Nella coppia si mescolano bisogni, si riproducono dinamiche apprese, si intersecano storie, si giocano "ruoli" (del tipo: salvatore-salvato; sostegno-sostenuto, forte-debole, e così via).
Capita che un ruolo (più o meno inconsapevolmente) piaccia, che risponda ad un nostro bisogno, che traduca bene un pezzo della nostra storia personale. E che magari si incastri alla perfezione con quello dell'altra persona. A volte invece un ruolo sta stretto, si sgomita, si cerca di uscirne a tutti i costi, ributtandolo, a volte purtroppo anche in modo violento, sull'altro. Ed è qui che la coppia può vacillare. Altre volte ancora, succede che la vita si metta di mezzo e ci offra la possibilità di rivedere questi ruoli, di metterli reciprocamente in discussione, di fare sì che si formi un nuovo incastro che sia più funzionale e che porti più benessere. Che ne pensate? Nessuna perdita (che sia un lutto o una separazione) è uguale all'altra. C'è chi perde un genitore, un amico, un nonno, un partner, un figlio. Ciascuna perdita si differenzia dall'altra perché diverso è il significato che quella relazione e quella perdita hanno per la persona.
Ma tutte le perdite si assomigliano per il fatto che tolgono un pezzetto di noi. Obbligano a passare dal dolore di lasciare andare, dalla fatica di risistemare quel vuoto lasciato, dalla paura di immaginarsi un futuro (con dentro noi stessi) diverso. Nessuno vorrebbe passarci attraverso, eppure è il modo per ritornare a stare bene, per far sì che le nostre energie non vengano impiegate per far restare tutto così com'è immobile, ma permettano di andare avanti. E se poi "fallisco" la psicoterapia?
È una domanda legittima che può farsi una persona che inizia un percorso, ma ... non si può sbagliare una terapia o non esserne in grado. La psicoterapia è una relazione che cura, non ha a che fare con le proprie capacità e competenze (quelle deve averle lo psicoterapeuta nel suo lavoro!). Non c'è un argomento giusto o sbagliato da portare, un modo corretto o meno di dire le cose e rispondere. La terapia è fatta sì di momenti faticosissimi, di momenti più leggeri, di pezzi che si fanno in autonomia e di altri che necessitano un "mano nella mano" e tempi più lenti. A volte ci sono stalli che vanno osservati e dotati di senso, altre volte tutto scorre e i cambiamenti si susseguono senza blocchi. Ma è sempre compito e dovere del terapeuta gestire questi aspetti della terapia e il loro corso. Come in tutte le relazioni, ciò che è importante per la persona è "esserci, portare se stessa", con i propri tempi e modalità. Non c'è mai una scelta giusta o sbagliata a prescindere.
Magari vorremmo una cosa o immaginiamo che si debba sceglierne una invece dell'altra, pensiamo che qualcosa sia preferibile all'altra. E questo può condizionare il come ci si sente di fronte alla scelta. Capita anche che ci si affidi a ciò che si prova per valutare la "giustezza" di una scelta ( del tipo: se fosse la scelta giusta non starei così, sarei felice). E invece può non essere così. Possiamo compiere delle scelte che vogliamo tantissimo eppure stare male, così come possiamo farne altre che non vorremmo (o restare fermi) e comunque trovarci dentro qualcosa che fa stare comodi. Tutto ha un suo senso che chiede di essere osservato e capito. Chi ama curare fiori e piante sa che ognuna ha bisogno di attenzioni particolari: il tipo di terreno, l'esposizione alla luce, la necessità di acqua. Se si sbaglia qualcosa, le piante sanno farsi capire: foglie secche o gialle, niente fiori, rami spogli.
