Emma Montorfano Psicologa Cantù
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Piangerò sul latte versato e sospirerò per gli amori perduti

1/14/2018

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Secondo alcune statistiche, l’adulto medio promette a se stesso di cambiare entro la fine dell’anno o con l’arrivo dell’anno nuovo. Tuttavia, la maggior parte di queste promesse di fine anno vengono abbandonate entro quindici settimane.

Questo ci può portare a chiedere: “perché cambiare è così difficile?”
Il cambiamento è difficile perché comporta fatica, una ridefinizione degli obiettivi, delle modalità cognitive, comportamentali e relazionali insite in ognuno di noi.

Ma “quali sono le competenze che permettono alle persone di cambiare davvero?"
Diversi studi hanno evidenziato che coloro che riescono a raggiungere l'obiettivo prefissato usano una combinazione di due importanti strategie per il cambiamento.

La prima strategia, che può sembrare familiare, si chiama “innovazione”; ovvero “l’assunzione di grandi passi per raggiungere grandi obiettivi”. Esempi di innovazione potrebbero essere: severe restrizioni dietetiche, fare esercizio fisico, riorganizzare una casa per intero o, utopicamente, la società in una sola volta. L’innovazione può certamente essere molto efficace, ma anche senza dubbio complessa, in alcune situazioni.

Quando l’innovazione non funziona o non è l’approccio giusto, si può passare ad una seconda strategia, denominata Kaizen. Questa parola rappresenta la composizione di due termini giapponesi, KAI (cambiamento, miglioramento) e ZEN (buono, migliore), e significa cambiare in meglio, miglioramento.
Questa strategia può essere definita più nello specifico come il “processo di piccoli passi per raggiungere grandi obiettivi”. Anche se potrebbe non apparire logico a prima vista, i piccoli passi spesso consentono di raggiungere gli stessi obiettivi in modo più veloce dei “grandi passi” dell’innovazione.

I grandi passi intrinsecamente fanno paura, sia per l’individuo che li mette in atto  sia per quelli che vivono intorno a lui. Una volta che la paura si manifesta, le persone tendono a dimostrare la resistenza e si tende a restare bloccati o ritirarsi, piuttosto che muoversi verso il raggiungimento degli obiettivi.

Quando invece procediamo a piccoli passi, ci diamo il tempo per ritrovare di volta in volta un equilibrio intra e inter personale, ovvero dentro di noi e con le persone significative che ci circondano.


Quello che potremmo imparare a fare, è impiegare entrambe le strategie, sviluppando la capacità e libertà di scegliere quella più pratica e utile in base alla situazione.

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Conosco delle barche

1/3/2018

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Conosco delle barche che restano nel porto per paura che le correnti le trascinino via con troppa violenza.
Conosco delle barche che arrugginiscono in porto per non aver mai rischiato una vela fuori.
Conosco delle barche che si dimenticano di partire, hanno paura del mare a furia di invecchiare e le onde non le hanno mai portate altrove,il loro viaggio è finito ancora prima di iniziare.
Conosco delle barche talmente incatenate che hanno disimparato come liberarsi.
Conosco delle barche che restano ad ondeggiare per essere veramente sicure di non capovolgersi.
Conosco delle barche che vanno in gruppo ad affrontare il vento forte al di là della paura.
Conosco delle barche che si graffiano un po'sulle rotte dell'oceano ove le porta il loro gioco.
Conosco delle barche che non hanno mai smesso di uscire una volta ancora,ogni giorno della loro vita e che non hanno paura a volte di lanciarsi fianco a fianco in avanti a rischio di affondare.
Conosco delle barche che tornano in porto lacerate dappertutto,ma più coraggiose e più forti.
Conosco delle barche straboccanti di sole perché hanno condiviso anni meravigliosi.
Conosco delle barche che tornano sempre quando hanno navigato, fino al loro ultimo giorno, e sono pronte a spiegare le loro ali di giganti perché hanno un cuore a misura di oceano.

