Ieri sera mentre preparavo Vera per la nanna, mi è arrivata la sensazione di non aver vissuto bene la giornata con lei, nonostante avessimo passato insieme gran parte del tempo. Sarà perché abbiamo giocato poco insieme e lei ha dovuto farlo da sola mentre mi occupavo di altro in casa. Mi è proprio sembrato che la giornata fosse passata via veloce, che fosse da tanto che non vedevo il suo visino e che mi fossi persa qualcosa "ma come, siamo già arrivati a sera?" "e dove sono stata?".
Mi ha fatto pensare che spesso siamo presenti fisicamente ma chissà come mai non ci siamo davvero. Può succedere in casa, con i figli, nelle relazioni, nel lavoro, perfino in terapia. Il nostro corpo è lì, ma è come se non ci fossimo totalmente. Perché è difficile e faticoso esserci sempre al 100%. In alcuni casi, anche doloroso. A voi capita mai? Come state quando succede? E che cosa fate dopo?
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Abbiamo sfruttato l'occasione per fare una camminata in montagna e goderci questo primo accenno di primavera. Cielo un po'fosco ma tanto caldo a ricordarci che ormai l'inverno sta finendo. Vera ha camminato tanto, zompettando sulle sue gambine, a tratti prudente, a tratti spavalda. E quanto mi è piaciuto stare con lei mano nella mano tra la natura, mentre raccoglieva sassi, ghiande, foglie secche. Lei raccoglie sempre tutto e tutto finisce nelle tasche, da svuotare poi a casa. O da custodire fino alla prossima volta in cui metterà la sua manina dentro ed estrarrà sorpresa e contenta un ricordo del tempo passato insieme.
📝 Psicoesercizio Che ricordo vorreste estrarre oggi dalle vostre tasche, per scaldarvi in questo primo sole quasi-primaverile? Quando si pensa ai bambini si pensa subito ai giochi. Giocare è ciò che amano di più, che fanno durante quasi tutto il giorno, tutti i giorni. E' quando si entra in età scolare che il gioco lascia spazio ai compiti, fino all'età adulta in cui c'è il lavoro e il giocare si declina solo nell'attività sportiva. Spesso diciamo "non giocare" quando vogliamo che l'altro resti serio o che non ci prenda in giro. Eppure il gioco è una cosa seria. Li avete visti mai i bambini impegnati nel gioco? Come sono concentrati, precisi, creativi? E' attraverso il gioco che apprendono un sacco di cose! Questo accade perché il cervello resta stimolato ed attento quando si fa qualcosa di piacevole e divertente, dando il massimo di sé.
Sì, ma funziona solo con i bambini, mi dirà qualcuno. Ed invece no. Ci sono delle ricerche, descritte in questo post www.emmamontorfanopsicologa.com/il-block-notes-della-psicologa/the-fun-theory, che illustrano come anche per noi adulti valga la stessa regola. Chissà perché allora l'abbiamo dimenticata per strada, crescendo. Essere genitori credo sia una grande opportunità in questo senso. Si riscopre l'arte del giocare, del ridere, dello stare insieme. Ed un cervello "felice" è un cervello attivo! Ricordiamoci sempre che il gioco fa parte della natura degli animali, compresi noi essere umani, e che "L’uomo non smette di giocare perché invecchia, ma invecchia perché smette di giocare". (George Bernard Shaw) Ieri Vera ha preso un mestolo in mano e ha fatto finta di telefonare alla nonna! È il cosiddetto gioco simbolico, del fare finta che. I bambini usano degli oggetti non per la loro reale funzione, ma immaginando che sia altro. Il divano diventa un'isola sperduta nel mare e loro dei pirati all'arrembaggio, un mestolo diventa un cellulare, foglie e sassi una delizia da cucinare con cura e servire agli entusiasti commensali. È una tipologia di gioco davvero molto importante per i bambini, per la loro crescita emotiva e relazionale. Ed è strabiliante osservare come loro ci credano davvero, di essere dei pirati, dei cuochi, di star parlando con la nonna al telefono. I gesti, le espressioni, tutto sembra reale. Come se bastasse immaginarlo perché esista.
