Riflessioni sull'essere genitori, sul delicato equilibrio tra essere presenti, aiutare, e lasciar fare, osservare i propri figli. Perché è difficile restare osservatori di una vita che cresce, che avanza, che cade, che si ferma, che ricomincia. Perché presuppone di fare i conti con le paure e le ansie personali. Perché presuppone di sapere che possiamo solo mostrare i nostri passi (e che quindi dobbiamo essere ben consapevoli di quali sono!). E i figli sceglieranno se seguire quelli o prenderne di alternativi. E sarà meraviglioso, in questo caso, lasciarsi sorprendere da ciò che ci mostreranno.
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Ho passato le vacanze natalizie immersa nel libro "Una vita come tante" di Hanya Yanagihara e ho capito finalmente perché tutti ne parlassero così appossionatamente.
Credo ci siano decine e decine di frasi stupende, oggi vi condivido questa: "Ammettere di ignorare quel linguaggio significava dover spiegare il proprio" Dove il protagonista non intende le parole ma bensì i significati e i mondi che quelle parole portano con sé. L'incontro con l'altro, a volte più, a volte meno, implica sempre uno sguardo a ciò che è nostro, a ciò che siamo. Perché è la differenza che crea informazione (citando Bateson). Uno sguardo verso di noi che non è mai facile, soprattutto quando ci mette davanti agli occhi cose che non vorremmo vedere. Viviamo in una cultura in cui il linguaggio verbale è il canale principale con il quale interagiamo. È interessante notare come il linguaggio del corpo sia definito "non verbale", come una negazione di qualcosa piuttosto che come la presenza di altro.
Ma sperimentiamo quotidianamente quanto anche il corpo sia comunicativo. Si attiva, si arrabbia, si agita, salta, respinge, si avvicina... risponde agli stimoli esterni in connessione con il cervello. A livello fisiologico questa connessione è molto vivida. Ci sono episodi infatti in cui il sistema di allarme del cervello, di fronte ad una minaccia alla nostra "sopravvivenza"( pensiamo ad una aggressione ad esempio), fa innescare automaticamente una risposta programmata del corpo: la nostra mente cosciente si spegne parzialmente e il corpo si prepara a correre, a nascondersi, a combattere, a congelarsi. Prima di essere pienamente consapevoli della situazione, il nostro corpo può già essere in movimento. Se queste risposte hanno successo e riusciamo a sfuggire al pericolo, recuperiamo il nostro equilibrio interno e gradualmente riconquistiamo i nostri sensi. Ma non sempre, per fortuna, viviamo questo tipo di esperienze. A volte però sono eventi della vita molto dolorosi, molto stressanti, estremamente faticosi, che portano con sé un carico emotivo complesso, manifestato nel corpo. Per riuscire ad andare avanti, può capitare di silenziare la parte emotiva, di non volerla o poterla guardare (occhio non vede, cuore non duole), di non sapere come gestirla, o cosa farsene. Si passa oltre. Ma è come se il corpo sapesse che non si può stare meglio fintanto che non ci si confronta con le sensazioni corporee, le emozioni e i significati che queste assumono per la persona. Così "fa ancora più chiasso", come un bambino che vuole essere ascoltato e guardato dal proprio genitore. Può attivarsi di più (ansia, rabbia, paura e si sente la perdita di controllo), si può spegnere in modo drastico (apatia, ritiro), può attirare l'attenzione producendo nuovi sintomi (mal di testa, insonnia, problemi intestinali, vomito, dermatiti etc), può agire anche attraverso la violenza, verso sé e verso gli altri. Può essere difficile mettere in parole queste sensazioni. Il linguaggio verbale infatti si è evoluto principalmente per condividere le "cose là fuori" non per comunicare la nostra interiorità. Il centro del linguaggio, nel cervello, si trova nell'area più lontana possibile dal centro di percezione del proprio sé, di chi si è. Insomma, si fatica non poco a dare forma e complessità (chi è in terapia lo sa bene). La percezione delle sensazioni corporee, l'osservazione del modo in cui il corpo interagisce con il mondo, sono fondamentali per la consapevolezza emotiva. Da qui si può ripartire per recuperare le parole, per narrarsi e trovare così un senso a quanto vissuto, collocandolo nella propria storia. Spesso sentiamo di avere il controllo della situazione quando sappiamo cosa e come fare, quando abbiamo ben chiari cause ed effetti, quando conosciamo i passi da compiere con precisione.
