Da qualche tempo ho riscoperto il piacere di girare in bicicletta. Era una cosa che facevo quotidianamente quando ero piccola e gran parte dei pomeriggi soleggiati li passavo a girare nei boschi in bici con le amiche. Adesso, mentre porto Vera all'asilo, vedo altri in bicicletta che corrono, suonano, sono di fretta. Io, che ho sempre associato la bicicletta al piacere e al gioco, mi domando come mai spesso ci facciamo prendere dalla fretta, come mai cerchiamo di non perdere neanche un secondo del nostro tempo e corriamo corriamo...
Mia mamma, qualche giorno fa, mentre stava giocando con Vera, mi ha detto che quando andava a lavorare non "aveva mai il tempo" per giocare con noi. Perché era stanca, perché c'era sempre qualche altra faccenda da sbrigare, perché il dovere veniva sempre prima. Credo che sia tutto una questione di equilibrio: il tempo è lì, è certo e scorre. Sta a noi decidere quando accelerare e quando invece rallentare.
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Quando sono diventata mamma, mio papà già non c'era più. Capita spessissimo che io me lo immagini in veste di nonno: penso a quello che direbbe, a come giocherebbe, alle risate e agli abbracci che darebbe a sua nipote. Purtroppo è tutto nella mia testa eppure ... non c'è assenza. Perché ci sono i ricordi, ci sono i sogni, ci sono le coincidenze che mi piace pensare non siano solo un caso. Ci sono le sensazioni, le foto, i consigli dati allora, forse non ascoltati, ma che riaffiorano adesso nel momento del bisogno. Perdere qualcuno è dolore e lacrime, anche a distanza di anni: cambia forma ma resta. Riuscire a sentirne la presenza, invece, nonostante il vuoto fisico, ha in sé un qualcosa di "magico". Ed è per questo che quando sento il vento soffiare, come il giorno in cui se ne è andato e come quello in cui sono diventata mamma, o quando vedo una farfalla bianca svolazzare sui miei fiori, dico a mia figlia "è il nonno". Sant'Agostino scrisse che i morti "non sono assenti ma sono esseri invisibili". Chi ha perso una persona cara sa quanto doloroso e faticoso può essere continuare la vita senza averla più accanto. La mancanza resta l'unica costante nel tempo che passa ma per oggi, con questo psicoesercizio, vi invito a soffermarvi sulla presenza. Mi farebbe piacere condividere i vostri commenti o le vostre esperienze. Ecco un libro che parla di famiglia e di come siamo semplici anelli di una catena di generazioni. Spesso diventiamo vittime di eventi e traumi già vissuti dai nostri antenati. E' l'inconscio familiare: la storia che altri hanno scritto per noi.
Anne Ancelin Schutzenberger, terapeuta ed analista con oltre cinquant'anni di esperienza, spiega nel libro "La sindrome degli antenati" [1993-Di Renzo Editore] il suo originale approccio psicogenealogico. "La vita di ciascuno di noi è un romanzo. Voi, me, noi tutto viviamo prigionieri di un'invisibile ragnatela di cui siamo anche tra gli artefici. Se imparassimo ad afferrare, a comprendere meglio, ad ascoltare e a vedere queste ripetizioni e coincidenze, l'esistenza di ciascuno di noi diventerebbe più chiara, più sensibile a ciò che siamo e a ciò che dovremmo essere. Ma è possibile sfuggire a questi fili invisibili, a queste triangolazioni, a queste ripetizioni?" Anne Ancelin Schutzenberger sostiene che, in un certo senso, siamo meno liberi di quanto crediamo. Pertanto possiamo riconquistare la nostra libertà e svincolarci dalla ripetizione capendo ciò che accade, afferrando questi fili nel loro contesto e nella loro complessità. Questi complessi legami vengono vissuti nell'indicibile, nell'impensabile, nel non detto o in segreto. Tuttavia esiste un modo per trasformare sia questi legami affinché le nostre vite diventino profondamente a misura di ciò che desideriamo, di ciò di cui abbiamo voglia e bisogno per esistere. Se si è governati dal caso o dalla necessità, si può comunque cogliere la propria occasione, cavalcare il proprio destino, capovolgere la sorte sfavorevole ed evitare i tranelli delle ripetizioni transgenerazionali inconsce. Secondo la Schutzenberger, il lavoro della psicoterapia è fare in modo