A volte ci vogliono un po' di tentativi prima di riuscire a trovare la formula perfetta affinché una pianta possa rifiorire di nuovo in pienezza. La stessa cosa possiamo fare con noi stessi : quando sentiamo che le condizioni in cui viviamo non ci fanno stare bene ( siano esse le relazioni, il lavoro, o altri ambiti) possiamo provare a cambiare qualcosa. Il primo passo è osservare e ascoltare ciò che il nostro corpo comunica ( come tensione, dolori, insonnia ...) e cercare di individuare quali bisogni sentiamo non essere ancora soddisfatti. Cosa possiamo cambiare affinché si ritorni a fiorire? Come possiamo prenderci cura di noi stessi? Oggi, nelle storie, vi proponiamo questo ultimo "ingrediente" , la cura di sé, importante per la nostra crescita! @annagigliarano_psicologa @valentina_rocchio Vi lascio altri spunti qui Una delle grandi opportunità di fare psicoterapia con persone di origine straniera è che, per forza di cose, ti mettono di fronte a tutto ciò che è intrinseco della tua cultura: stereotipi, tradizioni, pensieri, significati.
Come se avessi davanti a me uno specchio: si vedono limpide le differenze, i confini, le figure e gli sfondi, quando si decide di osservare con attenzione, e non dare nulla per scontato quando non si cade nel "tanto so già com'è" ma ci si lascia guidare dalla curiosità, anche nei confronti di ciò che si crede di conoscere così bene, e quando si rassicura la propria paura di trovare qualcosa che non ci piace che, male che vada, si può sempre modificare qualcosa. A volte capita di fare delle scelte dolorose senza saperne bene il motivo. Si sente solo una spinta irrefrenabile a farle, come se una alternativa non ci fosse o non fosse possibile prenderla.
Ogni scelta, più o meno consapevole, anche quella più faticosa o dolorosa, non è giusta o sbagliata a priori. È la scelta che noi riteniamo essere la più adatta, quella che ci permette di andare avanti ( anche a costo di ). È la migliore soluzione che abbiamo trovato per fare un altro passo avanti, per sopravvivere, dentro e fuori le nostre relazioni, per tenerci stretto ciò di cui abbiamo bisogno. Sono sempre più convinta che la vita faccia dei giri immensi ma ci offra sempre una seconda possibilità. Una seconda chance per risolvere i conti in sospeso, per risolvere l'irrisolto, per finalmente trovare un senso a ciò a cui non l'abbiamo ancora trovato.
A volte non ce ne accorgiamo, ma quando accade, allora capita che si scelga una via diversa al bivio, che si decida di fare qualcosa di nuovo rispetto a ciò a cui siamo sempre stati abituati. Ed è allora che arriva il cambiamento, che i nodi al pettine vengono sciolti e si può ripartire. Una delle tante cose che si fa in terapia è parlare, osservare, dare senso, sentire le proprie emozioni. E non riguarda solo chi in terapia ci va, ma anche (e forse soprattutto) lo psicoterapeuta.
Quando lavoro in terapia non divento una fredda macchina, per fortuna! Sono sempre in contatto con ciò che sto provando perché ciò che sento mi è di grande aiuto per fare ipotesi sulla relazione terapeutica e sul problema che la persona mi porta. Come succede a tutti anche nella vita di tutti i giorni, a volte stare e capire le proprie emozioni è facile, altre volte più complesso. Ieri ad esempio, mi è stato davvero difficile convivere che una emozione provata in terapia e che ha risuonato in me tutto il giorno. Ho faticato a giocare con mia figlia, ad essere davvero presente con lei, perché testa e cuore erano da un'altra parte. Ho dovuto fermarmi, guardarla con più attenzione, cercare di capire qual era il senso all'interno di quella specifica relazione terapeutica, per il paziente e per me, e riflettere su cosa mi stava comunicando. Un bel lavorio che non è stato fine a se stesso ma di grande aiuto per continuare la terapia nel prossimo incontro. Non lo avessi fatto, avessi ributtato indietro ciò che sentivo, non avrei potuto essere "terapeutica". Perché oggi scrivo questo? Perché stare nelle proprie emozioni, soprattutto quelle scomode, non è cosa da poco. Anche per gli "addetti ai lavori" che conoscono come si fa, ci può voler tempo e impegno. Lo sappiamo bene quando vi chiediamo e vi accompagniamo nel farlo. Così come sappiamo che è proprio questo processo a darci la possibilità di svoltare, di procedere e di stare meglio. |
Emma Montorfano
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Settembre 2021
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