A volte però non è così. E possiamo sentire di avere il controllo della situazione quando NON facciamo, quando scegliamo di fermarci, quando mettiamo in standby un futuro che ci spaventa. Anche queste azioni possono farci sentire di avere tutto sotto controllo, darci un senso di protezione. Nonostante non sia magari ciò che fa stare meglio. Sei nata a gennaio, un po'come nascono i buoni propositi di inizio anno, quasi a ricordarmi che non sei un mio regalo ma che essere la tua mamma è una lunga lista di cose da vivere, e ogni giorno se ne aggiunge o se ne spunta una.
Sei arrivata in inverno come la neve. Calma e silenziosa, hai coperto e reso magico ogni mio angolino, senza farmi dimenticare che, sotto, il terreno ha bisogno di cure e di semi da piantare. A volte mi metti di fronte ai miei limiti, che hanno lo stesso sapore dell'aria fredda del primo mattino in inverno. Ma quando ti guardo crescere, lì, è come quando mi accorgo che ogni giorno che passa ha qualche minuto di luce in più. E un po'mi dispiace immaginare che la tua estate sarà fuori dalle mie braccia, nel mondo, ma solo se sarà così saprò di essere stata la mamma di cui avevi bisogno. Buon compleanno Vera Va bene scrivere la lista di buoni propositi, va bene non averne neanche uno. Va bene festeggiare fino al mattino, va bene restare sul divano. Va bene correre a perdifiato verso la meta, va bene riposare sul prato. Vanno bene i successi, così come i fallimenti. Va bene sapere già ciò che si farà, va bene non averne la minima idea. Va bene essere entusiasti, va bene anche essere tristi a volte.
Va bene tutto, fuorché sia ciò che desideriamo davvero. Prendiamoci cura di noi e della nostra felicità! Buon nuovo inizio o buona continuazione, a seconda di come la volete guardare. Il Natale, prima che diventasse una festa cristiana, coincideva con i festeggiamenti per il solstizio d'inverno: il giorno dell'anno con il minor numero di ore di luce.
Sì festeggiava la fine dei mesi più bui e l'inizio, seppur lieve, dell'allungarsi dei giorni, in attesa della primavera. Una festa legata alla luce, alla rinascita. Anche se ancora non si vede, se il freddo è intenso, se il sole tramonta presto, il cambiamento si è innescato. La vita non sempre ci dà ciò che chiediamo, a volte scombussola talmente tanto i nostri progetti e sogni da non sentirli più nostri. Ma altre volte, come sotto l'albero, ci arriva qualcosa di inaspettato che ci strappa un sorriso. Il mio augurio per domani è quello di provare, non tanto a fare la conta di ciò che ci eravamo prefissati ed abbiamo raggiunto, ma di guardare con attenzione ciò che non ci aspettavamo e che ci ha sorpresi. Penso sia anche quella una bella magia! Natale viene descritto come magia, gioia, felicità, famiglia ... ma non tutti lo vivono così. Il vedere che intorno a noi è tutto luccichio e sorrisi, può far risaltare ancora di più ciò che si sente sul polo opposto.
A Natale si può essere tristi. Possono riproporsi dinamiche familiari che soffocano o invischiano. Può emergere una emozione spiacevole. Possono tornare a farsi sentire aspettative, sensi di colpa, bisogni, doveri imposti. Si può desiderare di stare soli, di viverlo come un giorno qualsiasi, perché la felicità a volte è impossibile, a volte fa paura. Non infiliamoci in etichette preconfezionate, perché siamo liberi di provare ciò che proviamo, senza doverci sentire dalla parte sbagliata. Cucinare è fare, agire, scegliere.
In psicologia i processi che regolano il "fare" sono denominati funzioni esecutive. Permettono di pianificare, focalizzare l'attenzione, ricordare, destreggiarsi tra più attività. Sono quindi fondamentali per lo sviluppo e l'apprendimento. Come è altrettanto importante "esserci", sentire le sensazioni del proprio corpo ed essere consapevoli di ciò che pensiamo (a volte non è così scontato, perché agiamo in automatico!). La cucina richiede tutte queste cose: pensate a quando seguite una ricetta leggendo o ricordando le istruzioni, quando scegliete gli ingredienti, quando copiate i movimenti del cuoco in video, quando avete contemporaneamente due cibi in preparazione che necessitano di tempi cottura procedimenti diversi. È una formidabile palestra! Cosa succede se cuciniamo con la testa tra le nuvole? Se siamo lì fisicamente ma non ci siamo davvero? Il più delle volte: un pasticcio! Proviamo a portare queste domande anche al di fuori della metafora della cucina: cosa ci succede quando non siamo presenti a noi stessi nella vita quotidiana? Come sono le scelte che facciamo? Riusciamo a sentire i nostri bisogni? |
Emma Montorfano
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Febbraio 2023
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