"Vivere non è abbastanza… bisogna avere il sole, la libertà e un piccolo fiore"
Hans Christian Andersen È arrivata ufficialmente l'estate! Un tempo la vivevo carica di aspettative: cose da fare, vacanze, riposo, tempo libero da sfruttare al massimo... con il risultato, facilmente immaginabile, di arrivare a settembre con la lista di cose da spuntare ancora lunga e un sapore in bocca di aspettative disattese, di occasioni perdute, di tempo non vissuto davvero. Non so cosa mi abbia cambiato nel vivere questa stagione. Forse porre lo sguardo sulle altre, provare a non concentrare tutta la mia "felicità" in tre mesi di sole, caldo e libertà ma ricercandola anche in momenti più freddi e "difficili", dentro ad una quotidianità che non sempre lascia spazio ai desideri. Forse pensare che non era la stagione in sé, ma il come mi vedevo io, le priorità che davo ai miei sogni e bisogni, lo spazio e il tempo che mi prendevo per me, che mi facevano sentire bene. E questo per fortuna posso farlo sia in estate sia in inverno. "E un altro consiglio: ponderale bene, le mie domande. Più ti turbano, più cose hanno da insegnarti. Con il tempo scoprirai che questo vale anche per gli interrogativi più importanti della vita"
Tratto dal libro: "Un semplice caso di infedeltà" Ci sono festività, ricorrenze, periodi dell'anno che non sono "per tutti".
Ad esempio la primavera. È la stagione emblema della rinascita, delle temperature che si fanno miti, delle fioriture, del ritorno all'aria aperta ed anche in parte alla socialità. Ma per chi non riesce (e qui non c'entra nulla la volontà) o non può, diventa una vera gabbia, in cui anche le cose ritenute "belle" o per cui si dovrebbe gioire diventano invece dei pugnali. A volte mi capita di indicare a Vera qualcosa da guardare in lontananza. Quando mi accorgo che non riesce a vedere , il gesto più spontaneo è quello di prenderla in braccio e di portarla "alla mia altezza". Ma oggi ho provato a fare il contrario: mi sono abbassata io per cercare l'angolazione giusta affinché potesse vedere ciò che stavo indicando. Su ciò che comporta stare all'altezza dei bambini, credo che ognuno di noi l'abbia sperimentato almeno una volta e sappia cosa significa. Io credo che ciò che lo renda così speciale e difficile al tempo stesso, sia che, per quell'attimo, dobbiamo abbandonare le nostre certezze, il nostro orizzonte. Dobbiamo fare a meno dei nostri punti di riferimento ed assumere che ce ne siano di altri altrettanto validi. E questo implica che dobbiamo contemplare la possibilità di non essere dalla parte "giusta" come pensavamo o che, forse, "giusto e sbagliato" non serva nemmeno in questo caso. Prendere il punto di vista dell'altro significa togliere noi dal nostro centro per metterci l'altra persona e provare a vedere le cose come vengono viste da quella prospettiva.
Riflessioni sull'essere genitori, sul delicato equilibrio tra essere presenti, aiutare, e lasciar fare, osservare i propri figli. Perché è difficile restare osservatori di una vita che cresce, che avanza, che cade, che si ferma, che ricomincia. Perché presuppone di fare i conti con le paure e le ansie personali. Perché presuppone di sapere che possiamo solo mostrare i nostri passi (e che quindi dobbiamo essere ben consapevoli di quali sono!). E i figli sceglieranno se seguire quelli o prenderne di alternativi. E sarà meraviglioso, in questo caso, lasciarsi sorprendere da ciò che ci mostreranno.
Ho passato le vacanze natalizie immersa nel libro "Una vita come tante" di Hanya Yanagihara e ho capito finalmente perché tutti ne parlassero così appossionatamente.
Credo ci siano decine e decine di frasi stupende, oggi vi condivido questa: "Ammettere di ignorare quel linguaggio significava dover spiegare il proprio" Dove il protagonista non intende le parole ma bensì i significati e i mondi che quelle parole portano con sé. L'incontro con l'altro, a volte più, a volte meno, implica sempre uno sguardo a ciò che è nostro, a ciò che siamo. Perché è la differenza che crea informazione (citando Bateson). Uno sguardo verso di noi che non è mai facile, soprattutto quando ci mette davanti agli occhi cose che non vorremmo vedere. Viviamo in una cultura in cui il linguaggio verbale è il canale principale con il quale interagiamo. È interessante notare come il linguaggio del corpo sia definito "non verbale", come una negazione di qualcosa piuttosto che come la presenza di altro.
