Il Kintsugi (letteralmente “riparare con l’oro”), è una tecnica giapponese che consiste nel ricostruire oggetti rotti o fratturati con un materiale prezioso, l’oro, di solito, unito a un collante naturale (farina e acqua). Nel Kintsugi, “il gesto riparativo, l’arte dell’attesa, della precisione e della pazienza” dona ancora più valore al manufatto, che da oggetto di uso comune diventa un oggetto “artistico”. In altre parole, l’oggetto non viene gettato via – come spesso accade quando rompiamo qualche cosa – ma acquista una nuova qualità, che lo arricchisce e ne accresce il valore estetico. Video su "Internazionale" : la storia e il vero significato del kintsugi, l'arte delle preziosi cicatrici l Kintsugi ha potente valore simbolico: sottolinea come la cura delle ferite possa non solo permetterci di guarire, ma renderci in qualche modo più “preziosi".
L'importanza di mettere insieme i propri cocci e continuare a vivere è una metafora della vita, semplice e tutt’altro che banale. Una persona che attraversa un momento doloroso e drammatico deve non solo rimettere insieme i pezzi e a valorizzare le proprie e cicatrici, ma anche andare oltre. Che cosa insegna quest’arte giapponese? Spesso tendiamo ad attribuire alla crisi e al senso di vuoto, di dolore e di sofferenza che ne consegue un valore solo negativo: il percorso terapeutico permette di affrontare l’esperienza dolorosa come un momento di crescita che, “riparando la frattura con l’oro”, tiene di nuovo insieme i pezzi e dona una nuova forma, più ricca della precedente. Inoltre aiuta a comprendere che per cambiare può essere necessario passare attraverso un disagio, una “rottura”. La bellezza prende forma proprio dalle imperfezioni e dalle fragilità. Nove donne, tutte diverse tra loro per età, esperienze, estrazione sociale e ideologia politica, raccontano ferite e sofferenze alla decima, una psicoterapeuta. Apre le confessioni Francisca, che prova odio per colei che l'ha partorita senza amarla e che teme di non saper interrompere la linea materna, una sfida da vincere per poter finalmente essere libera di vivere il suo essere moglie e madre "normale". Ed ecco Lupe, giovanissima omosessuale che consuma i suoi giorni tra droga e passioni alla ricerca di se stessa, o Simona, sessantuno anni, ex ragazza sbocciata in un'epoca in cui il sesso non doveva avere alcuna importanza, e quando invece "la protagonista assoluta della vita sociale era la castità", sposata per caso e rimasta sola a cinquantasette anni, ma che ora non riesce ad accettare la solitudine. O Andrea, giornalista di successo che si perde e decide di fuggire verso il deserto o Luisa, vedova di un desparecido. Dieci donne è la somma di tanti sguardi diversi sul mondo e di storie messe a nudo senza mediazioni o reticenze; è anche un racconto sulla femminilità, reso ancor più accattivante dall'enorme potenziale resiliente e creativo che le donne trascinano con sé, e che regala, attraverso il dolore narrato, la speranza di un futuro migliore. Da una intervista a Marcela Serrano, autrice del libro "Dieci donne" Un romanzo per guardare l'universo femminile. Che cosa hanno in comune tutte le donne del mondo?
"In tutto il mondo le donne condividono il fatto di essere nate all'interno di una minoranza culturale. In molti paesi la situazione è ben più terribile che in altri. In Cina, non molto tempo fa, le madri prendevano le proprie neonate e le portavano al fiume per affogarle nella speranza di poter partorire la volta successiva un bambino maschio. E in Africa le bambine subiscono mutilazioni genitali. Ma anche nel mondo occidentale le donne continuano a essere discriminate; in modo più sottile, meno violento, ma soffrono ancora. Ogni donna del pianeta sa, sulla propria pelle, di essere vittima di un qualche tipo di ingiustizia o abuso. C'è da dire che ora le donne non sono sole. L'inizio del ventunesimo secolo segna un'epoca in cui, alla fine di lunghe lotte da parte di molti gruppi discriminati, si sente l'esigenza di società più ugualitarie. Questo è stato il filo conduttore di molte battaglie culturali da parte di coloro che hanno vissuto nella discriminazione. E, in questo contesto generale, si colloca la lotta delle donne, che di certo sono quantitativamente molto rilevanti, trattandosi della metà della popolazione. Perché i nostri sogni possono prosperare soltanto in società che si aprano a prospettive maggiormente egualitarie per tutti. Credo che siamo in un momento in cui questa richiesta di uguaglianza si sta cristallizzando in molte lotte e mobilitazioni che vanno ampliando l'agenda e la piattaforma dell'uguaglianza. Il Cile, come sapete, è stato al centro di queste azioni rivendicative. Tuttavia sono molto interessata anche a quelle leggi, varate in molti paesi d'Europa, che stabiliscono la presenza obbligatoria delle donne ai vertici delle imprese, un colpo sferrato al maschilismo più accanito". Perché in Dieci donne ha immaginato la psicoterapeuta? "Perché ho sempre vissuto