Quanto spesso capita anche a noi di perderci tra i nostri pensieri? Immaginarci "come se..." , in un altro luogo, con altre persone, in situazioni diverse, con quello che desideriamo e così via? Come per i bambini, anche per noi è importante immaginare. Perché? Perché l'immaginazione aiuta a formare un pensiero, a rendere più "possibili" delle situazioni, a farle diventare più facilmente accessibili. E se credo che siano realizzabili e già mi sono visto nella mia testa a fare quella cosa lì, sarò più predisposto a cercare tutte le risorse, personali o esterne, che faranno sì che quella situazione si avveri. Questo vale sia per le situazioni desiderate che per quelle temute, con esiti opposti. Più temo una cosa, più il mio comportamento sarà guidato a continuare a temerla e inciamperò in situazioni che mi confermeranno il mio pensiero, solidificandolo. Né mi attiverò affinché qualcosa cambi: se immagino che andrà male, perché fare qualcosa? Sarà inutile, ci diciamo. E l'esito sarà proprio quello negativo. In psicologia si chiama profezia che si autoavvera. I bambini già lo sanno ed infatti giocano solo cose belle. Da quando Vera ha iniziato a camminare, le cadute si sono susseguite. Al parco, poi, vedendo gli altri bambini correre, è motivata a fare altrettanto e capita che inciampi, scivoli, perda l'equilibrio. A volte si rialza senza un lamento, altre volte inizia a piangere per le ginocchia sbucciate. Niente che non si risolva con un abbraccio e qualche coccola. Quando succede però, proprio perché conosco la potenza delle parole, mi chiedo cosa sia meglio fare e dire.
Il classico: "Non piangere, non é successo niente" : beh, insomma, forse per noi adulti è poca cosa e il nostro intento è certo quello di consolare il pianto, ma per una bambina di nemmeno due anni che sta sperimentando le sue capacità? Che messaggio trasmettiamo? Che cadere non è importante? Che le cadute vanno nascoste perché scomode? "Non ti sei fatto niente": anche qui si rischia di sottovalutare la reazione del bambino/a e di sostituirsi a lui/lei nel processo di presa di consapevolezza. Magari può essere più utile aiutarlo/a ad osservare e valutare insieme cosa è successo? "Non sei capace!": magari condita con ironia e risatine...che effetto può fare su un/a bambino/a è facile da capire...basta che proviamo a dire la stessa frase a noi stessi quando sbagliamo. E quante volte ce la portiamo dietro anche da adulti? Quante volte ci diciamo "Sono un fallito, non sono capace di fare nulla, sbaglio tutto"? "Piangi per nulla!": questo capita di dirlo e di sentirlo spesso. Ma se ci fermiamo a riflettere, è un'affermazione che trasmette un messaggio sbagliato: ovvero che piangere non è una cosa da poter fare sempre e che non si deve piangere quando, letteralmente e metaforicamente, "si cade". Ecco, io vorrei essere una mamma che di fronte alla cadute di mia figlia, sappia prima di tutto osservare. Guardare cosa è successo ed osservare la reazione di mia figlia. Aspettare (ahimé a volte è così difficile) e poi decidere cosa fare e cosa dire a seconda della sua reazione. Intervenire subito se necessario, o lasciare che se la sbrighi da sola, magari aiutandola poi a capire come mai è successo e come mai ha reagito così. Vorrei essere una mamma che sappia anche valorizzare le cadute. Perché alla fine si cade tutti. Chi prima, chi poi, chi più spesso, chi non fa una piega, chi fa fatica ad alzarsi per mille ragioni. Le cadute però sono importanti, e spesso tendiamo a nasconderle per vergogna, perché sono una prova tangibile di non essere stato "abbastanza" o "capace". Potrei sciorinare un sacco di aforismi e citazioni sugli errori ma il succo sarebbe sempre lo stesso: ciascuno di noi, nella propria esperienza di vita, cresce, si evolve e diventa quello che è attraverso gli errori che fa e ciò che impara da essi. Se vi interessa il tema degli errori e della paura di sbagliare, QUI POTETE TROVARE UN ARTICOLO che ho scritto. Qual è la paura che ti blocca in questo periodo? Vera, senza troppi giri, ci ha fatto capire di non apprezzare il