Emma Montorfano Psicologa Cantù
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Meno per meno fa più

12/27/2017

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Le cicatrici d'oro

12/20/2017

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Il Kintsugi (letteralmente “riparare con l’oro”), è una tecnica giapponese che consiste nel ricostruire oggetti rotti o fratturati con un materiale prezioso, l’oro, di solito, unito a un collante naturale (farina e acqua).

Nel Kintsugi, “il
gesto riparativo, l’arte dell’attesa, della precisione e della pazienza” dona ancora più valore al manufatto, che da oggetto di uso comune diventa un oggetto “artistico”. In altre parole, l’oggetto non viene gettato via  – come spesso accade quando rompiamo qualche cosa – ma acquista una nuova qualità, che lo arricchisce e ne accresce il valore estetico.
Video su "Internazionale" : la storia e il vero significato del kintsugi, l'arte delle preziosi cicatrici
l Kintsugi ha potente valore simbolico: sottolinea come la cura delle ferite possa non solo permetterci di guarire, ma renderci in qualche modo più “preziosi".

L'
importanza di mettere insieme i propri cocci e continuare a vivere è una metafora della vita, semplice e tutt’altro che banale.
Una persona che attraversa un momento doloroso e drammatico deve non solo rimettere insieme i pezzi e a valorizzare le proprie e cicatrici, ma anche andare oltre.

Che cosa insegna quest’arte giapponese?

Spesso tendiamo ad attribuire alla crisi e al senso di vuoto, di dolore e di sofferenza che ne consegue un valore solo negativo: il percorso terapeutico permette di affrontare l’esperienza dolorosa come un momento di crescita che, “riparando la frattura con l’oro”, tiene di nuovo insieme i pezzi e dona una nuova forma, più ricca della precedente. Inoltre aiuta a comprendere che per cambiare può essere necessario passare attraverso un disagio, una “rottura”. La bellezza prende forma proprio dalle imperfezioni e dalle fragilità.

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L'arte di ascoltare

12/14/2017

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Gli altri sono gli infiniti mondi possibili che sempre abbiamo di fronte. Da dentro le nostre cornici percepiamo e valutiamo il mondo esterno, Spesso sembra che gli altri si assomiglino tutti terribilmente, a volte capita di raggrupparli in categorie predefinite, e la nostra relazione con loro è spesso limitata e limitante per entrambe le parti. 

Quando invece esploriamo la complessità sempre maggiore in cui viviamo e sperimentiamo altri percorsi, possiamo trovare una via di uscita da questi soffocanti e a volte infernali circoli viziosi. 

Per riuscirci, occorre partire dall'ascolto. Ecco le sette regole dell'arte di ascoltare, secondo Marianella Sclavi

1. Non avere fretta di arrivare alle conclusioni. Le conclusioni sono la parte più effimera della ricerca

2. Quel che vedi dipende dal tuo punto di vista. Per riuscire a vedere il tuo punto di vista, devi cambiare punto di vista

3. Se vuoi comprendere quel che un altro sta dicendo, devi assumere che ha ragione e chiedergli di aiutarti a vedere le cose e gli eventi dalla sua prospettiva

4. Le emozioni sono degli strumenti conoscitivi fondamentali, se sai comprendere il loro linguaggio. Non ti informano su cosa vedi ma su come guardi

5. Un buon ascoltatore è un esploratore di mondi possibili

6. Un buon ascoltatore accoglie volentieri i paradossi del pensiero e della comunicazione, affronta i dissensi come occasioni per esercitarsi in un campo che lo appassiona: la gestione creativa dei conflitti.

7. Per divenire esperto nell'arte di ascoltare devi adottare una metodologia umoristica. Ma quando hai imparato ad ascoltare, l'umorismo viene da sé


Marianella Sclavi, L’arte di ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte, 2003, Mondadori
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Nove donne più una

12/6/2017

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Nove donne, tutte diverse tra loro per età, esperienze, estrazione sociale e ideologia politica, raccontano ferite e sofferenze alla decima, una psicoterapeuta. 

Apre le confessioni Francisca, che prova odio per colei che l'ha partorita senza amarla e che teme di non saper interrompere la linea materna, una sfida da vincere per poter finalmente essere libera di vivere il suo essere moglie e madre "normale". Ed ecco Lupe, giovanissima omosessuale che consuma i suoi giorni tra droga e passioni alla ricerca di se stessa, o Simona, sessantuno anni, ex ragazza sbocciata in un'epoca in cui il sesso non doveva avere alcuna importanza, e quando invece "la protagonista assoluta della vita sociale era la castità", sposata per caso e rimasta sola a cinquantasette anni, ma che ora non riesce ad accettare la  solitudine. O Andrea, giornalista di successo che si perde e decide di fuggire verso il deserto o Luisa, vedova di un desparecido.