la terapia e la scrittura come se fossero amiche strette, cugine. Entrambe cercano di aprirsi una strada attraverso la storia di ogni essere umano e lo fanno allo stesso modo. Cercano il senso della natura umana. Considero la letteratura come l'espressione cosciente della terapia, il suo strumento di "racconto". Il terapeuta come lo scrittore si misura con la trama di una storia, con le sue pause, con il detto e non detto, con la scoperta di ciò che sta sotto la punta di un iceberg. Con l'abbandono alla parola dell'altro, paziente o personaggio". Le donne rappresentano ovunque il futuro, qual è la loro forza? "Credo che la forza delle donne sia nella loro "gioventù". Sono come una nazione appena nata, non sono corrotte, hanno fiducia nel modo in cui fanno le cose perché hanno studiato a lungo gli errori degli uomini e da loro hanno imparato. Quando parlo di gioventù, non parlo dell'età anagrafica delle donne ma della vita così breve della loro indipendenza, dei pochi anni passati da quando le donne sono uscite dal guscio. L'unico sbaglio che potrebbero commettere ora e che potrebbe ostacolarle, sarebbe quello di copiare il vecchio modo di fare degli uomini, invece che trovarne uno tutto loro. La loro forza sta nel poter contribuire alla vita pubblica e politica con una nuova dimensione di esperienza e solidarietà più vicina alle esigenze profonde della società, dalla quale gli uomini, che la hanno a lungo guidata, si sono temporaneamente assentati per divenire un segmento chiuso, la cosiddetta "classe politica". Insomma, noi donne potremmo portare in pubblico la dimensione, fino ad ora ignorata, della vita quotidiana. L'aver vissuto tanto a lungo all'ombra ci ha dato occhi in grado di riconoscere frammenti di luce". Quante volte riceviamo il consiglio di fare le scale anziché prendere l’ascensore o la scala mobile? E quante volte non ascoltiamo questo consiglio? L’agenzia DDB di Stoccolma, sponsorizzata dalla Volkswagen Svezia, si è posta questa ed altre domande, partendo dal concetto che il divertimento è il modo più semplice per migliorare il comportamento delle persone e ha creato una campagna di marketing chiamata The Fun Theory. La campagna si fonda su una serie di esperimenti condotti in ambiente urbano in relazione ai quali vengono registrate le reazioni della gente. Nel video una scala della stazione della metropolitana Odenplan di Stoccolma è stata trasformata in un pianoforte gigante, ma sul sito dedicato sono presenti altri due video della campagna: in uno si vede la gente in un parco raccogliere da terra l’immondizia allo scopo di sentire il suono del bottino per rifiuti “più profondo del mondo” (in realtà si tratta di un dispositivo sonoro che si attiva con un sensore ogni volta che un rifiuto viene gettato nel bottino); nell’altro si mostra come un cassonetto per la raccolta differenziata del vetro, trasformato in un gioco Arcade, possa incentivare la raccolta stessa. A sentir loro, il divertimento “funziona”. Il 66% in più di persone usa le scale, il bottino sonoro raccoglie 72 kg di spazzatura contro i 41 di un bottino normale e il gioco Arcade richiama in una sola serata un centinaio di persone. E’ un bell’esempio di pensiero laterale e mostra come offrendo "pezzi" di bellezza, di meraviglia e divertimento inaspettato nelle operazioni di vita quotidiana, si possano efficacemente influenzare i comportamenti delle persone rendendo qualcosa divertente. L’idea che si possano influenzare le persone a fare delle “buone scelte” per sé, per l’ambiente o per la società, tuttavia non è nuova. Gli economisti comportamentali, di cui uno dei più famosi esponenti è lo psicologo Daniel Kahneman, vincitore del Nobel per l’economia 2002, da tempo hanno preso in considerazione il peso dell’irrazionalità nei processi decisionali umani. Essi affermano che l’homo economicus, teorizzato dagli economisti classici, dovrebbe essere qualcuno che, quando si confronta con una decisione, pensa a tutte le opzioni disponibili e compie sempre una scelta perfetta. Però, “l’homo economicus ha la potenza della mente di Albert Einstein, il magazzino di memoria del Big Blue di IBM e l’autocontrollo del Mahatma Gandhi.” Noi, tutti gli altri, siamo semplici homo sapiens, e quindi andiamo aiutati nei nostri processi decisionali. Uno dei primi esperimenti di Thaler fu condotto nei servizi igienici dell’aeroporto di Amsterdam. Una semplice mosca disegnata sull’orinatoio fece sì che la quantità di urina sul pavimento diminuisse dell’80%. Chi si occupa di favorire il processo decisionale verso la scelta giusta è definito un “architetto della scelta” e ha il compito di organizzare una struttura, spesso invisibile, in modo da aiutare l’homo sapiens a scegliere il meglio per sé e per la società. Questo approccio viene da loro definito “paternalismo libertario” e rappresenta una forma morbida e non intrusiva di intervento, in cui le scelte alternative non sono bloccate o negate e quindi non limita la libertà