che la vita sia l'espressione del nostro autentico essere. Lo psicoterapeuta, dopo essersi smascherato e compreso lui stesso, è pronto per capire, ascoltare e vedere. Allora, umilmente, avvalendosi di tutto il suo sapere, il terapeuta cerca di essere l'intermediario o il traghettatore che colma la distanza tra colui che cerca se stesso e la sua verità. Quando si parla di emozioni niente è facile. Ancora più difficile parlare di emozioni ai bambini : come si fa? Cosa bisogna dire? Capiranno? Non è che poi stanno peggio? Sono tutti dubbi che i genitori hanno e spesso la conseguenza di questi timori, è che si evita di parlare di ciò che si prova, lasciando i bambini soli con le loro emozioni e senza ancora competenze per gestirle né strumenti per poter capire cosa sta succedendo loro. Questa situazione di emergenza ci ha poi messi tutti a fare i conti con le nostre paure, le nostre rabbie, le nostre tristezze ... come noi, così anche i nostri figli. Con la collega dott.ssa @annagigliarano_psicologa, abbiamo quindi creato questo gioco per bambini, in cui, attraverso un percorso, vi accompagniamo a riconoscere le differenti sfumature di emozioni che i vostri figli possono provare in questo periodo, nominarle, ascoltare i cambiamenti del corpo ed infine allenarsi a gestirle in modo efficace. Ricordando che più si diventa consapevoli delle proprie emozioni, più si è in grado di farvi fronte, per non lasciarsi sopraffare da esse ma viverle! Buon divertimento
Il maestro non c'era ancora, e tre o quattro ragazzi tormentavano il povero Crossi, quello coi capelli rossi, che ha un braccio morto, e sua madre vende erbaggi. In queste righe Edmondo De Amicis descrive Franti: il bullo del libro "Cuore".
Il bullismo è un fenomeno di origine antica, largamente diffuso in ambito scolastico, che però solo recentemente ha ricevuto particolare attenzione. La definizione che ne dà Dan Olweus, uno dei maggiori studiosi di questo fenomeno, è la seguente: “uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato e vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, ad azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni.” Il bullismo comprende vari comportamenti: il bullismo fisico (percosse, atti violenti e lesivi, ecc), quello verbale (insulti, denigrazioni, ecc) e il bullismo relazionale (isolamento, manipolazione ecc). Nel momento in cui il bullismo non viene riconosciuto e affrontato, rimane la possibilità che causi disagio e sofferenza non solo nel bambino vittima ma anche nel bambino prevaricatore, che presenta a sua volta elementi di fragilità e di criticità, diversi da quelli della vittima. Nella maggior parte dei casi di bullismo, infatti, ci si concentra sul bambino che ha subito l’aggressione ma altrettanto importante è dedicarsi al “bullo” perché spesso dietro un atto di bullismo, ci sono messaggi comunicativi importanti, sofferenza e difficoltà relazionali che vanno individuate e risolte. Spesso nei genitori nascono preoccupazioni inerenti al rendimento scolastico, all'autostima, all'integrazione sociale, alla devianza, al futuro dei figli e al loro benessere in generale. Ma come si deve comportare un genitore di un bambino vittima di bullismo? E un genitore di un bambino bullo? Purtroppo non c'è una risposta univoca, perché ogni caso è unico ed occorre fare attenzione al bambino, che sia il bullo o la vittima e alle dinamiche relazionali nel quale è inserito. Da un lato è fondamentale proteggere il bambino vittima di atti di bullismo e aiutarlo nel superare il difficile momento attivando le risorse che possiede; dall'altro lato è importante evitare di etichettare in modo marcatamente negativo e immodificabile il comportamento del bullo e cercare di “leggerlo” come conseguenza di un disagio psicologico. Diventa quindi di grande rilevanza mettere in atto un lavoro di collaborazione tra la famiglia, la scuola e gli operatori del sociale, come psicologi e assistenti sociali. L’adolescenza, più delle altre fasi del ciclo di vita, è stata definita un periodo di transizione, caratterizzato da cambiamenti fisici, intellettivi, affettivi e sociali.
