Una giornata di lavoro intensa è finita. Ci sono nuovi progetti (lavorativi e non solo) che avevo messo in standby durante lo scorso anno e che ora stanno prendendo forma e concretezza. Questo ovviamente riempie di soddisfazioni anche se, a volte, vedersi molto vicino a ciò che abbiamo tanto desiderato può farci tremare le gambe e fare uscire allo scoperto qualche timore.
Succede o è successo anche a voi?
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Ho una cara amica che vive dall'altra parte del mondo, a 9000 e passa chilometri di distanza. Legge sempre molto pazientemente ciò che scrivo e l'altra mattina mi invia questo "buongiorno":
„La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro: leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare.“ di Arthur Schopenhauer. L'ho associata a questa foto, dove l'ordine del traliccio si intreccia al caos dei rami e permette di crescere e dare nuova vita. Non ci importa sapere chi è vitale per chi, ma guardare nell'insieme cosa hanno prodotto. Caos e ordine, realtà e sogni, staticità e cambiamento, sono tutti in relazione nello stesso libro e l'uno non esisterebbe senza l'altro. 📝 Psicoesercizio Fermati a riflettere: in quale posizione ti senti di più ora? Sei in una fase di caos o di ordine? Di cambiamento o di staticità? E come ti ci trovi? I festeggiamenti di Carnevale sono finiti. Noi siamo abituati a queste tradizioni cristiane ma i caratteri della celebrazione del carnevale hanno origini in festività molto antiche, greche e romane. Durante queste feste si realizzava un temporaneo scioglimento dagli obblighi sociali e dalle gerarchie, per lasciar posto al rovesciamento dell'ordine, allo scherzo, alla dissolutezza, all'irriverenza.
Possiamo dire che il carnevale rappresentava metaforicamente un "caos", che sostituiva l'ordinarietà statica e costituita, dal quale si poteva riemergere con un ordine rinnovato e migliore... garantito fino al carnevale successivo. Anche per noi il caos può essere generatore. Può fare paura perché imprevedibile, senza regole, sconosciuto, ma rimescolare le carte in tavola e sostare in un momentaneo disordine, è fondamentale per essere pronti ad iniziare una nuova partita. Dopo una giornata di lavoro, al mio ritorno, Vera mi ha accolto con queste bacche di agrifoglio e margherite raccolte in giardino insieme alla nonna. Un regalo per me, che sorpresa bellissima!
Ai bambini capita spesso di pensare ai genitori quando sono lontani: perché ne sentono la mancanza e hanno bisogno di sentire la loro base sicura. Ci pensano perché per loro siamo importanti. Che, in fondo, è anche il bello di fare un regalo a qualcuno: ritagliarsi uno spazio fisico e mentale in cui si pensa alla persona, alle cose che la caratterizzano, che le piacciono, ai suoi bisogni e desideri. Spesso ci dimentichiamo che possiamo fare dei regali anche a noi stessi, al di là degli oggetti materiali. Possiamo fermarci e dare ascolto ai nostri bisogni. Possiamo imparare a dire sì/no quando davvero lo sentiamo. Possiamo fermarci e concederci del tempo in attesa o accelerare se ci sembra il caso. Possiamo imparare a conoscerci meglio, soprattutto ciò che non ci fa stare bene e riconoscere le dinamiche relazionali che sono per noi poco funzionali. Possiamo prenderci cura di noi, nella nostra interezza. Possiamo perdonarci quando ci sentiamo in colpa e fare il possibile per migliorarci. Pensiamoci e regaliamoci come se lo facessimo per la persona più importante per noi. Da qualche tempo ho riscoperto il piacere di girare in bicicletta. Era una cosa che facevo quotidianamente quando ero piccola e gran parte dei pomeriggi soleggiati li passavo a girare nei boschi in bici con le amiche. Adesso, mentre porto Vera all'asilo, vedo altri in bicicletta che corrono, suonano, sono di fretta. Io, che ho sempre associato la bicicletta al piacere e al gioco, mi domando come mai spesso ci facciamo prendere dalla fretta, come mai cerchiamo di non perdere neanche un secondo del nostro tempo e corriamo corriamo...
Mia mamma, qualche giorno fa, mentre stava giocando con Vera, mi ha detto che quando andava a lavorare non "aveva mai il tempo" per giocare con noi. Perché era stanca, perché c'era sempre qualche altra faccenda da sbrigare, perché il dovere veniva sempre prima. Credo che sia tutto una questione di equilibrio: il tempo è lì, è certo e scorre. Sta a noi decidere quando accelerare e quando invece rallentare. Vera ha iniziato l'asilo nido. Come capita con tutti i nuovi inizi, a qualsiasi età, si sperimenta un miscuglio di emozioni diverse. Probabilmente la paura per quel "vago" che ci aspetta, è quella meno facilmente gestibile. Se per i bambini lo sappiamo bene e ci premuriamo di organizzare un inserimento graduale, rispettando i loro tempi, per noi adulti la faccenda è diversa. Nascondiamo quella paura, perché forse ci hanno insegnato così, che non bisogna averne. Non ci ascoltiamo e a volte forziamo i tempi senza rispettare i nostri bisogni. Se non riusciamo subito, ecco che ci sentiamo sbagliati, incompetenti e fallimentari. Agli adulti non sono permessi "inserimenti graduali", metaforicamente parlando. Se nella pratica non sono fattibili, possiamo però ritagliarci un po'di tempo per fermarci a riflettere sull' "inserimento" di cui avremmo bisogno. Ecco un esercizio!
