seria. Li avete visti mai i bambini impegnati nel gioco? Come sono concentrati, precisi, creativi? E' attraverso il gioco che apprendono un sacco di cose! Questo accade perché il cervello resta stimolato ed attento quando si fa qualcosa di piacevole e divertente, dando il massimo di sé.
Sì, ma funziona solo con i bambini, mi dirà qualcuno. Ed invece no. Ci sono delle ricerche, descritte in questo post www.emmamontorfanopsicologa.com/il-block-notes-della-psicologa/the-fun-theory, che illustrano come anche per noi adulti valga la stessa regola. Chissà perché allora l'abbiamo dimenticata per strada, crescendo. Essere genitori credo sia una grande opportunità in questo senso. Si riscopre l'arte del giocare, del ridere, dello stare insieme. Ed un cervello "felice" è un cervello attivo! Ricordiamoci sempre che il gioco fa parte della natura degli animali, compresi noi essere umani, e che "L’uomo non smette di giocare perché invecchia, ma invecchia perché smette di giocare". (George Bernard Shaw) Ieri Vera ha preso un mestolo in mano e ha fatto finta di telefonare alla nonna! È il cosiddetto gioco simbolico, del fare finta che. I bambini usano degli oggetti non per la loro reale funzione, ma immaginando che sia altro. Il divano diventa un'isola sperduta nel mare e loro dei pirati all'arrembaggio, un mestolo diventa un cellulare, foglie e sassi una delizia da cucinare con cura e servire agli entusiasti commensali. È una tipologia di gioco davvero molto importante per i bambini, per la loro crescita emotiva e relazionale. Ed è strabiliante osservare come loro ci credano davvero, di essere dei pirati, dei cuochi, di star parlando con la nonna al telefono. I gesti, le espressioni, tutto sembra reale. Come se bastasse immaginarlo perché esista.
Quanto spesso capita anche a noi di perderci tra i nostri pensieri? Immaginarci "come se..." , in un altro luogo, con altre persone, in situazioni diverse, con quello che desideriamo e così via? Come per i bambini, anche per noi è importante immaginare. Perché? Perché l'immaginazione aiuta a formare un pensiero, a rendere più "possibili" delle situazioni, a farle diventare più facilmente accessibili. E se credo che siano realizzabili e già mi sono visto nella mia testa a fare quella cosa lì, sarò più predisposto a cercare tutte le risorse, personali o esterne, che faranno sì che quella situazione si avveri. Questo vale sia per le situazioni desiderate che per quelle temute, con esiti opposti. Più temo una cosa, più il mio comportamento sarà guidato a continuare a temerla e inciamperò in situazioni che mi confermeranno il mio pensiero, solidificandolo. Né mi attiverò affinché qualcosa cambi: se immagino che andrà male, perché fare qualcosa? Sarà inutile, ci diciamo. E l'esito sarà proprio quello negativo. In psicologia si chiama profezia che si autoavvera. I bambini già lo sanno ed infatti giocano solo cose belle. Essere genitori è una cosa seria. Ci vuole tempo, tanto tempo, impegno, pazienza, curiosità, fiducia e molto altro. Spesso in terapia vedo le conseguenze sui figli di genitori troppo lontani, assenti, manchevoli, o al contrario troppo vicini, presenti, ingombranti. So bene che in una famiglia si creano delle dinamiche che possono essere attanaglianti o invece accrescitive. È una cosa seria appunto. Ma ciò non toglie che essere genitori sia anche una cosa leggera, citando Calvino. "Leggerezza non è superficialità". È avere un pensiero, una consapevolezza del peso che c'è dietro e permettersi di sorridere. Non è vaghezza o abbandono al caso. È scendere nel buio fino al fondo e poi risalire in volo. È giocare con mia figlia e sapere che le nostre risate non sono solo una gioia evanescente ma sono anche e soprattutto il "peso" della relazione tra me e lei e tutto ciò che significa per noi.
Abbiamo scoperto che a Vera piace molto ballare. Lo fa a modo suo, muovendo piedi e mani, e spesso imitando i gesti degli adulti. Lei si diverte molto e pure io, un po' per la comicità dei suoi gesti, a tratti infantilmente goffi, un po' perché la vedo contenta e sorridente.
Tutti abbiamo qualcosa che ci piace fare. Molte volte ciò che ci piace fare coincide con ciò che ci viene molto bene, altre invece facciamo qualcosa di piacevole senza che il risultato sia ottimo. O meglio, "ottimo" secondo quanto ci si aspetta o si crede che debba essere. Vera è felice di muovere le mani, le piace, c'è qualcuno che le direbbe mai che non lo fa nel modo ottimale? No, perché è una bambina e ai bambini è concesso. Per gli adulti invece le aspettative cambiano. Si introduce la dimensione del dovere, sicuramente necessaria, ma che a volte rischia di prendere il sopravvento. E se per certi versi questo "dovere" ci permette di migliorare, dall'altro lato ci toglie il puro piacere di fare qualcosa che ci fa sorridere e stare bene, senza pensare al risultato. Se vi interessa l'argomento, vi aspetto domani con un esercizio! |
Emma Montorfano
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Febbraio 2023
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