bagno in mare. Bene i giochi sul bagnasciuga, camminare su e giù, raccogliere conchiglie, perfino gli scogli sono stati più invitanti di un tuffo in acqua. Ci abbiamo provato in tanti modi, più o meno diretti o giocosi ma poco è cambiato: Vera in versione koala che ritira i piedini appena cerco di immergerla. Allora ho deciso di lasciar perdere, di ascoltare i suoi desideri e di non forzarla. L'ultimo giorno di vacanza ci ha sorpreso: complice il mare tranquillissimo e senza onde, e la voglia di seguire un gruppo di bambine con le quali stava giocando sulla sabbia, mi ha fatto capire di voler entrare in acqua. L'esperienza marina è durata molto poco, ma sufficientemente per immortalare il momento con uno scatto. L'avversione per l'acqua non è scomparsa ma Vera è riuscita a trovare le risorse e la motivazione per fare un piccolo passo verso ciò che le procura paura. A volte capita così, che qualcosa ci fa paura e nemmeno l'assenza di onde e l'abbraccio sicuro di una mamma possono fare molto. Nemmeno le rassicurazioni, la razionalità, l'appoggio delle persone vicine. Allora forse possiamo darci del tempo. Per scoprire che forse possiamo farcela, che c'è qualcosa per cui vale un po'la pena tentare. Sempre con una rete di sicurezza sotto di noi e tante coccole poi. Se non riesci da sola/o a gestire le tue paure, non significa che tu sia debole o incapace. Semplicemente stai facendo il meglio che puoi ma forse la tua paura ha una ragione per restare. Insieme possiamo scoprire qual è e lasciare che se ne vada.
Vera sta iniziando a sperimentare le prime frustrazioni. I nostri "NO", ad esempio, vengono spesso accolti con pianti, gesti nervosi, lamentele, a volte morsi e pizzicotti. A volte dura di più, e necessita di un nostro intervento, a volte invece basta molto poco perché le torni il sorriso. Tutto nella norma, insomma! Oggi al parco ci siamo divertite a soffiare via l'infruttescenza di qualche soffione. Ha voluto raccoglierne un paio ma, muovi di qui e muovi di lì, e presto si è ritrovata con i soli steli in mano. E questo ha generato in lei una reazione diversa: un misto di tristezza e rabbia, forse potrei azzardare a dire delusione. Tutto ciò mi ha fatto pensare a noi adulti e alle situazioni che ci capita di vivere. A volte vorremmo che gli altri non ci dicessero i loro "no", che si comportassero come è nei nostri desideri, a volte siamo noi, coi nostri movimenti, a disattendere le nostre stesse aspettative. A volte ancora ci si mette di mezzo un colpo di aria improvvisa, a cambiare i nostri piani e a costringerci a prendere una rotta diversa. A voi è mai capitato? E come avete reagito? Siamo sempre capaci di distinguere ciò che possiamo controllare e quindi cambiare da ciò che non lo è? Proviamoci insieme!
Quando si parla di emozioni niente è facile. Ancora più difficile parlare di emozioni ai bambini : come si fa? Cosa bisogna dire? Capiranno? Non è che poi stanno peggio? Sono tutti dubbi che i genitori hanno e spesso la conseguenza di questi timori, è che si evita di parlare di ciò che si prova, lasciando i bambini soli con le loro emozioni e senza ancora competenze per gestirle né strumenti per poter capire cosa sta succedendo loro. Questa situazione di emergenza ci ha poi messi tutti a fare i conti con le nostre paure, le nostre rabbie, le nostre tristezze ... come noi, così anche i nostri figli. Con la collega dott.ssa @annagigliarano_psicologa, abbiamo quindi creato questo gioco per bambini, in cui, attraverso un percorso, vi accompagniamo a riconoscere le differenti sfumature di emozioni che i vostri figli possono provare in questo periodo, nominarle, ascoltare i cambiamenti del corpo ed infine allenarsi a gestirle in modo efficace. Ricordando che più si diventa consapevoli delle proprie emozioni, più si è in grado di farvi fronte, per non lasciarsi sopraffare da esse ma viverle! Buon divertimento
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Emma Montorfano
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Febbraio 2023
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