Qual è la paura che ti blocca in questo periodo? Vera, senza troppi giri, ci ha fatto capire di non apprezzare il bagno in mare. Bene i giochi sul bagnasciuga, camminare su e giù, raccogliere conchiglie, perfino gli scogli sono stati più invitanti di un tuffo in acqua. Ci abbiamo provato in tanti modi, più o meno diretti o giocosi ma poco è cambiato: Vera in versione koala che ritira i piedini appena cerco di immergerla. Allora ho deciso di lasciar perdere, di ascoltare i suoi desideri e di non forzarla. L'ultimo giorno di vacanza ci ha sorpreso: complice il mare tranquillissimo e senza onde, e la voglia di seguire un gruppo di bambine con le quali stava giocando sulla sabbia, mi ha fatto capire di voler entrare in acqua. L'esperienza marina è durata molto poco, ma sufficientemente per immortalare il momento con uno scatto. L'avversione per l'acqua non è scomparsa ma Vera è riuscita a trovare le risorse e la motivazione per fare un piccolo passo verso ciò che le procura paura. A volte capita così, che qualcosa ci fa paura e nemmeno l'assenza di onde e l'abbraccio sicuro di una mamma possono fare molto. Nemmeno le rassicurazioni, la razionalità, l'appoggio delle persone vicine. Allora forse possiamo darci del tempo. Per scoprire che forse possiamo farcela, che c'è qualcosa per cui vale un po'la pena tentare. Sempre con una rete di sicurezza sotto di noi e tante coccole poi. Se non riesci da sola/o a gestire le tue paure, non significa che tu sia debole o incapace. Semplicemente stai facendo il meglio che puoi ma forse la tua paura ha una ragione per restare. Insieme possiamo scoprire qual è e lasciare che se ne vada.
Vera sta iniziando a sperimentare le prime frustrazioni. I nostri "NO", ad esempio, vengono spesso accolti con pianti, gesti nervosi, lamentele, a volte morsi e pizzicotti. A volte dura di più, e necessita di un nostro intervento, a volte invece basta molto poco perché le torni il sorriso. Tutto nella norma, insomma! Oggi al parco ci siamo divertite a soffiare via l'infruttescenza di qualche soffione. Ha voluto raccoglierne un paio ma, muovi di qui e muovi di lì, e presto si è ritrovata con i soli steli in mano. E questo ha generato in lei una reazione diversa: un misto di tristezza e rabbia, forse potrei azzardare a dire delusione. Tutto ciò mi ha fatto pensare a noi adulti e alle situazioni che ci capita di vivere. A volte vorremmo che gli altri non ci dicessero i loro "no", che si comportassero come è nei nostri desideri, a volte siamo noi, coi nostri movimenti, a disattendere le nostre stesse aspettative. A volte ancora ci si mette di mezzo un colpo di aria improvvisa, a cambiare i nostri piani e a costringerci a prendere una rotta diversa. A voi è mai capitato? E come avete reagito? Siamo sempre capaci di distinguere ciò che possiamo controllare e quindi cambiare da ciò che non lo è? Proviamoci insieme!