Rappresenta una fase critica e delicata per l’intera famiglia che ora, ancora più che nelle fasi precedenti, deve affrontare il delicato compito di integrare la legittima esigenza di indipendenza ed autonomia dei figli con la coesione degli affetti e con la negoziazione di nuove regole di rapporto [Camaioni, Di Blasio]. L’attenzione al ciclo di vita della famiglia si concretizza nel considerare l’adolescenza sia come un’impresa evolutiva congiunta di genitori e figli [Scabini, 1995] sia un periodo della vita caratterizzato dalla trasformazione dei legami precedenti. L'adolescenza di un figlio rappresenta un evento "critico" per tutto il sistema famigliare che è chiamato a confrontarsi con la necessità di realizzare un percorso che richiede anche ai genitori di riconsiderare la loro stessa adolescenza, di gestirne gli aspetti irrisolti e di riuscire a conciliare contenimento e flessibilità nell'aggiustamento delle distanze e nella ridefinizione dei confini e dei ruoli generazionali. Due sono i processi importanti in questa fase che si intrecciano tra loro: l’individuazione, propria dell’adolescente, che si esprime nella tendenza ad autonomizzarsi dai legami familiari e la differenziazione, propria dell’organizzazione familiare, dalla quale dipende il maggiore o minore grado di flessibilità nel consentire l’indipendenza dei suoi membri. L’adolescente che inizia a prendere le distanze dalle figure genitoriali avvia un processo di identificazione forte che lo porta a rinnegare in parte le identificazioni precedenti, sostanzialmente di tipo genitoriale, per cercare altrove figure identificatorie; queste lo aiuteranno a costruirsi un’identità propria, anche a partire dall’eredità genitoriale, ma ricomposta sulla base delle esperienze significative vissute autonomamente. Per avviare tale processo è necessario separarsi da chi fino ad oggi ha di fatto occupato la scena familiare. Ciò avviene attivando movimenti di allontanamento dai genitori, fisico e psichico, rinegoziando routine, regole ad abitudini consolidate nell’infanzia, modificando ruoli e mansioni più funzionali all’adolescente che sta cercando di transitare all’età adulta [Confalonieri, Gavazzi]. Quello compiuto dall’adolescente è allora un processo di “separazione psicologica” rispetto all’ambiente familiare e di ridefinizione della sua propria personalità [Tonolo, 1999]. Forte è quindi l’ambivalenza che caratterizza e direziona il legame fra genitori e figli: quello che si configura è un movimento di entrate ed uscite volontarie che l’adolescente compie per rispondere ai bisogni emancipativi ed evolutivi che avverte e contemporaneamente per garantirsi il rientro a casa e la sicurezza di essere ancora protetto. Garantire al figlio la possibilità di allontanarsi significa consentirgli di abbandonare una definizione di sé ancora infantile e costruirne una nuova a partire dalle esperienze che in autonomia sta compiendo, basate su desideri e bisogni, non più necessariamente congruenti con quelli dei genitori, da cui però si aspetta e chiede conferma e supporto. L’attaccamento ai genitori continua quindi a garantire la sicurezza, la “base sicura” nelle circostanze di vulnerabilità, paura e stress della vita quotidiana, soprattutto nelle nuove esperienze che l’adolescente si trova ad affrontare. Questo processo può portare a generare conflitti, normativi o valoriali, tra genitori e figli. Ma è solo attraverso il confronto, anche aspro e vivace, che si avviano quei processi di ristrutturazione dei rapporti familiari necessari per sostenere e promuovere la nuova fase del ciclo di vita familiare che comporterà la conquista dell’autonomia del figlio. Grazie ai conflitti e alla loro soluzione, l’adolescente apprende importanti abilità sociali e socio cognitive quali ascoltare, considerare le opinioni altrui, riflettere, unire punti di vista, venire a compromessi e negoziare. L’importanza del ruolo dei genitori, rispetto a quello svolto dai pari o da altre persone significative, viene ribadito anche nelle ricerche che hanno preso in esame alcune circostanze difficili o particolari nelle quali possono trovarsi i figli, ad esempio problemi psicologici, malattie fisiche, lutti. In questi casi è ancora più evidente che i genitori assumono un insostituibile ruolo protettivo, offrendo attenzione, affetto e incoraggiamento e riducendo l’effetto negativo di eventi di vita delicati o difficili e si configura come un fattore decisivo nello sviluppo della capacità dell’adolescente di far fronte ad eventi stressanti futuri [Hauser et al. 1985]. |
Emma Montorfano
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Febbraio 2023
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