Ma sperimentiamo quotidianamente quanto anche il corpo sia comunicativo. Si attiva, si arrabbia, si agita, salta, respinge, si avvicina... risponde agli stimoli esterni in connessione con il cervello. A livello fisiologico questa connessione è molto vivida. Ci sono episodi infatti in cui il sistema di allarme del cervello, di fronte ad una minaccia alla nostra "sopravvivenza"( pensiamo ad una aggressione ad esempio), fa innescare automaticamente una risposta programmata del corpo: la nostra mente cosciente si spegne parzialmente e il corpo si prepara a correre, a nascondersi, a combattere, a congelarsi. Prima di essere pienamente consapevoli della situazione, il nostro corpo può già essere in movimento. Se queste risposte hanno successo e riusciamo a sfuggire al pericolo, recuperiamo il nostro equilibrio interno e gradualmente riconquistiamo i nostri sensi. Ma non sempre, per fortuna, viviamo questo tipo di esperienze. A volte però sono eventi della vita molto dolorosi, molto stressanti, estremamente faticosi, che portano con sé un carico emotivo complesso, manifestato nel corpo. Per riuscire ad andare avanti, può capitare di silenziare la parte emotiva, di non volerla o poterla guardare (occhio non vede, cuore non duole), di non sapere come gestirla, o cosa farsene. Si passa oltre. Ma è come se il corpo sapesse che non si può stare meglio fintanto che non ci si confronta con le sensazioni corporee, le emozioni e i significati che queste assumono per la persona. Così "fa ancora più chiasso", come un bambino che vuole essere ascoltato e guardato dal proprio genitore. Può attivarsi di più (ansia, rabbia, paura e si sente la perdita di controllo), si può spegnere in modo drastico (apatia, ritiro), può attirare l'attenzione producendo nuovi sintomi (mal di testa, insonnia, problemi intestinali, vomito, dermatiti etc), può agire anche attraverso la violenza, verso sé e verso gli altri. Può essere difficile mettere in parole queste sensazioni. Il linguaggio verbale infatti si è evoluto principalmente per condividere le "cose là fuori" non per comunicare la nostra interiorità. Il centro del linguaggio, nel cervello, si trova nell'area più lontana possibile dal centro di percezione del proprio sé, di chi si è. Insomma, si fatica non poco a dare forma e complessità (chi è in terapia lo sa bene). La percezione delle sensazioni corporee, l'osservazione del modo in cui il corpo interagisce con il mondo, sono fondamentali per la consapevolezza emotiva. Da qui si può ripartire per recuperare le parole, per narrarsi e trovare così un senso a quanto vissuto, collocandolo nella propria storia. Spesso sentiamo di avere il controllo della situazione quando sappiamo cosa e come fare, quando abbiamo ben chiari cause ed effetti, quando conosciamo i passi da compiere con precisione.
A volte però non è così. E possiamo sentire di avere il controllo della situazione quando NON facciamo, quando scegliamo di fermarci, quando mettiamo in standby un futuro che ci spaventa. Anche queste azioni possono farci sentire di avere tutto sotto controllo, darci un senso di protezione. Nonostante non sia magari ciò che fa stare meglio. Sei nata a gennaio, un po'come nascono i buoni propositi di inizio anno, quasi a ricordarmi che non sei un mio regalo ma che essere la tua mamma è una lunga lista di cose da vivere, e ogni giorno se ne aggiunge o se ne spunta una.
Sei arrivata in inverno come la neve. Calma e silenziosa, hai coperto e reso magico ogni mio angolino, senza farmi dimenticare che, sotto, il terreno ha bisogno di cure e di semi da piantare. A volte mi metti di fronte ai miei limiti, che hanno lo stesso sapore dell'aria fredda del primo mattino in inverno. Ma quando ti guardo crescere, lì, è come quando mi accorgo che ogni giorno che passa ha qualche minuto di luce in più. E un po'mi dispiace immaginare che la tua estate sarà fuori dalle mie braccia, nel mondo, ma solo se sarà così saprò di essere stata la mamma di cui avevi bisogno. Buon compleanno Vera |
Emma Montorfano
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Settembre 2021
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