Questa foto risale a qualche mese fa, quando ancora allattavo mia figlia di giorno e la lasciavo dormire in braccio di tanto in tanto. Non l'ho messa per parlare di allattamento, ma per condividere con voi ciò che ogni cambiamento porta con sé. Dopo circa un anno infatti, ho iniziato a sentire il peso di allattare a richiesta mia figlia. Ero affaticata, nervosa, stanca di dover ogni volta concedermi. Più e più volte mi sono detta "Ora basta, si cambia" e puntualmente ogni volta tornavo sui miei passi... Perché? Forse per abitudine, per paura di dover gestire i suoi pianti, forse perché, in fondo, era un momento tutto nostro, l' unica coccola che mia figlia mi chiedeva e a me piaceva da matti averla in braccio tutta per me. Capita così: che alcune situazioni che vorremmo cambiare, nascondono anche, paradossalmente, dei "vantaggi". Ci ho messo altri sei mesi per decidere davvero di fare il cambiamento. Sei mesi in cui si sono altalenati diversi stati d'animo. Alla fine, il primo giorno senza allattamento, è stato faticoso ma meno del previsto. E sapete cosa è successo? Che il cambiamento ha fatto bene ad entrambe. La mia stanchezza se ne è andata e insieme siamo riuscite a trovare altri modi per godere del tempo insieme, accoccolate e vicine. A volte i cambiamenti sono difficili, ci dobbiamo concedere il tempo di prepararci e capire come possiamo portare nel nuovo le cose " vecchie" che ci fanno stare bene. A tutti sarà capitato almeno una volta di sentire la famosa "barzelletta delle uova" con cui si conclude il film di Woody Allen "Io e Annie":
Frattanto si era fatto tardi e tutt'e due dovevamo andare per i fatti nostri. Ma era stato molto bello, rivedere ancora Annie, dico bene? Mi resi conto di quanto era in gamba stupenda e, sì, era un piacere... solo averla conosciuta... e allora io penso a quella vecchia barzelletta, sapete, quella dove uno va da uno psichiatra e dice: Dottore, mio fratello è pazzo, crede di essere una gallina. E il dottore gli dice: Perché non lo interna? E quello risponde: E poi a me le uova chi me le fa? Il significato che il regista dà alla barzelletta arriva subito dopo, quando l'attore spiega che "Beh, credo che corrisponda molto a quello che penso io dei rapporti uomo /donna: e cioè che sono assolutamente irrazionali, e pazzi, e assurdi... Ma credo che continuino perché la maggior parte di noi ha bisogno di uova.". Parlandone con una persona durante un colloquio, abbiamo cercato di trovare altre chiavi di lettura della barzelletta. Abbiamo provato a rileggerla, complice anche il momento di emergenza e di isolamento che stiamo vivendo, pensando al cambiamento e alle emozioni ad esso correlato. Le situazioni che si vivono, così come non piacciono e fanno stare male (preoccupazione per il fratello-gallina), contengono a volte anche dei vantaggi (ho sempre le uova fresche). Ed è per questo che è così difficile cambiare. Quante volte infatti ci lamentiamo per il lavoro, ma è difficile lasciarlo per uno nuovo? Quante volte continuiamo ad intessere le relazioni con persone che non ci fanno stare bene ma diventa faticoso allontanarsene? Quante volte ci proponiamo dei buoni propositi che poi non riusciamo a mettere in pratica? Forse, senza rendercene conto, la situazione nasconde dei vantaggi o soddisfa alcuni bisogni latenti e necessari. Se doveste pensare ad una situazione che vorreste modificare e allo stesso tempo trovate difficile cambiare, quali potrebbero essere i bisogni nascosti che invece riesce a soddisfare? E che lettura diversa dareste a questa barzelletta? Chi ama curare fiori e piante sa che ognuna ha bisogno di attenzioni particolari: il tipo di terreno, l'esposizione alla luce, la necessità di acqua. Se si sbaglia qualcosa, le piante sanno farsi capire: foglie secche, niente fiori, colori spenti o rami spogli. Con questa Cymbidium Ice Cascade, ad esempio, ci sono voluti un po' di tentativi prima di riuscire a trovare la formula perfetta affinché potesse rifiorire di nuovo in pienezza.La stessa cosa possiamo fare con noi stessi : quando sentiamo che le condizioni in cui viviamo non ci fanno stare bene (siano esse il lavoro, o altri ambiti relazionali) possiamo provare a cambiare qualcosa. Il primo passo è osservare e ascoltare ciò che il nostro corpo comunica ( come tensione, dolori, insonnia ...) e cercare di individuare quali bisogni sentiamo non essere ancora soddisfatti. Cosa possiamo cambiare affinché si ritorni a fiorire? Come possiamo prenderci cura di noi stessi? La situazione di emergenza e le conseguenze che ha portato nella nostra vita ci hanno fatto riflettere sul tema della responsabilità collettiva. Anche tornare al lavoro e mettere in atto misure di prevenzione è responsabilità e dovere di tutti. Possiamo quindi chiederci cosa noi siamo in grado di fare per tutelare la nostra salute e proteggere gli altri, cosa è in nostro potere fare, cosa è un nostro diritto (ed è giusto affermarlo) e cosa un nostro dovere. Gettare la colpa e la nostra rabbia sugli altri come noi ha il vantaggio di non farci sentire le nostre paure ma ci porta a non agire in modo responsabile. Cercare di vedere la situazione come una responsabilità collettiva che riguarda tutti aiuta invece a prendere in mano il controllo, a farci sentire capaci di affrontare la crisi, ed efficaci nel prenderci cura di noi stessi e degli altri. E così può valere non solo per la pandemia ma per tanti altri problemi sociali. La nascita del coronavirus non è di certo nostra responsabilità ma lo è domandarsi cosa possiamo fare per gestire la situazione al meglio nel nostro piccolo, con le risorse e gli strumenti che abbiamo. Se il lavoro diventa una fonte di stress per la paura del contagio, ecco che possiamo decidere come proteggerci e proteggere gli altri, consapevoli che purtroppo non esisterà mai un rischio zero. Mettere in atto semplici comportamenti di protezione ha inoltre il vantaggio secondario di farci sentire responsabili, utili per la comunità e più efficienti! Sapere come possiamo gestire una situazione che ci crea stress ... diminuisce lo stress!
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Emma Montorfano
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Febbraio 2023
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