dell’individuo. Certamente nasce il timore che l’arte della persuasione possa essere spinta fino a diventare un’arma insidiosa (e già ne scrisse ampiamente Robert Cialdini), tuttavia imparare a usare a fin di bene l’irrazionalità umana sembra un approccio interessante. Anche perché risolvere un problema alla base è sempre meglio che cercare di rimediarvi dopo che si è creato. Tornando al concetto del divertimento e del gioco, sembra di poter dire che nella società occidentale attuale vi siano pochi spazi per queste attività e che vi sia una necessità di ristabilire l’equilibrio. Oggi il centro di gravità (cioè “il peso”) sta nel lavoro e non nel gioco o nella creatività, e spesso il lavoro richiede soltanto la partecipazione parziale dell’individuo. Il contrappeso dovrebbe comportare un coinvolgimento globale dell’individuo, e il gioco ha proprio questa caratteristica. Quindi ben vengano queste situazioni giocose in cui viene stimolato un coinvolgimento attivo e un’esperienza multisensoriale e che provocano emozioni e ricordi positivi. Sunstein C.R., Thaler R.H., Nudge: Improving Decisions about Health, Wealth, and Happiness Yale University Press, New Haven (Ct) 2008; trad.it. Nudge. La spinta gentile, Feltrinelli, Milano 2009 Quando parliamo di pregiudizi intendiamo ogni serie di fantasie, idee, verità accettate, presentimenti, preconcetti, nozioni, ipotesi, modelli, teorie, sentimenti personali, stati d'animo e convinzioni nascoste: di fatto ogni pensiero preesistente che contribuisca, in un incontro con altri esseri umani, alla formazione del proprio punto di vista, delle proprie percezioni e delle proprie azioni (G. Cecchin) Non è possibile non avere pregiudizi: essi sono inevitabili e si manifestano attraverso il linguaggio e nel comportamento, proprio come si può osservare in questo video: E' l'anteprima del film "Non sposate le mie figlie" (Qu'est-ce qu'on a fait au Bon Dieu?), una simpatica commedia francese diretta da Philippe de Chauveron.
Attraverso la storia della famiglia Verneuil, il film riesce a mostrare come i valori e le credenze di un individuo influenzano i corrispettivi valori e credenze di un'altra persona. Questi, a loro volta, incontrano l'altra parte, creando a volte scontri e incompresioni ma anche soluzioni imprevedibili e creative. Essere consapevoli dei propri pregiudizi permette di rendere ogni incontro con l'altro un momento di confronto (e non di conflitto) e può creare così le condizioni per un cambiamento e un arricchimento reciproco. Qui il film completo: buona visione! Il circo della farfalla (The Butterfly Circus) è un cortometraggio del 2009 diretto da Joshua Weigel, che racconta la storia di Will, un giovane privo di arti dalla nascita. Dopo essere stato un fenomeno da baraccone in un circo, entra per caso a far parte di un'altra compagnia circense, quella di Mr. Mendez. Mr Mendez però è di poche parole e poche spiegazioni: gli impedisce di esibire la sua deformità. E così Will si ritrova senza un ruolo, come uno spettatore estasiato e sconvolto al tempo stesso: e' difficile infatti trovare un ruolo quando nessuno ha insegnato un modo diverso di vedersi e di vedere le proprie “deformità”. Con il passare dei giorni, Will scopre che esiste un mondo nel quale ci si può mettere in mostra non per i propri limiti, ma per le proprie risorse. Un mondo nel quale le competenze sono molto più importanti delle mancanze, un mondo nel quale ognuno, nella sua diversità, ha un posto. E quando Will chiederà come farà uno come lui, al quale Dio ha voltato le spalle, a trovare un modo nuovo di vedersi, Mr Mendez risponderà : "Più grande è la lotta, più glorioso è il trionfo".
A volte, le situazioni che il mondo ci presenta, ci preoccupano, ci inquietano, non ci fanno dormire la notte... in una parola: ci procurano ansia.
L'ansia è una complessa combinazione di emozioni e sensazioni fisiche, che possono variare da persona a persona. Nella giusta dose, è utile e funzionale per affrontare le situazioni al massimo delle nostre risorse. Talvolta, invece, diventa incontenibile, ingestibile e paralizzante. Qualcosa che, come disegna e descrive questa illustratrice, "poggia sullo stomaco e lo divora", che non va via. Per chi vive in un costante stato di tensione, l'ansia mescola in modo confuso pensieri, desideri, bisogni e aspettative. Assumere la consapevolezza di trovarsi davanti a una situazione difficile da risolvere da soli è il primo passo per poterla affrontare. Guanate, il blog di Milena Tipaldo, illustratrice genovese Ode all'ansia from Milena Tipaldo on Vimeo. ODE ALL'ANSIA, di Milena Tipaldo Fedele compagna Che mi guardi divertita Da quanto ci conosciamo? Pare una vita. Tu che con grazia Sul mio stomaco poggi Dimmi tu che lo divori, Cosa ho mangiato oggi? Il tuo nome con cui Nessun gioco fa rima È ansia di merda Delle piaghe, la prima. |
Emma Montorfano
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Febbraio 2023
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