Dieci donne è la somma di tanti sguardi diversi sul mondo e di storie messe a nudo senza mediazioni o reticenze; è anche un racconto sulla femminilità, reso ancor più accattivante dall'enorme potenziale resiliente e creativo che le donne trascinano con sé, e che regala, attraverso il dolore narrato, la speranza di un futuro migliore.

Da una intervista a Marcela Serrano, autrice del libro "Dieci donne"
di SILVANA MAZZOCCHI
repubblica.it

Un romanzo per guardare l'universo femminile. Che cosa hanno in comune tutte le donne del mondo?
"In tutto il mondo le donne condividono il fatto di essere nate all'interno di una minoranza culturale. In molti paesi la situazione è ben più terribile che in altri.
In Cina, non molto tempo fa, le madri prendevano le proprie neonate e le portavano al fiume per affogarle nella speranza di poter partorire la volta successiva un bambino maschio. E in Africa le bambine subiscono mutilazioni genitali. Ma anche nel mondo occidentale le donne continuano a essere discriminate; in modo più sottile, meno violento, ma soffrono ancora. Ogni donna del pianeta sa, sulla propria pelle, di essere vittima di un qualche tipo di ingiustizia o abuso.

C'è da dire che ora le donne non sono sole. L'inizio del ventunesimo secolo segna un'epoca in cui, alla fine di lunghe lotte da parte di molti gruppi discriminati, si sente l'esigenza di società più ugualitarie. Questo è stato il filo conduttore di molte battaglie culturali da parte di coloro che hanno vissuto nella discriminazione. E, in questo contesto generale, si colloca la lotta delle donne, che di certo sono quantitativamente molto rilevanti, trattandosi della metà della popolazione. Perché i nostri sogni possono prosperare soltanto in società che si aprano a  prospettive maggiormente egualitarie per tutti. Credo che siamo in un momento in cui questa richiesta di uguaglianza si sta cristallizzando in molte lotte e mobilitazioni che vanno ampliando l'agenda e la piattaforma dell'uguaglianza. Il Cile, come sapete, è stato al centro di queste azioni rivendicative. Tuttavia sono molto interessata anche a quelle leggi, varate in molti paesi d'Europa, che stabiliscono la presenza obbligatoria delle donne ai vertici delle imprese, un colpo sferrato al maschilismo più accanito".

Perché in Dieci donne ha immaginato la psicoterapeuta?
"Perché ho sempre vissuto la terapia e la scrittura come se fossero amiche strette, cugine. Entrambe cercano di aprirsi una strada attraverso la storia di ogni essere umano e lo fanno allo stesso modo. Cercano il senso della natura umana. Considero la letteratura come l'espressione cosciente della terapia, il suo strumento di "racconto". Il terapeuta come lo scrittore si misura con la trama di una storia, con le sue pause, con il detto e non detto, con la scoperta di ciò che sta sotto la punta di un iceberg. Con l'abbandono alla parola dell'altro, paziente o personaggio".

Le donne rappresentano ovunque il futuro, qual è la loro forza?
"Credo che la forza delle donne sia nella loro "gioventù". Sono come una nazione appena nata, non sono corrotte, hanno fiducia nel modo in cui fanno le cose perché hanno studiato a lungo gli errori degli uomini e da loro hanno imparato. Quando parlo di gioventù, non parlo dell'età anagrafica delle donne ma della vita così breve della loro indipendenza, dei pochi anni passati da quando le donne sono uscite dal guscio.

L'unico sbaglio che potrebbero commettere ora e che potrebbe ostacolarle, sarebbe quello di copiare il vecchio modo di fare degli uomini, invece che trovarne uno tutto loro.
La loro forza sta nel poter contribuire alla vita pubblica e politica con una nuova dimensione di esperienza e solidarietà più vicina alle esigenze profonde della società, dalla quale gli uomini, che la hanno a lungo guidata, si sono temporaneamente assentati per divenire un segmento chiuso, la cosiddetta "classe politica".

Insomma, noi donne potremmo portare in pubblico la dimensione, fino ad ora ignorata, della vita quotidiana. L'aver vissuto tanto a lungo all'ombra ci ha dato occhi in grado di riconoscere frammenti di luce".

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    Emma Montorfano

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