J.Brel

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Meno per meno fa più

12/27/2017

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"Per aspera ad astra"

11/28/2017

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"A forza di voler cancellare un errore si fa il buco"

11/23/2017

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Come scrive Enrica Tesio sul suo blog, "a forza di voler cancellare un errore si fa il buco".

La paura di sbagliare spesso ci blocca. Eppure gli errori sono uno strumento indispensabile per imparare e per crescere. Gli errori non rappresentano solo qualcosa di sbagliato ma anche un’opportunità per sperimentare, per esplorare le varie possibilità ed individuare la decisione migliore.

È dai tempi della scuola che siamo propensi a "cancellare gli errori": pensiamo che gli errori siano qualcosa da non fare, che causano punizioni e suscitano vergogna. Così, anche da adulti, ogni volta che sbagliamo scatta una sensazione di fallimento. Talvolta capita che prima ancora di fare un errore, ci sentiamo paralizzati dalla paura di sbagliare: temiamo non tanto – o non solo – le possibili conseguenze dell’errore, ma soprattutto il giudizio negativo degli altri, la derisione, il disprezzo.

Se agire con prudenza è necessario per prevenire i rischi, demonizzare gli errori e lasciare che la paura di sbagliare ci blocchi è un rischio ancora più grande. Ci sono infatti situazioni in cui evitare di sbagliare è impossibile: quando ci troviamo ad agire in un contesto di grande incertezza, possiamo fare tutte le valutazioni del mondo ma non arriveremo mai a distinguere chiaramente fra errore e decisione corretta. Sbagliare fa infatti parte della natura umana, siamo esseri fallibili e dobbiamo abituarci a considerare gli errori una parte ineludibile della nostra esperienza di vita.

Anzi, il nostro cervello si è evoluto per sbagliare. Una ricerca scientifica, pubblicata sul Journal of Cognitive Neuroscience dimostra che impariamo più dagli errori che dai successi, poiché l’effetto sorpresa provocato dall’errore facilita e rinforza l’apprendimento. Così, quando ci troviamo di fronte a una situazione analoga, dal cervello parte un allarme: bastano 0,1 secondi per avvertirci che stiamo per sbagliare di nuovo, permettendoci di correggere il tiro. “Sbagliando si impara” non è solo un proverbio: il nostro cervello, da quando siamo venuti al mondo, è strutturato per fare errori e apprendere da essi. Basta vedere come un bambino impara a camminare o ad andare in bicicletta: riesce a trovare il giusto equilibrio solo dopo una serie di cadute e sbandamenti.

Per imparare dagli errori è però importante anzitutto riconoscerli come tali. Chi non è in grado di vederli o di ammetterli, continuerà a ripeterli. 

Gli esempi che dimostrano quanto gli errori siano fonte di crescita e miglioramento sono innumerevoli. La scoperta dell’America è frutto di un errore: Cristoforo Colombo era convinto di arrivare nelle Indie. Leonardo Da Vinci ha conseguito obiettivi e realizzato capolavori anche grazie al fatto che ha collezionato moltissimi errori (le macchine per volare, tutte fallimentari, o la tecnica pittorica utilizzata per l’Ultima Cena, solo per fare un paio di esempi). E si dice che Thomas Edison abbia effettuato migliaia di esperimenti fallimentari prima di inventare la lampadina.

Ma soprattutto, a ben vedere, frutto di una serie infinita di errori siamo anche noi esseri umani: ci siamo infatti evoluti grazie a mutazioni genetiche (cioè a errori nel processo di divisione cellulare) che, grazie la selezione naturale, sono sopravvissute perché vantaggiose. L’evoluzione stessa, cioè, è basata sugli errori.
Allo stesso modo ciascuno di noi, nella propria esperienza di vita, cresce, si evolve e diventa quello che è attraverso gli errori che fa e ciò che impara da essi.


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